La foto è vecchia di sessant’anni ma è impossibile non riconoscere il volto di Ernesto Guevara. Tutti sanno come è fatto il Che, in pochi ne conoscono le gesta, in pochissimi ricordano la sua immagine con il pallone in mano quando ancora era ministro dell’Industria e dell’Economia. Guevara ha lo sguardo poco distante dall’obbiettivo della macchina fotografica, è vestito di tutto punto e ha tutti i tratti che lo hanno caratterizzato nel corso dei decenni: la barba incolta, il berretto, la divisa, il sorriso ammezzato su un volto ancora giovane ma già immortale.
Intorno a lui alcuni giocatori che sembrano quasi fare a pugni per poter entrare in quella foto, la foto con Ernesto Guevara. Il pallone che il Che tiene tra la destra e la sinistra è un pallone di cuoio, rigorosamente da calcio, e quelli attorno a lui sono, di conseguenza, dei calciatori. Sulla maglia di uno di loro si intravede, un po’ di sbieco, la scritta Madureira.
È il 18 di maggio del 1963 a L’Avana, da poco più di quattro anni Cuba è libera dalla dittatura di Fulgencio Batista e Fidel Castro è primo ministro. Il socialismo è come l’universo, in espansione. Proprio per questo motivo la foto di Ernesto Guevara con il Madureira non è solamente uno scatto gioviale rubato a un momento di divertimento del Che, ma assume un significato politico e sociale intenso: il Madureira è stata la prima squadra di calcio straniera a mettere piede sull’isola dopo la rivoluzione del 1959. Infatti dopo le vittorie ai Mondiali del 1958 e del 1962 il Brasile si era creato una sorta di aura magica attorno, era la nazionale più forte del mondo e lo stato da cui venivano alcuni tra i più grandi campioni esistiti in quel periodo.
All’inizio degli anni Sessanta il presidente José da Gama, tenendo fede al suo cognome, decide di far viaggiare il Madureira a nord sia in Sudamerica che nell’America Settentrionale, per far conoscere la squadra e soprattutto raggranellare un bel po’ di quattrini per tirare a campare. All’epoca il Madureira non aveva, come neppure oggi, simpatie politiche particolari, men che meno socialiste. Eppure da Cuba arriva un’offerta irrinunciabile per il Madureira: il governo cubano, mai troppo appassionato di calcio, sceglie di ospitare il club di Rio de Janeiro dando un certo sostentamento ai brasiliani. E così nella primavera del 1963 da Gama riesce a portare il suo Madureira là dove il buon John Fitzgerald Kennedy vorrebbe mettere le mani.
Tre anni dopo l’approvazione da parte di Eisenhower di un piano CIA per rovesciare il governo di Castro, due anni dopo il fallimento dello sbarco alla Baia dei Porci, un anno dopo la famosa crisi dei missili, a Cuba arriva una squadra di media levatura dalle maglie rosse, giallo e blu destinata a passare alla storia come rivoluzionaria ma in realtà giunta fin lì sospinta più dagli affari che dalla vicinanza al socialismo.
Il Madureira batte 5-2 i campioni cubani degli Industriales, asfalta la Municipalidad de Moron 6-1, vince sul velluto 11-1 contro una selezione universitaria e in due riprese ha la meglio di misura (1-0 e 3-2) contro delle squadre de L’Avana create per l’occasione. La vittoria tennistica contro la Municipalidad de Moron ha in sé qualcosa di storico, perché è lì che nasce il mito del Madureira ed è lì che viene scattata la famosa foto del Che e del pallone. Giusto perché il calcio non lascia niente al caso, vale la pena sottolineare che da Moron veniva Roberto Rodríguez Fernández detto El Vaquerito, il contadino diventato capitano del Plotone Suicida.
Il ministro Guevara dunque è presente sugli spalti per ammirare la prima squadra straniera in visita a Cuba e decide a fine match di andare a scambiare qualche chiacchiera con questi brasiliani del Madureira, dimostratisi fortissimi sul campo. Guevara soppesa il pallone, sorride, parla con allenatore e giocatori, chissà cosa si dicono.
Il Che ha sempre pensato allo sport come mezzo di aggregazione soprattutto per i disagiati, lo ha scritto in una famosa lettera al padre e lo ha toccato con mano durante il mitico viaggio con Alberto Granado, quando non erano un famoso guerrigliero e uno stimato dottore ma soltanto due giovani sognatori in sella a una motocicletta.
Il Madureira conclude imbattuto la sua esperienza cubana, torna in Brasile con una nomea particolare, mentre il governo di Goulart è agli sgoccioli e anche in patria il comunismo è visto come uno dei mali da debellare dalla società. Nel 1964, quando i militari prendono il potere, il Madureira fa un’altra controversa tournée – controversa perché contro il volere della federazione calcistica verdeoro – e stavolta forse oltre al fine economico c’è davvero un qualcosa di politico dietro, è nato realmente un ideale: i brasiliani vanno in Cina e la foto storica stavolta è più severa, austera, ma ugualmente consumata dal tempo. I giocatori del Madureira sono ritratti mentre stringono la mano a Mao Tse-tung in persona.
L’ultima foto del Madureira è più recente, è a colori e risale al 2013, cinquanta anni dopo quella in bianco e nero col Che e il suo sorriso accennato. Anche stavolta è presente Ernesto Guevara de la Serna, ma è tutto diverso. Solo Cuba è ancora lì, con le apparizioni sempre più sporadiche di Fidel Castro. Il resto è cambiato: il Madureira è sceso in terza divisione e annaspa perché economicamente non è messo bene, al governo in Brasile è appena ritornato Lula dopo la parentesi della destra reazionaria di Bolsonaro. Guevara e Mao non ci sono più, così come molti giocatori della tournée del 1963, il cui ricordo è offuscato.
Guevara, per colpa o per merito di Alberto Korda e dell’ennesima foto, ha il volto scolpito nella storia e in questo caso pure sulla maglia del Madureira.
Quella che doveva essere solo una maglietta da tournée estiva diventa il simbolo di una ribellione e di una rivoluzione che è tutto fuorché ribellione o rivoluzione, a meno che non si intenda in tal senso il marketing. Con la faccia del Che sulla casacca e la bandiera di Cuba su tutta la divisa da portiere il Madureira mette a segno un colpaccio in termini di vendite e, onestamente, il risultato grafico è pure apprezzabile. Quello morale un po’ meno, ma non è colpa loro se negli anni quel volto fiero e trasognato, a furia di esser stampato e ristampato, ha perso tutta la tenerezza del caso.
Fonte Minnuto Settantotto