Questa è una di quelle storie che, per chi l’ha vissuta, la sensazione di essere una pioniera, emoziona ancora oggi. Sacrifici per arrivare alla notorietà, nel senso non di diventare famose, ma di sdoganare una mentalità diversa.
Ed è lo sport a raccontare tutto questo. L’Italia tra la fine degli anni 60 e l’inizio degli anni 70 fu uno tra i paesi più attivi e propositivi nello sviluppo del calcio femminile. Dopo l’esperienza positiva della Coppa Europa, disputatasi nel 1969, l’anno successivo il nostro paese si fece promotore ed organizzatore della prima edizione dei Campionati del Mondo.
La F.I.C.F. (Federazione Italiana Calcio Femminile) è promotrice dell’istituzione della F.I.E.F.F. (Federazione Internazionale Europea Football Femminile), la cui sede viene sistemata a Torino. E grazie all’aiuto di Martini, il celebre marchio di bevande alcoliche, si riesce ad organizzare un torneo che ricalca la celebre Coppa Rimet.
Viene messo in palio per l’occasione il “Trofeo Martini e Rossi” (una coppa in oro la cui forma si ispirava alla Nike di Samotracia), che sarebbe stato definitivamente assegnato alla squadra vincitrice di tre edizioni anche non consecutive, proprio come la Rimet che pochi giorni prima il Brasile di Pelè aveva conquistato, ai danni dell’Italia in Messico.
Le città scelte per ospitare le partite del torneo, in programma dal 7 al 15 luglio, furono Milano, Salerno, Bari, Napoli, Genova, Bologna e Torino. Alla manifestazione presero parte otto formazioni.
Oltre all’Italia detentrice della Coppa Europa, l’Austria, la Danimarca, la Germania Occidentale, l’Inghilterra, il Messico e la Svizzera mentre la Cecoslovacchia, come l’anno precedente, fu invitata all’evento ma decise di non prendere parte.
Le azzurre – come ricorda Davide Bernasconi – debuttano a Salerno, l’8 luglio, battendo per 2-1 la Svizzera con le reti di Mella ed Avon. Tre giorni dopo a Napoli, l’Italia, identico risultato, supera anche il Messico ed accede alla finale. Nell’altro raggruppamento le danesi surclassano la Germania Ovest, a cui infliggono un pesante 6-1, e sull’Inghilterra, sconfitta per 2-0.
Così il 15 luglio Italia e Danimarca si ritrovano nuovamente faccia a faccia al Comunale di Torino, davanti a 40.000 spettatori, per contendersi la vittoria finale. La nazionale italiana, che circa sei mesi prima, aveva vinto la Coppa Europa, è sempre guidata da Giuseppe Cavicchi ma la formazione azzurra è diversa da quella che aveva battuto le nordiche per 3-1.
L’entusiasmo tra la gente è alle stelle, basti pensare che i 24.000 biglietti furono venduti nell’arco di poche ore e davanti ai cancelli si presentarono quasi 50.000 persone. Le forze dell’ordine non riuscirono a bloccare questa marea di gente e per motivi di ordine pubblico gli ingressi vennero aperti per evitare guai seri e la partita incominciò con mezz’ora di ritardo.
Le ragazze del Nord, però, questa volta si prendono la rivincita perché si impongono per 2-0 grazie alle reti di Hansen nel primo tempo e di Seshikova nella ripresa. All’Italia rimarranno soltanto le lacrime: prima il rigore sbagliato da Schiavo sul punteggio di 1-0 per le danesi ma soprattutto l’impossibilità di schierare la miglior formazione possibile in quanto l’altra federazione esistente in Italia, la F.F.I.G.C., non diede il permesso alle tesserate di essere convocate dal selezionatore Giuseppe Cavicchi.
Nel 1971 si replica in Messico, dove l’Italia conclude al terzo posto. Poi non si parlerà più di Coppa del Mondo per qualche anno e soltanto sul finire del secolo scorso, l’argomento Mondiali torna di attualità. Nel 1991 viene organizzata dalla FIFA la prima edizione iridata, vinta dagli USA.