Il colpo di stato militare del 1973 scosse fortemente la società e il calcio uruguaiani. L’azione del presidente Juan María Bordaberry finì per dare il colpo di grazia alle Camere dei Senatori e dei Rappresentanti, strumenti di natura popolare che funzionavano bene o male come canali democratici e che costituivano la sovranità. Il loro scioglimento rappresentò il declino della democrazia nella Repubblica Orientale e l’ascesa delle dittature militari nel Cono Sud. Il Cile seguì la stessa dorte nel 1974 e successivamente l’Argentina nel 1976. Il calcio sfuggì a questa istituzionalizzazione della tirannia. Dal campo si levò una non troppo velata richiesta di democrazia.
Il giocatore Pedro Graffigna è forse l’espressione più emblematica di quanto abbiamo accennato, nel gioco era un centrocampista che come pochi sapeva distribuire il pallone. Non solo portò la sua collaborazione e la sua solidarietà attraverso gli stadi, ma fece crescere anche una forte coscienza sociale. Il che lo ha portò a simpatizzare con il sindacato CNT, che al momento del golpe aveva dichiarato uno sciopero. Era, quindi, chiaramente un dissidente e finì per diventare, insieme ai suoi compagni del Defensor Sporting Club, come un elemento in più nella lunga lista di militanti che componevano la squadra di Montevideo. Tra le sue fila c’erano membri del Fronte Ampio, movimento di sinistra, e del PCU, il partito comunista uruguaiano. Non ci volle molto perché i tifosi accettassero il Defensor come un club che si opponeva all’impero della tortura scatenato dalla dittatura.
Lo stesso Graffigna fu arrestato più volte, nel 1974 per possesso di documenti del sindacato operaio, che appartenevano ad un amico e il fatto provocò il suo primo scontro con la dittatura. Nel 1976, quando era in viaggio con la nazionale uruguaiana, gli fu trattenuto il passaporto, costringendolo a usufruire di uno speciale. La dittatura era senza dubbio presente in tutte le zone, non solo Graffigna ma anche i suoi compagni di squadra rappresentavano un grosso problema.
È noto l’aneddoto che mentre la squadra del Defensor si stava riscaldando, si sentivano canzoni proibite dai golpisti, si cantava di tutto. Dalla musica cilena ai versi di Alfredo Zitarrosa. Alla fine il pallone è anche circostanza, epoca e tempo. E non è quello che viviamo ma come lo viviamo. Oggi la palla continua a girare in Uruguay e con essa tutti i nomi che la dittatura ha voluto mettere a tacere.
C’è sempre il pensiero di Ibero Gutiérrez, l’artista assassinato a 22 anni da un gruppo paramilitare, che si diceva convinto: “non puoi mai fermare il calcio”.