Nikolai Petrovich Starostin è nato vicino a Mosca nel 1902. Veniva da un ceto medio, ma i tempi erano difficili dopo la morte di suo padre, un guardaboschi, Nikolai ha usato il suo talento nel calcio e nell’hockey su ghiaccio per sostenere la sua famiglia.
Sostenuto dal Komsomol (Gioventù Comunista), fu tra i fondatori della sezione calcio dello Spartak Mosca, che divenne da subito avversaria del CSKA Mosca (la squadra dell’esercito) e della Dinamo Mosca (diretta da Lavrentij Beria, capo della polizia segreta). Alla fine degli anni ’30, la rivalità tra Spartak e Dinamo era aspra. Parte di quest< era personale; Beria aveva giocato contro Starostin e lo odiava per essere un giocatore di gran lunga migliore.
Lo Spartak realizzò la doppietta campionato e Coppa nel 1938 e nel 1939; questo mise Starostin in pericolo dalle purghe di Stalin, che furono orchestrate da Beria. Nel 1942 Starostin e i suoi fratelli furono arrestati, accusati di aver complottato per uccidere Stalin. Nikolai è stato condannato a dieci anni in un campo di lavoro. Questo potrebbe avergli salvato la vita; essere prigioniero nei gulag significava che non poteva essere un soldato al fronte.
“Una mattina alle sei vennero a prendermi. Erano due colonnelli del Kgb, mi dissero: ‘cittadino Starostin, lei è accusato di atti di terrorismo contro alti dirigenti dello Stato’ . Risposi che era assurdo, che si sbagliavano, ma dentro di me avevo già capito che non avevo alcuna via di scampo”. Era il beniamino della “Krasnaja Presnja”, il quartiere operaio fucina della rivoluzione a Mosca. Giocava al fianco dei suoi tre fratelli, una squadra nella squadra.
Nel 1936 la Piazza Rossa di Mosca venne trasformata in 24 ore in campo di calcio. Stalin lo applaudì e volle conoscerlo, ma da quel momento iniziarono i suoi guai. Beria, che quel giorno non aveva ancora diritto a sedere nella tribuna delle autorità, aveva giocato varie volte contro Starostin durante gli anni Venti. Pochi lo sanno, ma Beria è stato un ottimo calciatore. Era un duro, picchiava molto. Mentre Starostin diventava una stella del calcio, Beria iniziò la sua ascesa ai massimi poteri dell’ Urss.
Nel 1936 era già un importante dirigente del ministero degli Interni e male aveva digerito, lui che il calcio lo seguiva da vicino, che la Dinamo avesse perso il campionato. Che poi per far conoscere il football a Stalin fosse stato chiamato lo Spartak, questo non lo poteva digerire. Nel 1939 Beria era ormai troppo potente perché qualcuno potesse fermarlo: sul tavolo di Molotov, che era allora presidente dell’ Urss, arrivò dal Kgb l’ordine di firmare l’arresto di Starostin per “attività antisovietica”. Molotov non ne ebbe il coraggio, in quel momento Starostin era troppo popolare in Urss. Ma quello che non fece Molotov, lo fece tre anni dopo Malenkov. “E così una mattina vennero a prendermi. Mi portarono alla Lubjanka e per due anni venni tenuto nei sotterranei in una cella d’ isolamento. Durante i numerosi interrogatori venni così a sapere che ero un pericoloso terrorista, che facevo parte di un gruppo sovversivo che voleva uccidere Stalin, di cui facevano parte anche i miei tre fratelli. Pochi giorni prima del processo mi diedero da firmare una dichiarazione di colpevolezza, minacciando gravi conseguenze per mia moglie e mia figlia. Firmai”.
Così nel 1942 il più popolare calciatore sovietico finì nei gulag. “Mi condannarono a dieci anni ed era come se avessero riconosciuto la mia innocenza. Era una pena ridicola, per atti di terrorismo allora non si sfuggiva alla fucilazione. Capii ben presto che la mia popolarità mi avrebbe salvato la vita. Uscire vivi dai campi era quasi impossibile, ma i gulag erano anche una sorta di grande ‘borsa del lavoro’ , lì si reclutava manodopera per tutti gli usi. La mia fortuna fu che il comandante dei gulag dell’ estremo oriente, il generale del Kgb Goglize era un grande tifoso. E così mi propose di allenare una sua squadra, una delle tante Dinamo locali. Proprio una Dinamo, bella ironia della sorte. Se lo avesse saputo Beria… ma, non so come, riuscirono a tenerglielo nascosto”. Nel campo di Kabarovsk, ai confini con la Cina, Starostin venne a sapere che la guerra era finita, che il nazismo era stato sconfitto. Lui continuava ad essere un prigioniero, un “traditore della patria”, privilegiato certo, “ma la vita laggiù era dura, si moriva di freddo, di fame”. Così, quando una mattina lo svegliarono dicendogli che aveva una telefonata da Mosca, non sapeva bene cosa altro lo potesse attendere. “Pronto, sono Vassilj Stalin. Credevo di sognare, invece era proprio il figlio di Stalin. Mi disse che al più vicino aeroporto militare c’ era un aereo che mi avrebbe riportato a Mosca. Vassilj era allora il comandante delle forze aeree militari di Mosca. Obiettai che ero un condannato ‘meno sedici’ , le sedici più importanti città dell’ Urss mi erano vietate per sempre, e che quindi non potevo rientrare a Mosca. Mi disse solo: ‘ Vi aspetto’ . Così, ancora incredulo tornai nella capitale. Venni prelevato dalle guardie del corpo di Vassilj e portato a casa sua. C’ erano tavoli da biliardo, saloni, in ogni tavolo ceste di meloni. Il figlio di Stalin mi chiese se avevo il passaporto, glielo diedi, dopo un’ ora me lo restituì. Avevo la ‘propiska’ (il permesso di residenza, NdA) per Mosca. In cambio di questo favore dovevo allenare la Vvs, la squadra dell’ aviazione”. Così Starostin poté tornare a casa , trovò che l’ avevano ridotta a un totale di otto metri quadrati, ma era troppo felice per protestare.
La sua felicità doveva però durare solo pochi giorni. Ancora una volta, alle sei di mattina, due colonnelli del Kgb bussarono alla sua porta: “La sua propiska non è valida, lo sa bene, deve lasciare Mosca entro 24 ore”. Portato alla stazione e caricato su un treno, scoprì alla fermata successiva che nello scompartimento accanto era seduto uno degli uomini di Vassilj Stalin: “Ho l’ ordine di riportarla a Mosca”. “Ero diventato parte della guerra personale che Beria e il figlio di Stalin si stavano combattendo. Questa volta Vassilj volle che andassi ad abitare con lui, praticamente vivevamo in simbiosi, qualche volta dormimmo anche nello stesso letto. Lui non si addormentava prima di aver controllato meticolosamente la pistola che aveva sotto il cuscino. Un giorno lo chiamarono a Pitzunda, una delle residenze estive del padre sul Mar Nero. Mi disse che c’ era anche Beria ma di non preoccuparmi. Dopo vari giorni, non ricevendo notizie, lo chiamai. Gli dissi che forse era meglio che accettassi l’invito del Kgb a tornare nel lager, rispose che anche lui pensava fosse la cosa migliore. Andai alla Lubjanka e fui rispedito nell’ estremo oriente. Solo nel 1954, dopo la morte di Stalin e il processo a Beria, mi liberarono. Krusciov mi riabilitò, mi riconsegnò l’Ordine di Lenin che mi era stato tolto in quanto ‘traditore’ , e finalmente rimisi piede in uno stadio. Da allora lo Spartak è stata tutta la mia vita”.
Nel 1989 uscirono le sue memorie. Nikolai Starostin è morto nel 1996, quarantatre anni dopo Beria.
Starostin ha vissuto l’intera storia dell’Unione Sovietica; nacque nella Russia imperiale e morì cittadino della Federazione Russa. La sua carriera sportiva lo ha reso un nuovo eroe del calcio sovietico, ma anche un nemico del temuto capo della polizia segreta di Stalin, Beria. Starostin trascorse anni nei campi di lavoro e in esilio; avrebbe potuto benissimo essere uno dei milioni che scomparvero per sempre nelle purghe di Stalin.
Mario Bocchio