Un Piccolo Principe in cerca delle sue stelle
Lug 26, 2024

Nel ripercorrere le tracce di una vita che è durata poco – è durata niente – prende forma nella memoria Federico Pisani, questo ragazzo piccolo, mingherlino, un Piccolo Principe in cerca delle sue stelle, uno e settanta in punta di piedi, 66 chili stesi ad asciugare al sole della gioventù, con il taglio di capelli anni 90 e una maglia dell’Atalanta troppo larga, che ci si balla dentro e i polsini delle maniche bisogna arrotolarli un paio di volte, per non rimanerci impigliati.

Adesso sta correndo sulla fascia, intuisce con la coda dell’occhio un lancio lungo, stoppa il pallone – in corsa lo stoppa – ed è una carezza. Adesso invece sbuca dal nulla – da quella giungla che è l’area di rigore prima di un corner – e fa gol di testa, un gol che è uno sberleffo, in fondo anche il suo modo di intendere il calcio lo è: più di ogni altra cosa gli dà felicità puntare l’avversario, poi una finta, un tunnel e fa niente se il pallone scappa via, la vita a volte fa così.

Pisani in azione

Chicco ha ventidue anni, Ale non ne ha compiuti ancora venti. Succede sulla Milano-Laghi, alle due di notte del 12 febbraio 1997. La Bmw 320 Cabriolet sbanda, finisce oltre la carreggiata, va a sbattere contro un pilone. Alla guida c’è lui, Alessandra è seduta accanto; dietro una coppia di amici, bergamaschi anche loro, Dario Moretti e Marilena Mapelli: se la cavano con qualche ferita. Sono i giorni di Carnevale, stanno tutti tornando da una serata passata al casinò di Campione. Un guasto dell’auto, un colpo di sonno, una distrazione, l’alta velocità.

“Chicco” scatenato nella foto della vittoria al Viareggio

Quanti nomi diamo al destino, quando il destino ci guarda di sbieco. Nella foto-ricordo di quei giorni, Chicco e Ale sono abbracciati, lui la cinge dietro le spalle, hanno sorrisi sorpresi, le teste sono appoggiate l’una con l’altra, come a dire: siamo una cosa sola. Chicco Pisani, Alessandra Midali. Oggi sono venticinque anni da quando se ne sono andati.

Pisani arriva a Bergamo a quindici anni. L’Atalanta lo paga 20 milioni di lire, soldi che vanno al Margine Coperta di Montecatini, la sua prima squadretta. Figlio di un idraulico, è cresciuto a Poggio Garfagnana, è un ragazzino timido e spaurito, quasi introverso, iscritto al liceo scientifico, il club lo sistema dai preti, alla “Casa del giovane”: all’epoca funzionava così. Non è la prima volta che Chicco va via di casa, è già successo qualche anno prima, al Torino: ma non si è ambientato, è rimasto poco, ha fatto un torneo in Belgio e poi è tornato in Garfagnana.

La squadra campione d’Italia in campo per la finale di ritorno al “Comunale
La foto ufficiale, “Chicco” scudettato

A Bergamo però capisce che è tagliato per quel mestiere lì, quello del calciatore. Prende consapevolezza nei propri mezzi, rivendica la propria indipendenza. Va a vivere da solo, si fidanza con Alessandra, figlia di un gestore di ristoranti di Città Alta. A 19 anni, è il 1993, con l’Atalanta Primavera vince il campionato e il Torneo di Viareggio, l’allenatore è Cesare Prandelli, in quella squadra ci sono tanti ragazzi che faranno strada: Alessio Tacchinardi, Domenico Morfeo, Simone Pavan, William Viali; l’Atalanta a quei tempi vanta il miglior vivaio d’Italia.

Con la fidanzata Alessandra

15 marzo 1992, l’esordio in Serie A: Cagliari-Atalanta 0-0, a dargli fiducia è Bruno Giorgi, Chicco entra nel finale al posto del brasiliano Bianchezi. Con la maglia dell’Atalanta 83 presenze e 8 gol complessivi tra coppe e campionato , sono 44 le partite e 5 le reti in Serie A. La prima contro la Fiorentina: di testa, pensa te. La più bella contro la Roma: controllo in corsa su lancio lungo, sterzata a liberarsi dell’avversario per accentrarsi e, dall’incrocio delle linee dell’area, tiro a girare sul secondo palo. C’è tutto: qualità, azzardo, quella magnifica incoscienza che chiamiamo gioventù.

Il primo gol in Serie A

Pisani è un trequartista, una seconda punta agile che parte da sinistra, fisico scattante e nervoso, dribbling sempre in canna, uno che – con la sua velocità, con le sue intuizioni – “spacca” le partite, per questo il Mondo lo manda in campo quando serve una scossa. I tifosi lo adorano, come si fa a non farsi piacere uno così? Con Pisani in campo qualcosa succede sempre, è un tiro di dadi che non dà sempre dodici, ma almeno ci prova. Dopo i successi con la Primavera e un paio d’anni di assaggi in Serie A, con Bruno Giorgi e Marcello Lippi, l’Atalanta lo dà in prestito al Monza, in Serie B, torna a Bergamo l’anno dopo, la squadra è retrocessa – c’è Emiliano Mondonico in panchina – ma sarà subito promozione e Chicco è uno dei protagonisti. Il 1995-‘96 è l’anno dell’affermazione, Pisani gioca con continuità, poi si rompe il ginocchio, sei mesi fuori, cosa vuoi che siano sei mesi?

Il ricordo della curva atalantina

Ma ogni tanto la vita sterza male, va fuori strada, sbanda dal percorso che avevamo immaginato. Il 1996-‘97 è il campionato segnato dal recupero dall’infortunio, Chicco gioca 19 minuti a metà dicembre del 1996 contro il Piacenza, il minutaggio e la fiducia salgono il 5 gennaio, siamo a Bergamo, c’è Atalanta-Verona, Pisani entra a ripresa appena iniziata al posto del suo amico Paolo Foglio, c’è da sbloccare una partita, ci penserà Magallanes a un attimo dalla fine. Non lo sa, ma quella sarà l’ultima partita della sua vita. Una riga su un almanacco, un nome tra i tanti, tra parentesi, come si faceva all’epoca con chi entrava in campo.

Pisani in prestito al Monza

Quattro panchine tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio, poi c’è la sosta. Bene Chicco, gli dicono. Due settimane di lavoro fatto bene e poi sei dei nostri. 12 febbraio, l’incidente, il nome di Pisani calciatore rimane per sempre chiuso dentro una parentesi, tra un collega ed un altro, vite che si sfiorano, sospeso nel tempo che si fa eterno. Al funerale, in Duomo, nel cuore di Bergamo Alta, ci sono quattromila persone, tutta l’Atalanta, tifosi, autorità, gente comune, amici, ex atalantini come Vieri e Montero, Stromberg e Tacchinardi. La maglia numero 14 viene ritirata, a Pisani viene intitolato un trofeo internazionale di calcio giovanile in Garfagnana, il campo principale di Zingonia e la Nord dello stadio di Bergamo.

La domenica successiva – 16 febbraio 1997 – alla sua scomparsa l’Atalanta vince 3-1 con il Vicenza. Allo stadio l’aria è rarefatta, pesano come sassi di montagna i cuori della gente, gli sguardi si cercano chiedendo consolazione. Avrebbe dovuto esserci una festa per la campionessa di casa, che ha appena vinto l’argento ai Mondiali di sci del Sestriere. Ma salta tutto. In tribuna ci sono anche il papà di Chicco, Enrico, e la mamma, Rossana: a fine partita scendono negli spogliatoi, per abbracciare Mondonico e i suoi ragazzi. Uno striscione recita: “Ciao Chicco, salutaci le stelle”. In cima alla Curva Nord ne viene srotolato uno che fa: “Il cielo sembrerà più piccolo con te che dribbli e corri tra le nuvole: ciao Chicco, ciao Ale”. Paolo Foglio apre le marcature, poi Pippo Inzaghi segna una doppietta. A ogni gol i giocatori dell’Atalanta corrono sotto la Nord, dove i tifosi hanno appeso una maglia numero 14: una carezza lieve, un bacio soffiato, una mano che sfiora il tessuto, come se dalla trama dei fili potesse ricomporsi d’incanto la vita.

Furio Zara

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