Versione udinese. Il 16 luglio 1922 l’Udinese fu protagonista della finale della prima Coppa Italia.
Al termine di un percorso nettissimo (eliminate, nell’ordine, Feltrese, Edera Trieste, Novese e Lucchese), infatti, i bianconeri si misero in viaggio confidenti verso la Liguria, verso Vado, dove una squadretta di Promozione li attendeva al varco.
Le vicende di quell’ultimo atto e la rivelazione d’un campione iconico come Virgilio Felice Levratto si intersecano mirabilmente nel nuovo libro del sanremese Gerson Maceri “La finale infinita. Il mito dello sfondareti Levratto e la leggenda della prima Coppa Italia”. Coi loro slanci dialettali, infatti, i protagonisti si stagliano vividi sullo sfondo della carrozza di un treno (quello che condusse i friulani in Riviera), tra i carruggi – i caratteristici vicoli stretti e ombrosi liguri – e sugli spalti e sul polveroso e rovente campo di Vado.
Lo spensierato cameratismo dei gitanti in partenza da Udine – corroborato dagli slanci ottimistici della stampa locale secondo cui “ai concittadini non rimaneva, oramai, che un facile incontro col Vado per conquistarsi la meritatissima vittoria” – era scemato, tra i trasbordi e le coincidenze, tra un accelerato e un diretto, in una torpida inedia. Alla goliardia, agli ammiccamenti volgari e alle scanzonature che, specie durante la pausa-pranzo veneziana, avevano allietato la comitiva, subentrò – all’imbrunire sulle desolate distese padane – una strisciante insofferenza, esasperata dal dondolìo snervante e dal continuo sferragliare dell’improvvisata “carrozza a letti” milanese.
Solo quando il convoglio inchiodò, finalmente, sul binario della stazione di Savona Letimbro i passeggeri, sgranchendosi le membra in pose cubiste, si sciolsero in un coro roco di versacci gutturali.
Compiaciutisi con un tic d’intesa di quell’impudico sfoggio di bon ton, deposero fiacchi i bagagli, arrancarono carichi tra i chiaroscuri di porte e corridoi e infine, gonfi di sbadigli, presero il vialetto alberato dei tram smocassinando sui sampietrini.
Versione vadese. Il 16 luglio 1922 – sì, esattamente un secolo fa! – il Vado F.B.C. coglieva il suo primo e unico alloro nazionale con la vittoria della Coppa Italia. Un evento memorabile che Gerson Maceri prova ad eternare in questo libro. La cronaca dell’inquieta vigilia e della sfida decisiva all’Udinese s’innesta sulla vicenda biografica, infantil-adolescenziale, di Virgilio Felice Levratto, piccolo eroe vadese destinato a fare le alterne fortune, tra le altre, di Genoa, Ambrosiana Inter e Nazionale (con una parentesi seminedita con la Juventus).
L’intero racconto, dunque, si dipana sullo sfondo della Vado degli anni Dieci e Venti, anche attraverso gli slanci dialettali dei protagonisti che si stagliano vividi tra i carruggi e gli spalti e il campo del “Leo”.
“Per una ventina buona di minuti, il Vado ci capì poco: sotto una gragnuola di spioventi, Romano sfruttò il mismatch fisico nei confronti di Semintendi per ribattere o arginarlo, assistito dalle temerarie uscite in presa alta di Babboni I. Questi, poi, da habitué del pallone elastico, rinviava al termine d’una leggiadra rincorsa sincopata, roteando il pugno e vibrandolo ascensionalmente sulla sfera, restituendo così il possesso agli ospiti ben oltre la metà campo.
Sotto tramontana, c’era chi s’aspettava addirittura il goal, da lui, in quel modo. Ma Babboni vantava soltanto una stempiatura profonda e un risolino marpione da divetto di Hollywood, non le stigmate del profeta, perciò nessuno ne divulgo mai certe leggende da bar. Dai Achille, cuntinua a daghe drentu, sensa puĵa, forsa!”.