“Quando il piccolo Focker atterrò ad Adana, località della Turchia, dopo il volo dalla capitale ed ora tornata alla ribalta della cronache per avere dato di recente ospitalità a Balotelli, io, Pizzul e Bersellini tirammo un sospiro di sollievo. Dieci giorni prima un aereo analogo era finito in mare non avendo preso nel modo giusto l’atterraggio che iniziava proprio sulla costa che era ridosso del mare. Ripartire era più facile, il problema era sempre atterrare specie col vento forte. Comunque atterrammo e scoprimmo a nostra volta questo pezzo di Turchia dalla quale allora era impossibile telefonare”.
A raccontarlo Giorgio Gandolfi, allora inviato de La Stampa.
Per la partita di Coppa UEFA, le poste turche avevano predisposto addirittura un ponte per collegare i sette inviati dei giornali italiani.
Era il 16 settembre del 1981 e i nerazzurri di Bersellini avrebbero vinto 3 a 1 con le reti di Serena, Bini e Altobelli dopo quella iniziale del turco Özer; anche la gara di ritorno non avrebbe avuto storia con la quaterna rifilata ai turchi (Beccalossi, Bagni, Serena, Altobelli i cannonieri).
L’avventura dei nerazzurri si sarebbe conclusa in Romania con l’ultima tappa in casa della Dinamo Bucarest. Di altro lignaggio l’avventura dell’anno successivo contro colossi come AZ 67 e Real Madrid ma questa fu un’altra storia.
“Per Bersellini fu un’altra bella esperienza, lo ricordiamo con nostalgia perchè fu il tecnico che fece esordire Bergomi a 17 anni in Coppa dei Campioni, visse una lunga stagione all’Inter ed io gli ero quasi sempre al suo fianco anche nelle trasferte come Craiova, Madrid, Adana e Trebisonda in Turchia, Groningen, Budapest, Glasgow (in aereo vicino a Brady gli chiesi: Glasgow o Glesghov, e lui: Glaaaasgow) e così via. Il tecnico che aveva un ‘segreto’, Armando Onesti, modesto quanto intelligente, propugnatore dello streching quando tutti lo ignoravano e che lui applicava con un senso da missionario anche se i giocatori non gradivano”.
Una foto su un libro mostra Bersellini con una bottiglia di vino, Sangiovese. C’è scritto: produttore di vino in Emilia. No, lo produceva in Romagna, avendo acquistato – memore delle sue origini – un pezzo di terreno dalle buone viti. Il vino si chiamava Pagadebit ed era coltivato con orgoglio dai contadini che avevano la memoria lunga, rispettosi dei tempi magri: serviva appunto di scorta per i periodi poco produttivi. “Mi aveva regalato una bottiglia in uno degli assalti periodici alla Pinetina ed era un ottimo vino, soprattutto naturale. Lui, Bersellini, si vantava di produrlo senza artifici. In effetti a pasto era l’ideale per cui cominciai a farmi mandare alcuni scatoloni, diventando un suo cliente. Per lui fu una vittoria ‘morale’ , vendere il vino della famiglia del Sangiovese a Torino nella terra dei vini, il Piemonte”.
“L’impatto con Bersellini, in verità, non fu molto amichevole. Avvenne alla sua presentazione nella sede dell’Inter, allora in Foro Bonaparte nel cuore di Milano, a due passi dal Duomo, con Fraizzoli presidente e Prisco gran vice presidente. Nel suo intervento di auto-presentazione, Bersellini disse: ‘….perchè noi parmigiani…’ ed io intervenni: ‘Lei è un parmense….’. E lui: ‘Ah, lei è di Parma‘. Quel distinguo lo mise all’erta: da allora in poi si definì un parmense. Fraizzoli, che non era un falco pellegrino (al contrario della moglie, Lady Renata, appassionata di calcio) chiese qual era la differenza, gliela spiegò lo stesso Bersellini: ‘noi di Borgotaro siamo ai confini della provincia di Parma, quindi parmensi…’. Poteva anche starci”.
Bersellini non era permaloso ma ci mancava poco come lo sono molti di quelli nati in Emilia. “Da allora ci si dava del lei e tale rimase sino all’ultima volta che lo incontrai all’Auditorium Paganini per un suo intervento extra calcio. Forse la sua ultima apparizione: stentava a ricordare i nomi, come succedeva anche a Trapattoni. Ma una lunga carriera con migliaia di conoscenze e di nomi metterebbero a dura prova la memoria di chiunque”.
Bersellini vinse lo “storico” scudetto dell’Inter a tre giornate dalla conclusione del campionato pareggiando a San Siro contro la Roma che aveva segnato con Pruzzo e Turone: la riposta dei nerazzurri con Oriali e all’88’ col mantovano di Sustinente, Mozzini, reduce dal Torino. La Juventus, che aveva travolto il Perugia di Paolo Rossi e Bagni, rimase così a cinque punti, 34 contro i 39 nerazzurri (allora le vittorie valevano ancora due punti) .
E a San Siro fu una gran festa. I neo campioni chiusero vincendo a Firenze e perdendo nell’ultima contro l’Ascoli di Muraro e Anastasi. Le due vittorie della Juventus servirono soltanto ad attenuare il distacco conclusivo, 41 a 38. Bersellini era riuscito nell’impresa fallita da tecnici più “importanti”. Ma lui, come disse Bergomi all’indomani della vittoria in Coppa dei Campioni espugnando il “Maracanà” di Belgrado, il futuro campione del mondo, “ è una gran brava persona, molto umana” . Non sono doti tecniche ma anche nel calcio spesso fanno la differenza.
La differenza semmai l’avrebbe fatta Platini se fosse finito all’Inter e non alla Juventus. E tutto perchè Fraizzoli, milanese dalla tasca corta, lasciò la strada aperta a Boniperti e ad Agnelli . “E pensare che la cosa era già fatta, andammo addirittura a giocare un’amichevole a Nancy, era il marzo dell’83 come testimonia la cartolina che mandai a casa, approdai con Mazzola e Beltrami (ds nerazzurro, famoso per le sue topiche) nell’abitazione del giocatore, dove uscendo Beltrami disse : ‘Ci vediamo … apres la gare’ lasciando interdetti i famigliari del giocatore. Cosa c’entrava la stazione? Platini andò alla Juventus a vincere due Palloni d’oro consecutivi più il resto, Coppe e scudetti. Che storia diversa sarebbe stata per l’Inter e per Bersellini… E tutto per risparmiare un paio di stipendi e un indenizzo alla società francese che Agnelli e Boniperti non risparmiarono, anzi…”.