Chi lo ha visto giocare lo ricorda come un difensore di ferro. Ernesto Castano lo hanno anche definito il capitano di una Juventus operaia.
Se n’è andato oggi a 83 anni. Nato a Cinisello Balsamo, cresciuto nella Balsamese approdò Serie B al Legnano appena diciassettenne. Poi la Triestina, sempre tra i cadetti, con cui vinse campionato del 1957-’58 quindi la Juve. Subito quella di Charles, Sivori e Boniperti, con gli scudetti del 1959 e del 1961 da gregario.
Quando divenne titolare non ci mise molto a porsi al comando della difesa, ma non si capì mai bene il ruolo preciso, se stopper o libero. Prestante fisicamente era però debole di ginocchia e dovette sempre stringere i denti nella Juve di Heriberto Herrera che si fregiò del tricolore nel 1967.
Era il capitano di quella che fu definita la Juve operaia – senza stelle ma unita come con il cemento, perciò tenace e combattiva -. per distinguerla dalla Grande Inter. “Molti pensano che giochi pesante, ma è sbagliato. Gioco con vigore, ma in maniera corretta. Forse è il mio atteggiamento, il mio volto spesso imbronciato che mi fa passare per un duro” si era confessato a Hurrà Juventus. Chiuse la carriera a Vicenza.
Castano fu voluto in bianconero soprattutto dal grande Renato Cesarini, che una volta si rivolse a Umberto Agnelli, il presidente: “Scommettiamo quell’orologio che ha sul braccio che quel ragazzo là alla prima convocazione in azzurro, esordisce?”. Il Dottore perse la scommessa e il campione celebre per i gol negli ultimissimi minuti di gioco incassò il prezioso orologio.
In nazionale, pur giocando solo sette partite tra squadra B e maggiore, riuscì a scendere in campo e a vincere l’Europeo del 1968.
Mario Bocchio