In un calcio sempre più esterofilo, negli anni ’90 del secolo scorso si afferma un modello in controtendenza: il Piacenza, squadra tutta italiana.
Nei primi anni ’90 del secolo scorso il calcio italiano inizia a strizzare l’occhio sempre con maggiore frequenza agli stranieri. Tante società dalle big a quelle che lottano per non retrocedere vanno a caccia di giocatori che facciano al caso loro. In mezzo a tanti campioni, anche numerosi flop. Da questa moda esterofila si dissocia un club, che con la sua politica identitaria farà la storia: il Piacenza tutto italiano.
La favola della formazione emiliana – ci racconta Paolo Camedda – nasce nella stagione 1992-‘93. I biancorossi, guidati da Gigi Cagni, giocano il campionato di Serie B. L’avvio di stagione è problematico e caratterizzato da risultati altalenanti, ma le reti del bomber Totò De Vitis, ben 19, tengono la squadra in lotta per la promozione. Tutto si decide così all’ultima giornata, con il Piacenza che si gioca con l’Ascoli il 4° posto, l’ultimo valido per il salto di categoria.
Il Piacenza supera 1-0 fuori casa il Cosenza con un goal di Simonini, e attende la fine dell’altra gara, quella fra il Padova e i marchigiani, che si gioca nel vecchio stadio dei veneti, l’Appiani. I bianconeri chiariscono subito i rapporti di forza con una doppietta spettacolare di Oliver Bierhoff. Sembra fatta, ma nella ripresa accade di tutto.
Probabilmente l’Ascoli è afflitto dalla classica paura di vincere, vede il traguardo a un passo e crolla. Simonetta pesca il jolly su punizione, e nel finale le reti di Gabrieli e Montrone gettano nello sconforto gli ospiti e fanno esplodere la festa a Piacenza: i biancorossi scavalcano i rivali al 4° posto e ottengono la prima storica promozione in Serie A.
Un’intera città è così proiettata in Serie A, in un campionato che all’epoca è considerato uniformemente il più difficile al mondo. Mentre le altre 17 squadre non esitano a puntellare i propri organici con giocatori provenienti dall’estero, gli emiliani fanno una scelta controcorrente e decidono di giocarsela con un organico di soli giocatori italiani. Nell’estate 1993 il presidente Leonardo Garilli rinforza la rosa ma senza fare follie. I biancorossi tengono in squadra il bomber De Vitis e prendono in comproprietà dal Milan il giovane portiere Massimo Taibi e dal Parma un altro giovane, l’attaccante Marco Ferrante.
“Non abbiamo voluto buttare fumo negli occhi alla gente, – dichiara il patron – abbiamo deciso quindi di rinunciare agli stranieri quando ci siamo accorti che non esistevano sulla piazza elementi adatti alle nostre esigenze, sia sul piano tecnico che economico. Non eravamo disposti a fare esperimenti alla cieca o a svezzare giocatori per altri. Abbiamo quindi preferito puntare sul gruppo che ha portato il Piacenza in Serie A”.
Cagni elabora a livello tattico un 4-3-3 a zona mista molto duttile, che in fase di non possesso si trasforma in un 4-5-1 difficilmente permeabile. E la scelta autarchica del presidente, anziché limitarlo, finirà per esaltarlo. L’obiettivo non può che essere la salvezza, e a inizio stagione prevale l’ottimismo.
“Capisco lo scetticismo che c’è attorno alla squadra, – dice l’allenatore bresciano – ma condivido le scelte della società. Sono tre anni che smentiamo tutti i pronostici estivi, io ci credo anche quest’anno”.
Fra i pali c’è Taibi, davanti a lui Lucci è il libero, Maccoppi il centrale marcatore e Polonia e l’ex Napoli Carannante i due terzini. A centrocampo Moretti in cabina di regia, con Suppa e Papais o Iacobelli mezzali. Davanti De Vitis, che soffre il salto di categoria, è presto scalzato da Ferrante per far coppia con Piovani. Con questa formazione tipo i biancorossi affrontano la Serie A 1993-‘94.
L’avvio è duro, come accade spesso alle neopromosse. Gli emiliani pagano dazio all’esordio, venendo travolti 3-0 dal Torino al Comunale, che allora si chiamava ancora Galleana, e perdono di misura anche contro la Sampdoria al Ferraris (2-1). La svolta arriva però alla terza giornata. Il Milan campione d’Italia di Fabio Capello è ospite al Galleana nel turno infrasettimanale della Serie A.
Il gioco di Cagni imbriglia i rossoneri, il resto lo fa Taibi con alcuni interventi importanti. Finisce 0-0 e il Piacenza in quel momento ha superato il suo battesimo del fuoco nel massimo campionato.
Nella giornata successiva i biancorossi ottengono il secondo pareggio di fila nel derby emiliano con la Reggiana, e alla sesta giornata c’è finalmente la prima vittoria stagionale: un 2-1 al Galleana sul Lecce grazie ad un autogoal di Ceramicola e ad una rete di Turrini in Zona Cesarini. Si capisce che ci sarà da soffrire ma c’è anche la consapevolezza che la salvezza sia alla portata della squadra di Cagni. Ulteriori soddisfazioni il Piacenza se le toglie in Coppa Italia.
A farne le spese è ancora una volta il titolato Milan, avversario degli emiliani negli ottavi di finale. Nell’andata a San Siro una rete in extremis dello stopper Maccoppi permette ai ragazzi di Cagni di riacciuffare il pareggio dopo il vantaggio iniziale dei rossoneri con Lorenzini.
Al ritorno il Galleana è una bolgia biancorossa. Il Diavolo attacca dal primo minuto, ma non riesce a segnare, e sul gong un guizzo di Piovani manda in estasi i biancorossi, che in quel momento diventano ufficialmente la bestia nera del Milan.
Il cammino in Coppa si interrompe però ai quarti, dove sono eliminati dal Torino, mentre in campionato la squadra si mantiene costantemente in zona salvezza. Tuttavia, proprio all’ultima giornata, si consuma la beffa. Il Piacenza fa il suo, pareggiando 0-0 nell’anticipo del venerdì contro il Parma. Ma proprio il Milan, già laureatosi in anticipo campione d’Italia, e in campo con una squadra imbottita di riserve, perde in casa contro la Reggiana, in goal con Massimiliano Esposito. Quella rete manda in estasi il tifo granata e getta nello sconforto il mondo biancorosso, che assapora il gusto amaro della retrocessione.
Ma il Piacenza tutto italiano non muore con il ritorno in B, anzi, prepara la sua riscossa. I Lupi, trascinati dai 15 goal del giovane attaccante Pippo Inzaghi, rientrato alla base dopo i prestiti a Leffe e Verona, vincono il torneo cadetto e fanno immediato ritorno nella massima serie. Proprio il bomber piacentino è il grande sacrificato del calciomercato estivo 1995: se lo aggiudica il Parma, che sborsa per lui 5,9 miliardi di vecchie lire.
Oltre a lui partono anche De Vitis, Iacobelli, Suppa e Papais, quattro dei protagonisti storici. I soldi delle cessioni sono però prontamente reinvestiti da Garilli. Arrivano due attaccanti, Nicola Caccia dall’Ancona (2,3 miliardi) e Massimiliano Cappellini dal Foggia (3,6 miliardi), tre centrocampisti, Eugenio Corini in prestito dalla Sampdoria, Eusebio Di Francesco dalla Lucchese (1,4 miliardi) e Angelo Carbone dal Milan (2 miliardi), due difensori, Mirko Conte in comproprietà dall’Inter (1 miliardo) e un portiere di riserva, Luigi Simoni dal Torino (200 milioni) per sostituire Gandini, che si è ritirato. Naturalmente non ci sono stranieri e al timone resta saldamente Gigi Cagni.
Il modulo base resta il 4-3-3. Nel tridente d’attacco Turrini e Piovani sono gli esterni ai lati del centravanti Caccia. A centrocampo Corini è il regista, con Di Francesco e Carbone mezzali. Davanti al solito Taibi, in difesa Polonia e Fausto Rossini agiscono da terzini, e uno fra Maccoppi e Mirko Conte affianca al centro Lucci. Ne nasce una stagione molto positiva, che culminerà nella prima storica salvezza in Serie A.
Tutti gli interpreti fanno il loro dovere, e brilla in modo particolare la stella di Caccia, protagonista di una stagione di grande spessore con 14 reti complessive. Dopo due pesanti sconfitte nelle prime due gare con Lazio e Juventus, alla terza giornata la squadra di Cagni inizia a ingranare, bloccando a San Siro l’Inter di Bianchi sullo 0-0. Alla quarta giornata, con la prima doppietta di Caccia, arriva la prima vittoria stagionale sul Bari (3-2). Nonostante qualche incidente di percorso, la classifica dà ragione all’allenatore bresciano.
Alla decima giornata al Galleana cade la Roma di Mazzone, stesa grazie a un goal del futuro giallorosso Di Francesco. Il girone di andata il 16 gennaio si chiude con gli emiliani al terzultimo posto assieme al Bari a quota 16 punti. Il girone di ritorno parte con la vendetta casalinga sulla Lazio (2-1), mentre il 4 febbraio un goal di Carbone regala ai biancorossi anche la vittoria sull’Inter (1-0). Fra i risultati positivi spiccano anche il pareggio al San Paolo con il Napoli (0-0), le vittorie interne sul Parma (2-1) e sul Torino (1-0). Gli emiliani conquistano così in anticipo una meritata salvezza e per la prima volta nella loro storia il diritto di giocare per il secondo anno di fila in Serie A.
Nonostante la cosiddetta Legge Bosman abbatta definitivamente le frontiere del pallone, Garilli e il Piacenza proseguono sulla strada dell’autarchia. Finita l’era Cagni e chiamato in panchina il debuttante in A Bortolo Mutti, le cessioni al Napoli di Turrini e Caccia sono compensate dagli arrivi di Valtolina e, soprattutto, di un centravanti di provincia: Pasquale Luiso, soprannominato Il Toro di Sora, mentre per rimpiazzare Corini, tornato alla Samp, si punta su Giuseppe Scienza. La stagione è travagliata ma riserva ai tifosi grandi acuti e un finale esaltante.
Luiso eguaglia Caccia e alla sua prima stagione in Serie A sigla 14 goal. Desta curiosità la sua classica esultanza, a simulare il ballo della Macarena, mentre in assoluto la sua miglior partita è quella con il Milan nell’undicesima giornata. Il 1 dicembre Il Toro di Sora è scatenato, e dopo una doppietta di Dugarry, fissa il punteggio sul 3-2 al Galleana con una spettacolare rovesciata acrobatica rimasta nella storia. L’anno si chiude con la notizia più triste: la morte per infarto del patron Leonardo Garilli il 30 dicembre 1996.
Alla guida della società subentra il figlio Stefano, e gli viene intitolato lo stadio Galleana. ll discorso salvezza si decide invece allo spareggio: avversario il Cagliari di Mazzone, che a Napoli, il 15 giugno 1997, in una gara ad alta drammaticità, soccombe 3-1 contro gli emiliani. Luiso fa doppietta, c’è un autogoal di Berretta e ai sardi non basta la rete di Tovalieri. Il Piacenza è ancora in Serie A.
Gli anni 1997-‘98 e 1998-‘99 vedono il consolidamento del club emiliano nel panorama del calcio italiano, con un 13° posto sotto la guida di Vincenzo Guerini e un 12° con Beppe Materazzi, miglior piazzamento di sempre della squadra nel massimo torneo. Fin dal 1997 arrivano in squadra nuovi giocatori come Giovanni Stroppa, Alessandro Mazzola, Massimo Rastelli e soprattutto Pietro Vierchowod, lo Zar che a dispetto dell’età si dimostra una pedina importante per una realtà di provincia. Dal vivaio sono promossi inoltre in Prima squadra giovani di valore come Alessandro Lucarelli e Simone Inzaghi, fratello minore di Pippo.
Proprio Simone Inzaghi è il protagonista assoluto della stagione record 1998-‘99, in cui segna 15 reti, diventando il miglior marcatore di sempre della squadra in una stagione di Serie A, e si rivela uno specialista dal dischetto (ben 8 goal arrivano su rigore). Dopo tre salvezze consecutive, la squadra è affidata a Gigi Simoni, ma il tecnico non è ben visto dalla tifoseria per i suoi trascorsi alla Cremonese e qualcosa nel giocattolo sembra essersi rotto. La rosa si dimostra troppo acerba per la categoria e arriva così una retrocessione senza attenuanti. Il Piacenza tuttavia si rialza e conquista l’immediato ritorno in Serie A grazie alle reti del figliol prodigo Nicola Caccia, a segno ben 23 volte.
Ma il modello autarchico del club biancorosso cessava di esistere con la terza promozione in Serie A. Nel 2001-‘02, infatti, gli arrivi dei giovani brasiliani Amauri e Matuzalem segneranno l’inizio di una nuova era. Quella del Piacenza tutto italiano, che aveva scritto pagine importanti del calcio italiano, si chiudeva definitivamente. Come sempre in silenzio, senza far rumore.
Fonte Goal