Veneto, 86 anni, era il portiere di riserva del Cagliari campione d’Italia “Quando è arrivato Enrico ho capito subito che sarei finito in panchina”.
Sono loro, i portieri, a decidere del presente e del futuro delle squadre di calcio. Sono i portieri a detenere il vero potere sul campo di gioco. Lo sa bene il Cagliari che dei portieri ha fatto sempre il suo vanto. Prima con Reginato e Albertosi, ora con Cragno, Olsen e Zenga che, abbandonata la porta, del Cagliari è diventato allenatore.
“Una squadra forte ha due carte in mano, il portiere e il centravanti e noi, ai tempi dello scudetto, avevamo un trascinatore come Gigi Riva. In porta invece c’era Albertosi, il più forte di tutti, e poi io, la riserva”.
Ci sono tanti modi per raccontarsi, specie quando si è vinto tanto. Adriano Reginato, campione d’Italia con il Cagliari nel 1970, lo fa alla “Nuova Sardegna” con la modestia e la passione di chi aveva cominciato a parare nel Treviso dove è nato il 19 dicembre del 1937. E così passa persino in secondo piano il suo record di imbattibilità: neanche un gol nelle prime otto partite di campionato, al suo esordio nel Cagliari. “712 minuti, per la precisione”. Un record, quello di Reginato, che resiste ancora oggi. Poi all’improvviso cambia tutto: nel 1969 arriva a Cagliari Enrico Albertosi e lui deve fare un passo indietro. Per tutto il campionato guarda giocare la sua squadra seduto in panchina fino all’ultima partita col Bari, quella che incorona il Cagliari campione d’Italia. “È stato Albertosi a chiamarmi in campo proprio per darmi la possibilità di festeggiare con tutta la squadra e poter dire: il Cagliari ha vinto e c’ero anch’io. Un grande gesto di generosità da parte sua”.
Reginato, è stata dura diventare la riserva di Albertosi?
“Albertosi è il più forte portiere di tutti i tempi, pensi che Zoff era la sua riserva ai Mondiali di Messico ’70. Era ovvio che una volta arrivato Albertosi al Cagliari io dovessi finire in panchina, l’ho capito subito. D’altronde dovevamo vincere e quella era la scelta giusta”.
Chi ha deciso di farla rientrare in campo durante l’ultima partita Cagliari-Bari?
“Albertosi! Eravamo e siamo ancora grandissimi amici, anzi fratelli nati da madre diverse, è pure il padrino di battesimo di mia figlia Elisabetta”.
Una storia d’altri tempi quella di Reginato, fatta di sudore e amicizie vere. Veneto, comincia a giocare a pallone da bambino “senza avere il fuoco sacro di fare il calciatore”. A 16 anni deve lasciare la scuola e va a lavorare nella fabbrica dove era impiegato il padre, costretto a casa dopo un brutto infortunio sul lavoro. “In fabbrica i turni erano duri, ma continuavo a giocare in seconda categoria. Poi succede che due portieri del Treviso, che era in serie C, stanno male e mi chiamano. La prima partita me la ricordo ancora, mi tremavano le gambe. Perdemmo 1-0 col Piacenza, non me lo dimenticherò mai”. A quel punto si licenzia dalla fabbrica ma per mantenersi continua a riparare televisori e radio. Poi nel 1963 la svolta. “Mi chiama il Torino, in A, e la mia vita cambia all’improvviso”.
Al Torino rimane in panchina fino al 1965 (“é un mio destino quello di fare il portiere di riserva”), stagione in cui passa al Vicenza dove si alterna in porta con Franco Luison. A fine anno arriva al Cagliari, dove stabilisce il record di imbattibilità. “Poi nel ’67 ho avuto un brutto infortunio, poi è arrivato Albertosi.. e la storia la conoscono tutti”.
Il ricordo più bello da professionista?
“Lo scudetto con il Cagliari, nessuno pensava che avremmo sconfitto squadroni come la Juventus o il Milan”.
Con il calcio è in credito o in debito?
“In debito. È più quello che ho ricevuto rispetto a ciò che ho dato, anzi direi che il calcio mi ha dato tutto. Mi ha fatto anche scoprire la Sardegna, non l’ho mai più lasciata”.