Avrebbe potuto diventare un calciatore professionista. Forse sì, forse no. Rimane solo la triste realtà di un ragazzo africano morto nel freddo e nell’indifferenza di Milano nel gennaio del 2023. Issaka Coulibay militava come portiere nel St. Ambroeus, la squadra milanese che si impegna a far giocare rifugiati e richiedenti asilo, dando loro uno spiraglio di speranza per cambiare la prospettiva di vita. Per cercare quel riscatto che solo coloro che vengono dalla fame e hanno fame vogliono cogliere appieno.
Non lo vedevano da alcuni mesi, ed è stata proprio la sua squadra a darne notizia della morte.
“Abbiamo appreso con estremo dispiacere della morte di Issaka Coulibay, il portiere di una squadra di amici che qualche volta è venuto ad allenarsi con noi negli scorsi anni. Issaka dopo anni di clandestinità è stato ritrovato senza vita in un capannone abbandonato in via Corelli, i giornali parlano di morte naturale a causa del freddo. Ci sono morti per cui si può solo provare enorme dispiacere, ci sono morti invece per cui non si può che provare molta rabbia. Morire di gelo in una città come Milano non può essere classificato semplicemente come morte naturale, se a Issaka fosse stato concesso di vivere regolarmente con dei documenti molto probabilmente non staremmo scrivendo questo post, e lui, con una vita regolare, magari starebbe pensando a come rincominciare il campionato dopo la pausa invernale. Issaka è morto di clandestinità, perché quando non ti viene concesso di avere dei documenti sei costretto a vivere e a morire ai margini della società, senza un permesso di soggiorno, senza la possibilità di lavorare regolarmente, senza la possibilità di affittare una casa, guidare una macchina o accedere a quei servizi basilari che sono concessi a tutti. Eri un portiere fortissimo, ti vogliamo ricordare così, in mezzo ai pali del torneo estivo del Pini che porti la tua squadra in finale. Che la terra ti sia lieve. Giustizia per Issaka, e documenti per tutte e tutti. La clandestinità uccide”.
Issaka Coulibay era originario del Togo o forse della Costa d’Avorio e come tanti aveva vissuto il dramma dei noti viaggi della vergogna dall’Africa all’Italia. Ogni migrante infatti, ha subìto dei traumi, spesso indicibili, che a volte lo spingono a mentire sulla propria identità.
In ogni angolo del mondo il pallone è il pallone, fa sognare, infonde speranze. Issaka era molto appassionato di calcio, Lassane Traore, l’allenatore senegalese, lo conosce nel centro d’accoglienza di via Corelli, vicino all’edificio fatiscente dove verrà poi trovato morto.
Era in attesa di regolarizzazione, è entrato in contrasto con il direttore del centro e per paura di non poter più ricevere i documenti ha pensato di scappare e di condividere la strada con altri disperati. Così ha dovuto dire addio agli allenamenti e alle partite. E al sogno di trovarsi un lavoro e di diventare un vero calciatore.
La cosa più triste è pensare che sia morto completamente da solo, quella più devastante è il dubbio che i genitori e i parenti in Africa lo abbiano saputo.
Mario Bocchio