Con la stagione 1980-‘81 si torna a parlare di Mondiali. L’Italia deve guadagnarsi l’accesso a Spagna ’82 con Lussemburgo, Danimarca, Jugoslavia e Grecia. Passata la triste sbornia dell’Europeo, Federico Sordillo, dirigente di estrazione milanista, diventa presidente della Figc, con Franchi presidente onorario, e Bearzot riprende il suo cammino. Il dopo Rossi lo ha timidamente sperimentato facendo esordire contro il Belgio il centravanti interista Altobelli, detto “Spillo” per essere lungo e magro, oltre a possedere i guizzi in palleggio e i numeri sotto porta del cannoniere di razza. A settembre, a Genova, l’Italia batte 3-1 il Portogallo in amichevole ed è appunto il nerazzurro a siglare due reti.
Per i critici di Bearzot, che hanno ripreso a martellare duramente, la spiegazione è semplice: quando vince, l’Italia lo fa “nonostante” il suo Ct; ovvero: Altobelli è stato inserito obtorto collo, solo sulla spinta di una robusta campagna di stampa. Il dettaglio serve a spiegare le reazioni scomposte al primo della serie dei successi azzurri sulla via di Spagna.
Si gioca in Lussemburgo, contro la solita volonterosa truppa di dopolavoristi, e il risultato che ne scaturisce, 2-0, viene considerato troppo esile, specie per lo scarsissimo gioco che l’ha prodotto e le due espulsioni (Causio e Antognoni) che l’hanno accompagnato. La “Gazzetta dello Sport” titola: «Bearzot, ora basta!». E spiega: «O il commissario tecnico cambia rotta, o lascia la Nazionale». Il “Corriere della Sera” rincara: «È giunto il momento in cui la Federazione ha il dovere di porsi seriamente una domanda: se sia il caso dì continuare a lasciare la Nazionale nelle mani di Enzo Bearzot. La nostra impressione è che, qui in Lussemburgo, siano sprofondate nella follia e nella vergogna le ottuse teorie immobilistiche del commissario tecnico». Il quesito diventa drammatico: riuscirà Bearzot a salvare la panchina?
Quel che accade dopo è una risposta significativa: 2-0 alla Danimarca (1 novembre a Roma), 2-0 alla Jugoslavia (15 novembre a Torino), 2-0 alla Grecia (6 dicembre ad Atene). In pratica, la qualificazione in tasca in tre mosse. Una volta di più, i detrattori restano spiazzati. Anche perché sulla via del rinnovamento il Ct è parsimonioso, ma vincente. Dopo aver inserito stabilmente Altobelli, dovendo trovare il successore del declinante Causio, a chi gli consiglia Bagni e Novellino risponde scegliendo il venticinquenne Bruno Conti della Roma.
Che in breve diventerà un irresistibile fuoriclasse delle fasce laterali. Identico buon fiuto rivela il Ct con la pipa nell’investitura di Giampiero Marini, centrocampista di fatica dell’Inter, fatto debuttare contro la Danimarca e subito a proprio agio. A fine anno, impegno in Uruguay per il “Mundialito”, la Copa de Oro organizzata per celebrare il cinquantenario del primo Mondiale. Il Ct azzurro ne approfitta per provare altre forze nuove: il vigoroso stopper del Como, Pietro Vierchowod l’interno romanista Ancelotti e il tornante perugino Bagni.
Quanto al torneo, l’Italia lo brucia al primo colpo, perdendo 0-2 contro i padroni di casa, ma soprattutto perdendo la testa (due espulsioni, Cabrini e Tardelli) di fronte alle provocazioni altrui e alla direzione di gara casalinga (eufemismo) dello spagnolo Guruceta Muro. Il secondo impegno, platonico, ci vede pareggiare 1-1 con l’Olanda, con gol di Ancelotti. I padroni di casa vincono poi su un forte Brasile. In febbraio, un’Italia svogliata le busca (0-3) da una selezione europea di stelle, in un’amichevole organizzata all’Olimpico a favore dei terremotati dell’Irpinia. Il campionato, ravvivato dagli stranieri, si avvia a una avvincente fase finale, da cui uscirà vincitrice tra le polemiche la Juventus.
In aprile Bearzot pareggia a Udine (0-0) con la Germania Est facendo debuttare Dossena, raffinato e concreto centrocampista del Bologna. Ai primi di giugno, il ritorno con la Danimarca evoca antichi fantasmi: perdiamo a Copenaghen per 3-1, giocando un match di impressionante squallore tecnico; aspettiamo gli avversari, tergiversando in melina, e quando quelli arrivano, in una ripresa ricca di vigorosi impeti, il nostro castello si sfarina miseramente al suolo. L’insuccesso dà nuovo fiato alle trombe anti-Bearzot, accusato soprattutto di perseverare diabolicamente sull’ormai decotto Bettega.
Parte la stagione 1981-‘82 con un poco esaltante 3-2 alla Bulgaria a Bologna (doppietta del sempiterno Graziani), seguito il mese dopo da un prezioso pareggio a Belgrado, contro la Jugoslavia.
Da 42 anni la Nazionale azzurra non usciva indenne da quella terra e Bearzot ringrazia in particolare due suoi “pallini”. Il primo è Zoff, ormai vicino ai 40 anni, per salvare il quale il Ct dopo l’Argentina ha sfidato l’ira funesta della critica, quasi unanime nel considerarlo al più un valido portiere d’albergo. Il secondo è il trentunenne Bettega, che respinge il prepensionamento con una grande prestazione (e relativo gol). Purtroppo, si tratta per lui di una sorta di canto del cigno. Il 4 novembre, a Torino, durante la partita di ritorno con l’Anderlecht di Coppa dei Campioni, in un duro scontro col portiere Munaron si infortuna gravemente. È il segno lugubre di una serata malinconica per il calcio italiano, i cui club per la prima volta nella storia sono tutti fuori dalle Coppe europee già al secondo turno.
Per la partita con la Grecia, dieci giorni dopo, sempre a Torino, Bearzot rimedia lanciando il cagliaritano Selvaggi, fantasista offensivo dai buoni guizzi. Si pareggia 1-1 tra pochi squilli di tromba e diffusi malumori, conquistando con una delle peggiori prestazioni dell’era Bearzot la matematica qualificazione per la Spagna. I centravanti Pruzzo e Graziani combattono contro l’ombra di Paolo Rossi, la cui squalifica scadrà poche settimane prima del Mondiale. Proprio mentre cerca di reagire alla tempesta di critiche sul suo conto, un altro grande accusato azzurro, Antognoni viene estromesso di scena da un terrificante incidente di gioco col portiere Martina, che gli frattura il cranio. A dicembre, il poco dignitoso 1-0 con cui liquidiamo a Napoli il Lussemburgo nell’ultimo impegno di qualificazione rinfocola le polemiche contro Bearzot, reo di ignorare la fantasia dell’interista Beccalossi anche dopo il forfait di Antognoni.
Tetragono ai colpi della critica, il Ct col naso da pugile non si muove di un centimetro. A Parigi, in febbraio, le buschiamo (2-0) dalla solita Francia di Platini. A Lipsia, in aprile, torna Antognoni e Bearzot butta sul tavolo tre esordienti: se il terzino romanista Marangon e l’atteso Massaro, tornante della Fiorentina, aggiungono poco, il terzo, il difensore interista Bergomi, fa scalpore per la sua età, contando appena diciotto anni (e un aspetto da adulto testimoniato dal soprannome “zio”), e per la disinvoltura con cui si cala nella parte.
Sul piano del gioco è un’Italia in panne, che concede ai tedeschi dell’Est il primo successo della storia nei confronti diretti. Il “partito di Beccalossi” le canta chiare a Bearzot al ritorno, alimentando un clima ormai generalizzato di completa sfiducia. Il campionato italiano sta vivendo una stagione di diffusa crisi tecnica, cui si cerca di rimediare portando a due il numero di stranieri per la stagione successiva, nella speranza che vengano i campioni di fuorivia a rinsanguare il nostro asfittico calcio.
Il 2 maggio 1982 il neo juventino Paolo Rossi, scontata la squalifica, viene immediatamente mandato in campo da Trapattoni e risponde con un gol. La Juventus è impegnata in un testa a testa all’ultimo respiro con la Fiorentina per lo scudetto, da cui uscirà vincitrice sotto lo striscione del traguardo. Invano Bearzot attende che Trapattoni rilanci anche l’ormai guarito Bettega. All’indomani della chiusura del campionato, il Ct scioglie le riserve: al posto di “Penna bianca”, atteso invano fino all’ultimo, c’è il cagliaritano Selvaggi. Viene ripescato pure Causio, spinto dall’orgoglio a una strepitosa stagione nell’Udinese. Per il resto, tutto regolare, compresi il baby Bergomi, scommessa audace, e Paolo Rossi, subito recuperato alla causa nella speranza che risolva i problemi di anemia della squadra. L’ultima amichevole prima della partenza, con la Svizzera a Ginevra, fa registrare un pareggio (1-1) povero di gioco.
È l’ennesima scintilla per un incendio ormai incontrollabile. A parte un paio di eccezioni, l’ondata delle critiche si leva violenta, raggiungendo toni ed espressioni oltre il limite della ferocia e addirittura dell’insulto personale. Nonostante l’avversario sia reduce da una sensazionale striscia positiva di risultati e la prova degli azzurri, sul piano della tenuta atletica e dei meccanismi di gioco, sia tutt’altro che da buttare.