Il Lanerossi Vicenza fu il vincitore morale del campionato 1977-‘78, e con il secondo posto dietro alla Juventus conquistò il diritto di partecipare alla Coppa UEFA.
Il sorteggio non risultò favorevole e dall’urna uscì il nome del Dukla Praga. La nazionale cecoslovacca aveva recentemente vinto ai rigori la quinta edizione dei campionati europei che si erano tenuti nel 1976 nell’allora Jugoslavia, grazie all’indimenticabile cucchiaio di Panenka a Sepp Maier nella finale contro la Germania. II Dukla Praga che incontrò il Lanerossi Vicenza era una squadra decisamente forte, scorbutica, che poteva contare addirittura su sei nazionali. Di questa avventura europea Valeriano Prestanti, indimenticato stopper del Real Vicenza, ha parlato con Anna Belloni per “Biancorossi.net”.
“Eravamo partiti con un volo da Milano Malpensa a Praga e ci eravamo sistemati all’Hotel Intercontinental. Era un grande e sfarzoso albergo in stile socialista nel centro della città, ricordo che mi fu assegnata una camera insieme a Callioni. Il soggiorno previsto era di quattro giorni, avevamo quindi tutto il tempo di allenarci e di poter anche visitare il centro storico di Praga. Come guida e interprete ci era stata messa a disposizione una giovane coppia di fidanzati che, avendo studiato all’Università di Padova, parlava molto bene l’italiano. Si distingueva immediatamente da tutti i coetanei locali perché, oltre alla lingua, aveva importato in patria anche la cultura e gli abiti dell’occidente e questo strideva con il modo di vita imposto del regime comunista. Il primo allenamento si era svolto allo Stadion Juliska, dove ci alternavamo a orari diversi con il Dukla. Il campo di gioco era circondato da una pista di atletica, su un lato vi era una sola tribuna coperta, della capienza di circa diecimila posti. Noi, abituati alla bolgia colorata del Menti e al contatto diretto con i tifosi, avevamo provato un senso di profonda tristezza. Eravamo giovani e spensierati, ma ci rendevamo conto di trovarci in un regime totalitario: giocare in uno stadio di proprietà del Ministero della Difesa contro una squadra di militari non era il massimo per noi che della libertà di espressione, magari solo calcistica, avevamo fatto la nostra bandiera.
Nei giorni seguenti c’era stato anche il tempo di scoprire la città. Ponte Carlo, il Vicolo d’Oro, Il quartiere ebreo, la Mala Strana, la Cattedrale di San Vito, il quattrocentesco orologio astronomico del Municipio. La bellezza dei palazzi del centro storico, pur anneriti dalla fuliggine del riscaldamento a carbone, strideva con la povertà che vedevamo intorno a noi. Lunghe file di persone in attesa fuori da misere botteghe di alimentari dove si vendevano solo patate, carote, mele e salami. La discriminazione era evidente soprattutto tra i negozi per i residenti e i negozi per i turisti. Questa atmosfera così particolare contribuiva a farci sentire un po’ più ‘stranieri’. La partita si è giocata la sera del 13 settembre 1978, ricordo che loro sono scesi in campo in maglia gialla, noi nella nostra tradizionale casacca biancorossa. Sapevamo che il Dukla era una squadra molto forte, con la qualità espressa soprattutto in attacco, mentre la difesa era famosa in tutta Europa per il gioco violento. La partita si è giocata la sera del 13 settembre 1978, loro sono scesi in campo in maglia gialla, noi nella nostra tradizionale casacca biancorossa. Sapevamo che il Dukla era una squadra molto forte, con la qualità espressa soprattutto in attacco, mentre la difesa era famosa in tutta Europa per il gioco violento.
La sera della partita non avevamo potuto scendere in campo con la formazione tipo perché nel frattempo si era infortunato Giorgio Carrera, che venne sostituito da Roberto Stefanello. Non ci eravamo resi conto della presenza di così tanti tifosi vicentini, il pubblico era sistemato in un unico settore, la grande tribuna coperta dello stadio, e non erano distinguibili dai tifosi locali. Nemmeno il tempo di assestarci in campo e al sesto minuto è arrivato il gol ceco. Stambacher, sceso sul fondo della fascia sinistra, aveva crossato un pallone al centro a Nehoda, che con un gran tiro al volo aveva infilato il pallone alla destra dell’incolpevole Galli. Dopo essere passati in vantaggio è cominciata la caccia all’uomo, ovvero al nostro bomber Paolo Rossi.
Il continuo ricorrere a violenti falli sistematici ci aveva impedito di giocare ed eravamo riusciti, grazie ad alcune superbe parate di Ernesto Galli, a non subire altri gol. L’uno a zero andava bene anche a noi, perché eravamo sicuri di poter ribaltare il risultato al Menti. Purtroppo non avevamo messo in conto che l’infortunio subito da Paolo per un bruttissimo fallo da dietro di Macela, lo avrebbe tenuto lontano dai campi di gioco per diverso tempo. Avevamo scoperto così a nostre spese che gli arbitri internazionali fischiavano molto poco e che a nulla serviva protestare. La mattina dopo la partita eravamo ripartiti con un volo da Praga a Roma con scalo a Ginevra, la domenica successiva infatti ci aspettava la partita di Coppa Italia contro la Lazio all’Olimpico, terminata con una sconfitta per uno a zero con un gol di Manfredonia nei minuti finali …. in zona Cesarini, come si diceva una volta. Paolo ovviamente non aveva potuto giocare, noi eravamo abituati a vederlo alle prese con le sue ginocchia martoriate, dopo ogni partita gli uscivano degli strani bozzi dietro il ginocchio ed era costretto ogni volta a tenere il ghiaccio, figurarsi come potevano averlo ridotto le carezze di Macela”.
Poi il ritorno, una battaglia che sancì l’eliminazione della squadra italiana.
“Di questa partita ricordo tante cose, ma la prima che mi viene in mente è questa … il giorno prima della partita, mentre ci stavamo allenando nel campo dell’antistadio, abbiamo visto entrare il pullman del Dukla, arrivato direttamente da Praga. Mi fece un certo effetto, perché I giocatori cechi indossavano una tuta sportiva, ma ciascuno di loro aveva la divisa militare con il cappello appesi a una gruccia, di fianco al proprio sedile. Il 27 settembre si giocava finalmente la partita di ritorno al Menti. Purtroppo la diagnosi sull’infortunio subito da Paolo Rossi a Praga non aveva lasciato nessuna speranza per un suo veloce recupero: ‘distorsione al ginocchio destro con distrazione del legamento collaterale mediale’. Noi eravamo comunque carichi e motivati, nonostante le assenze di Paolo Rossi e Giorgio Carrera, pur ben sostituiti da Massimo Briaschi e con Miani, volevamo assolutamente vincere. La partita era iniziata sotto un vero diluvio, purtroppo le condizioni atmosferiche non erano ideali per esprimere al meglio il nostro tipo di gioco. Al 14′ era arrivato il gol di Briaschi, grazie a un’inebriante serpentina su gran lancio di Cerilli. Avevamo continuato ad attaccare, purtroppo al 50′ il Dukla beneficia di una piccola ma fatale deviazione di Roselli, ultimo uomo in barriera, sulla punizione calciata da Samek ed è l’1 a 1. Sapevamo che i tiri da lontano erano una specialità non solo della squadra del Dukla ma di tutto il calcio balcanico, quindi eravamo stati molto attenti a non cadere nella loro trappola. Bisognava evitare non solo di subire falli ma soprattutto di non farli, era un errore che avrebbe potuto costarci molto caro anche dalle lunghe distanze. Proprio Samek, l’autore del gol, poco dopo aveva atterrato in area Guidetti, causando il rigore a nostro favore che avrebbe potuto cambiare le sorti della partita. Il primo rigorista era ovviamente Paolo, in sua assenza toccava a Guidetti o a me tirare la massima punizione, ma Mario non se l’era sentita. A quel punto si era fatto avanti con estrema sicurezza Callioni, offrendosi di batterlo al posto suo. Ne è venuto fuori un tiro sbilenco che è uscito malamente alla sinistra del portiere ceco … immediatamente dopo, ricordo il forte brusio di delusione proveniente da tutto lo stadio. I tifosi, che avevano eroicamente assistito alla gara sotto un interminabile nubifragio, vedevano materializzarsi la fine di un sogno. Sul Menti, per qualche minuto, era calato un silenzio irreale. La partita l’avevamo dominata noi, ma evidentemente era destino che dovessimo essere eliminati. Quando si scende in campo privati di due giocatori del calibro di Rossi e Carrera, si pareggia subendo un’autorete e fallendo un rigore, vuol dire che la dea fortuna non è dalla tua parte.“.
L’avventura europea era purtroppo stata molto breve e le lacrime si erano mescolate alla pioggia (un diluvio quella sera!) di fine settembre. Il Real Vicenza è stata una squadra unica, dal gioco moderno e imprevedibile, capace di sovvertire le vecchie leggi del football e di esprimere uno dei calci esteticamente più belli del secolo.