Il 29 giugno 1950, all’Estádio Independência di Belo Horizonte, in una partita della fase a gironi che è ancora considerata uno dei più grandi, se non il più grande, sconvolgimento della storia dei Mondiali, una nazionale statunitense sostanzialmente amatoriale sconfisse 1-0 una forte squadra inglese che era una delle favorite per vincere il torneo. L’Inghilterra aveva dalla sua quasi tutto il possesso palla e molti tiri in porta, ma non riusciva a segnare. Gli Stati Uniti ebbero una mezza possibilità, ma poi non furono in grado di sfruttarla. Al 38′ del primo tempo, il capitano degli Stati Uniti Walter ricevette una rimessa da Ed McIlvenny appena dentro il centrocampo inglese.
Avanzò e poi, da circa 25-30 yard, colpì la palla verso il secondo palo del portiere inglese, Bert Williams. Fu un tentativo speculativo, non un tiro netto in porta e nemmeno un passaggio preciso. Williams si spostò alla sua destra per raccogliere lo sforzo, ma il centravanti statunitense Joe Gaetjens si lanciò sulla palla e, indipendentemente dal fatto che fosse per abilità o fortuna, la sfiorò leggermente con la testa. Williams venne colto nel modo sbagliato e la palla finì in rete alla sua sinistra.
Oltre al gol degli Stati Uniti, l’episodio più ricordato della partita si verificò circa sette o otto minuti prima del fischio finale. Stanley Mortensen raccolse una palla vagante nel cerchio centrale e corse verso la porta degli Stati Uniti con l’unico difensore centrale, Charles Colombo, che lo inseguiva. Colombo, soprannominato “Guanti” perché giocava sempre con un paio di guanti di pelle, era un giocatore robusto e molto competitivo, spesso descritto come una “macchina da demolizione”. Era il tipo di difensore che ricorrerebbe a qualsiasi cosa per fermare un avversario perché, secondo alcuni suoi compagni di squadra, “prendeva come un insulto personale se fosse stato superato” e, per evitarlo, “avrebbe paralizzato anche sua nonna”. Un compagno di squadra, come lui nel St. Louis e in nazionale, Gino Pariani, lo descrisse in questo modo: “Possono dire che era un giocatore sporco, ma non sono mai venuti nello spogliatoio dopo le partite a vedere tutti i calci e le contusioni che aveva… E non serbava rancore”.
Mortensen era un giocatore veloce e Colombo ha subito capito che non sarebbe riuscito a raggiungerlo prima che l’attaccante fosse in grado di tirare, indisturbato, in porta. Così, mentre Mortensen si stava avvicinando all’area di rigore, Colombo si lanciò letteralmente a capofitto verso Mortensen e lo atterrò afferrandogli le caviglie con le mani, come si farebbe in un placcaggio da football americano o da rugby. Tale era la velocità che lo slancio dei giocatori li portò entrambi quasi al dischetto.
L’arbitro, Generoso Dattilo, dall’Italia, fischiò il fallo e corse verso Colombo. Gli disse qualcosa. Nessun altro giocatore, a parte Mortensen, era abbastanza vicino per sentire cosa proferì Dattilo, bisogna fare affidamento sul resoconto dell’episodio dato da Colombo: “L’arbitro è venuto (sic) correndo verso di me – era un arbitro italiano – e agitò il dito contro di me e continuava a dire ‘Buono! Buono!’ che significa buono”. Un altro giocatore statunitense, il difensore Harry Keough, anche lui del St. Louis, confermò in seguito l’episodio: “Charlie lo ha affermato fino al giorno della sua morte”.
Ciò non sorprende poiché era la verità, o, più precisamente, la verità, come la intendeva Colombo. Il problema di questa storia, infatti, non è quello che ha detto l’arbitro, ma il significato delle parole che ha pronunciato. Diversi sostengono che sia Colombo che i tanti giornalisti che hanno ripetuto questa storia negli anni successivi hanno frainteso il significato delle parole di Dattilo. Infatti, se si dovesse accettare questa versione della storia, sorge spontanea la domanda: perché un arbitro dovrebbe avallare un fallo così palese al punto da congratularsi con il giocatore responsabile? Due giocatori della squadra statunitense, Bahr e Keough, hanno avanzato due ipotesi diverse: Bahr ritiene che il commento dell’arbitro “era probabilmente uno scherzo” , mentre Keough ha affermato che poiché “l’arbitro era italiano… e la squadra italiana era anch’essa del Mondiale” forse il direttore di gara ha preferito che gli Stati Uniti vincessero la partita e quindi rendessero ostico all’Inghilterra il cammino verso la fase a gironi finale. Questo, secondo lui, è stato il motivo per cui l’arbitro “non ha cacciato Charlie fuori dal campo”.
Entrambe le spiegazioni non sono convincenti. Il fallo di Colombo è stato sicuramente teatrale, ma è difficile immaginare un arbitro disposto a scherzare con il giocatore responsabile. L’ipotesi di Keough è contraddetta da almeno tre considerazioni. In primo luogo, l’Italia era in un girone di qualificazione di sole tre squadre e aveva perso la prima partita contro la Svezia 3-2, il che rendeva altamente improbabile che sarebbe passata all’ultimo girone a 4, composto dalle vincitrici di ciascun raggruppamento. Non solo l’Italia avrebbe dovuto battere il Paraguay nella partita rimanente, ma doveva anche sperare che il Paraguay avesse poi battuto la Svezia. Come è successo, mentre gli Stati Uniti superavano l’Inghilterra a Belo Horizonte, a Curitiba, Svezia e Paraguay hanno pareggiato 2-2 rendendo così irrilevante l’ultima partita dell’Italia contro il Paraguay. In secondo luogo, anche se Dattilo non avesse potuto conoscere l’esito della partita di Curitiba, è comunque altamente improbabile che il sentimento nazionalistico potesse influenzare il suo comportamento.
Dattilo era arbitro internazionale dal 1934, e nella stagione 1939-‘40 aveva ricevuto sia il “Premio Mauro” come miglior arbitro italiano che la medaglia d’oro FIFA come miglior direttore di gara internazionale. In terzo luogo, Dattilo non ha espulso Colombo, come avrebbe dovuto fare oggi, non perché fosse “fedele al suo nome”, come ha abilmente suggerito il giornalista Donn Risolo. Nel 1950, la negazione di un’opportunità da gol non richiedeva un’espulsione automatica. Stava all’arbitro decidere se un giocatore fosse colpevole di “comportamento violento o grave fallo di gioco”, entrambi richiedevano l’espulsione. In questo caso, Dattilo probabilmente ritenne che l’assurdità e la comicità del fallo di Colombo prevalessero sia sulla gravità che sulla violenza. Allora, come si può spiegare cosa è successo?
La vicenda, come abbiamo notato, è stata raccontata dallo stesso Colombo. Era un italiano di seconda generazione nato a St. Louis da genitori lombardi provenienti da piccoli paesi a ovest di Milano e a nord di Pavia. Come la maggior parte degli italoamericani di prima generazione dell’epoca, probabilmente aveva imparato frammenti del dialetto lombardo utilizzato dai suoi genitori a casa, ma probabilmente non parlava correntemente l’italiano e sicuramente non conosceva le sottigliezze del dialetto romano pronunciato dall’arbitro. Dattilo nacque, e visse tutta la sua vita, a Roma e quindi, molto probabilmente, come la maggior parte dei romani si espresse nel dialetto di quella città. Pertanto, crediamo che Dattilo abbia parlato a Colombo in dialetto romano. Colombo credette di aver sentito le parole “Buono! Buono!”. Ma Dattilo, molto probabilmente, gridò invece l’espressione romana “Bono! Bono!” che si pronuncia con una prima o molto aperta e molto lunga e una seconda o chiusa e molto più corta, cioè bɔ:no! bɔ: no!. Colombo capì che l’espressione significava “buono” e l’ha presa come un complimento anche se, come ha anche riferito, l’arbitro gli stava agitando il dito. Risolo, scrivendo di questo episodio, va ancora oltre e traduce l’espressione di Dattilo come “Buon lavoro! Buona strada”.
Colombo, e poi Risolo, hanno frainteso il significato delle parole di Dattilo per due ragioni. La prima è che, se l’arbitro avesse davvero voluto fare i complimenti a Colombo, come pensava quest’ultimo, o volesse dire qualcosa del tipo “Buon lavoro! Way to go” come scrive Risolo, allora non avrebbe usato l’aggettivo “buono”. Nella lingua italiana del calcio l’aggettivo “buono” si usa solo con riferimento al pallone, per segnalare ad un giocatore che non è in fuorigioco o che il gioco non è stato interrotto e che quindi può giocare la palla. In italiano, inoltre, il termine ball è di genere femminile e quindi l’aggettivo avrebbe dovuto essere al femminile (da cui “buona! buona!”). Date le circostanze, però – Dattilo aveva fischiato il fallo e interrotto il match – l’uso dell’aggettivo “buona” con riferimento al pallone non avrebbe avuto alcun senso. Se l’arbitro aveva intenzione di complimentarsi con Colombo con un “Ben fatto! Buon lavoro!” o “Way to go”, molto probabilmente avrebbe usato espressioni come: “Bravo, bravo” o “Bene, bene” o “Ben fatto”. “Bono!” è la traduzione dell’aggettivo italiano “buono” in dialetto romano, ma l’espressione “Bono! Bono!” in dialetto romano non significa “Buono! Bene!”. Si traduce invece come: “Calmati, stai calmo” e si usa principalmente con animali irrequieti (per esempio rivolgendosi a un cane che corre e che abbaia verso di te) ma anche con individui che hanno perso la pazienza e stanno per colpire qualcuno o hanno già inferto il primo colpo. Si pronuncia sempre alzando l’indice e muovendolo leggermente, ma ripetutamente, su e giù, come indicava Colombo che Dattilo stava facendo.
Quindi, lungi dal congratularsi con Colombo, Dattilo lo stava davvero avvertendo e insinuando, più sottilmente, che si era comportato come un animale. Il significato delle parole dell’arbitro è andato perso nella traduzione e l’avvertimento di Dattilo è stato preso come un complimento improbabile, che da allora è entrato nel folklore calcistico come uno degli eventi determinanti nel più grande sconvolgimento calcistico del Ventesimo secolo.
Mario Bocchio