Era un centrocampista esperto che ha esordito nel Lanús ed è riuscito a giocare nella nazionale argentina, nel Boca e nel calcio europeo, ma il suo grande contributo lo diede in Brasile. Idolo del Flamengo, un tecnico ha chiesto a uno dei suoi giocatori di “giocare come Volante”, e il nome è rimasto. La sua biografia si incrocia nel tempo con Garrincha, Pelé e lo stesso Diego.
Se pochissimi calciatori, solo i migliori (Diego Maradona o Lionel Messi), tendono a diventare un aggettivo, difficilmente uno è diventato un sostantivo o una posizione in campo: un certo Carlos Martín Volante, centrocampista dalla carriera lunga ma dimenticata, ha ispirato il nome per la posizione in cui giocano i calciatori che si muovono a centrocampo. In Argentina, nel resto d’America e in Spagna si parla di gioco volante, ma quasi nessuno conosce la sua musa ispiratrice, e la sua biografia è sorprendente.
La storia, almeno per gli argentini, iniziò nel febbraio 2012 nell’anteprima della partita Lanús-Flamengo per la Copa Libertadores. Nel testo “A centrojás chiamato Volante”, pubblicato su un blog di Lanús, il giornalista Marcelo Calvente ha raccontato di un colloquio avuto con un cronista brasiliano inviato a Buenos Aires per seguire la partita, Claudio Portella. Il collega gli ha raccontato che, durante la trasferta in Argentina, l’esperto direttore tecnico del club brasiliano, Joel Santana – unico allenatore campione carioca con le quattro grandi di Rio de Janeiro, Flamengo, Fluminense, Vasco da Gama e Botafogo -, ha parlato con insistenza di Carlos Volante, un idolo del Flamengo degli anni ’40 che, come ricordava, era nato molto vicino allo stadio di Lanús. Nella sua ammirazione per Volante, che divenne tre volte campione di Rio de Janeiro nel 1939, 1942 e 1943 e giocò come centrocampista centrale – allora chiamato semplicemente centrocampista-, Santana raccontò a Portella un fatto fino ad allora sconosciuto: l’influenza dell’argentino era stata così grande che gli allenatori brasiliani iniziarono a chiedere ai loro centrocampisti di giocare come Volante.
Portella arrivò al campo di Lanús e chiese di qualcuno che conoscesse Carlos Volante -ricostruisce Calvente-. Come era stato scritto più volte a proposito del fratello, José Volante, uno gli diede il suo contatto. La cosa buffa è che a Lanús il personaggio famoso era José, che è stato calciatore, allenatore e presidente del club, e nemmeno in famiglia sapevano molto di Carlos. Aveva trascorso quasi tutta la sua carriera all’estero, viveva in Italia e andava in Argentina a trascorrere le feste di fine anno. In famiglia non sapevano neanche che i brasiliani avessero iniziato a usare il termine gioco come Volante dopo di lui: l’hanno scoperto quando l’ha detto loro il giornalista brasiliano.
Una semplice lettura su Wikipedia in portoghese – perché Carlos Volante non ha ancora un riferimento in spagnolo – conferma questa versione: “Mentre giocava in mezzo al campo, divenne popolare la parola ‘Volante’ per definire la sua posizione, un’espressione che è utilizzata fino ad oggi in tutto il Brasile per i giocatori che giocano nella stessa posizione”. Una ricerca giornalistica può iniziare con Google ma non deve mai finire sul web, e l’articolo di Calvente è finalmente arrivato al Football History Research Center (CIHF), l’organizzazione che ricostruisce e divulga il passato del calcio.
Uno dei suoi membri, Felipe Soutinho, ha scritto ai suoi colleghi nell’agosto 2019: “Secondo una fonte brasiliana che merita il mio rispetto, sembra che la storia di Volante – che era un numero 5 vecchio stile, più difensivo che altro – è vera. L’allenatore del Flamengo che iniziò a usare quella terminologia sarebbe stato Flávio Costa, che avrebbe poi guidato il Brasile nella Coppa del Mondo del 1950. Il giocatore a cui chiese di giocare ‘come centrocampista’ sarebbe stato Modesto Bría, un paraguaiano arrivato al Flamengo nel 1943 appunto sostituire l’argentino, già veterano. Più che definirgli un ruolo tecnico, Flavio ha voluto dire a Bría di giocare con il piglio di Volante, di darsi totalmente qualcosa di molto caratteristico di quei giocatori argentini e che all’epoca mancava ai brasiliani. Il termine ‘volante’ è stato imposto per la popolarità del Flamengo e perché Costa è stato l’allenatore più prestigioso fino al Maracanazo, quando è caduto in disgrazia. Anni dopo, negli anni ’60, chi avrebbe portato il termine in Argentina sarebbe stato il brasiliano Osvaldo Brandão, che guidò l’Independiente nel 1961 (dopo aver allenato Corinthians, Palmeiras, Santos e la nazionale brasiliana tra il 1945 e il 1960)”.
Un altro specialista del CIHF, Sergio Pittis, ha aggiunto al rapporto di Soutinho: “Conosco la storia in modo leggermente diverso. È vero che ‘jugá como Volante’ iniziò ad essere usato in riferimento allo stile di quel giocatore argentino, ma era un’espressione apparsa sulla stampa, non ad opera di un allenatore del Flamengo”. Lo scambio tra storici, più il ricordo di Santana del giornalista brasiliano – e diversi articoli pubblicati in Brasile -, sono categorici: una semplice indagine attraverso Spagna, Perù, Colombia e altri paesi di lingua spagnola conferma che, lungi dall’essere una parola argentina o brasiliana, è un’espressione che ha rotto i confini ed è usata negli stadi, sugli spalti e nelle cabine stampa dell’America Latina.
Figlio di emigranti italiani alessandrini, Volante nacque a Lanús l’11 novembre 1905 e iniziò a giocare in Prima Divisione anche per il Garnet – sei partite tra il 1924 e il 1926 -, fino al suo primo passaggio al General San Martín, club dilettantistico situato nell’omonima area nella Grande Buenos Aires, che ha aperto le porte alla sua carriera: un eterno pellegrinaggio di club in club, come se fosse un calciatore itinerante (e poi allenatore itinerante). La sua grande squadra da calciatore in Argentina sarà il Platense, per il quale giocherà 97 partite tra il 1927 e il 1930. Nel frattempo, nel gennaio 1928 gioca in amichevole con il Boca e l’anno successivo, nel giugno 1929, esordisce in Nazionale durante l’1-1 contro l’Uruguay, a Montevideo. Nel maggio 1930, la copertina di El Gráfico scrisse: “Carlos Volante, l’instancabile e prezioso centrocampista del Platense, squadra che guida il campionato”.
Il 3 agosto 1930, cioè tre giorni dopo la finale del primo Mondiale, Volante aggiungerà la sua seconda e ultima presenza con la maglia dell’Argentina, una vittoria per 3-1 nel vecchio stadio del River, a Palermo, contro una Jugoslavia che, dopo aver perso la semifinale contro l’Uruguay, e che faceva visita all’altra sponda del Río de la Plata. Alla fine del 1930, Volante si unì temporaneamente al Vélez per un lungo tour americano che si concluse nell’aprile 1931. Contemporaneamente viaggiò anche con il Gimnasia, ma in Europa, e dopo una partita contro il Napoli, i dirigenti italiani tentarono di ingaggiare José María Minella, il centrocampista centrale della squadra di La Plata – e futuro giocatore e allenatore del River-. Poiché il club disse loro di no, i dirigenti del Napoli gli chiesero un altro giocatore simile. Lì Minella accennò a Volante. Era in Cile in tour con il Vélez, quando ricevette un telegramma dalla sua famiglia.
“In casa mia è nata una grande discussione, ‘che te ne vai, che non te ne vai’ – ricorderà Volante nel 1946 per El Gráfico-, e allora ho deciso di chiedere una certa cifra perché i dirigenti del Napoli dicessero di no. Hanno accettato inaspettatamente e così è iniziata la mia storia in Europa”. Forse per non perdere forma, tra giugno e agosto 1931 giocò otto partite con gli Excursionistas, finché nella stagione 1931-‘32 divenne il primo argentino a vestire la maglia del Napoli, primo passo di una storia che ha poi portato a Maradona. Volante non era di passaggio in Europa: fu titolare e protagonista in quasi tutte le squadre in cui militò, Livorno nel 1932-‘33, Torino nel 1933-‘34, Stade Rennes (in Francia) nel 1934-‘35, Olympique Lillois (squadra che qualche anno dopo, per fusione, formerà il Lille) dal 1935 al 1937 e, quando già si sente l’odore della Seconda guerra mondiale, dal 1937 al 1938, nell’Athlétique de Paris.
“Il mio prozio è scappato dall’Italia perché Mussolini (Benito, il capo fascista) aveva convocato nelle milizie tutti i figli degli italiani che vivevano nel paese – riprende Calvente – . Carlos non ne voleva sapere nulla e, poiché aveva sposato María Luisa, una ragazza dell’aristocrazia italiana, figlia di un diplomatico, approfittò di alcuni contatti per fuggire dal Paese. Ma in Francia si rese conto che la guerra mondiale stava arrivando e approfittò dei Mondiali del 1938 per contattare l’unico paese sudamericano in cui si era recato, il Brasile. Voleva tornare in Argentina. A Parigi aveva conosciuto Oscar Alemán (un formidabile chitarrista argentino, specializzato in jazz, che aveva vissuto in Brasile), e aveva preso contatto con la delegazione”. Non è chiaro il ruolo che Volante ha svolto nella squadra brasiliana ai Mondiali francesi del ’38 – la maggior parte dei testi sostiene che fosse un massaggiatore-, ma è chiaro che, al termine degli stessi, si è recato in Brasile insieme ai giocatori e firmò per il Flamengo, club in quello che avrebbe chiuso la sua carriera tra il 1939 e il 1943.
Dopo il suo ritiro – e mentre Costa chiedeva al paraguaiano Bría di giocare come l’argentino che aveva lasciato il segno in 161 partite con il Flamengo-, Volante è tornato in patria, al Lanús, per iniziare la sua carriera da allenatore. “Come si dice in Francia, torni sempre al tuo primo amore”, ha detto a El Gráfico. Ha guidato il Garnet per 30 partite tra il 1945 e il 1946, ma sua moglie volle tornare in Brasile. Nel frattempo, Volante si conferma l’argentino più brasiliano: nella Copa América del 1946, disputata a gennaio a Buenos Aires, fa ancora parte della delegazione verdeamarela, poi come sparring partner, secondo il sito www.futebolportenho. com.br . Il suo primo club come direttore tecnico oltre confine fu l’Inter di Porto Alegre, di cui divenne due volte campione gaucho 1947 e 1948. Non perse nessuna delle 12 classiche che la sua squadra giocò contro il Gremio e il suo nome continua a rimanere ai vertici dell’Inter ma, poco dopo il doppio scudetto, sempre nel 1948, tornò a Rio de Janeiro.
Una menzione di Volante (senza il nome, ma con la nazionalità) compare in “Lonely Star”, la formidabile biografia che lo scrittore brasiliano Ruy Castro ha tracciato su Garrincha. Lì l’argentino figura, già nel 1950, nell’ambito dello staff tecnico del Vasco da Gama. L’uomo con le gambe storte che viene considerato la migliore ala destra della stori,a era ancora un adolescente di 16 anni che, senza alcun contatto con il grande calcio, era venuto dall’interno di Rio per mettersi in gioco. “Il responsabile degli allenamenti era Volante, un argentino”, ha scritto Castro. Vedendo Garrincha a piedi nudi tra la folla di ragazzi, gli chiese perché non avesse le scarpette. Garrincha si era vergognato a presentarsi con le sue scarpe vecchie e rotte, e pensava anche che gli avrebbero prestato gli scarpini, ma Volante lo liquidò: “Non puoi allenarti a piedi nudi”. Garrincha avrebbe poi detto che Volante aveva guardato le sue gambe storte e lo aveva chiamato “storpio”, ma nessuno oltre a Garrincha lo aveva sentito dire, e quelli che conoscevano Volante garantivano che sarebbe stato incapace di tanta maleducazione.
Nel 1953 si recò nel nord del Paese, a Salvador, per dirigere il Vitoria, che consacrò campione bahiano dopo 44 anni, bissando ancora il titolo nel 1955. Quattro anni dopo incrocia l’altra grande squadra della città, il Bahia, e batte il Santos di Pelé nella prima edizione della Copa Brasil, il torneo che dal 1971 si chiamerà Brasileirao. Volante è stato chiamato dal Bahia solo per l’ultima partita, il tie-break a Rio de Janeiro dopo una vittoria per entrambe le squadre nelle finali tra Salvador e Santos (entrambe con Pelé).
Anche se il nuovo fenomeno del calcio mondiale, campione l’anno precedente in Svezia nel ‘58 a 17 anni, non ha potuto giocare al Maracanã, il 3-1 del Bahia, con Volante in panchina, è stato considerato un’impresa. Sessant’anni dopo, l’uomo di Buenos Aires sarà ricordato dai media brasiliani perché, fino a quando il portoghese Jorge Jesús ha allenato il Flamengo campione del Brasileirao 2019, l’argentino è stato ancora l’unico allenatore straniero ad aver vinto un campionato nazionale, quel titolo con il Bahia.
L’anno successivo, nel 1960, Volante guidò il Bahía nelle sue due partite contro il San Lorenzo, per la prima edizione della Copa Libertadores. La sua carriera calcistica stava finendo e tornò a vivere in Italia, fino a quando morì a Milano, all’età di 76 anni, il 9 ottobre 1987. “È una storia incredibile, la raccontiamo e molti non ci credono”, dice una sua pronipote, Gabriela Volante, erede del cognome più sconosciuto ma più usato nel calcio.
Mario Bocchio