Per il calcio si sono fatte anche guerre vere, ma più spesso lo sport ha portato pace. Anche tra acerrimi rivali: è il caso di peruviani e cileni, le cui dispute a cavallo delle Ande e del deserto di Atacama si perdono nella notte dei tempi, e sono sfociate anche nel conflitto armato combattuto tra il 1879 e il 1884. Negli anni Trenta del ‘900 il superamento di questi atavici dissapori trova una sintesi mirabile nel cosiddetto Combinado del Pacifico, una selezione dei migliori calciatori dei due Paesi, creata ad hoc per fare un’unica, lunga e memorabile tournée in Europa.
L’idea è – manco a dirlo – di due imprenditori malati di pallone: si chiamano Waldo Sanhueza e Reginald Gubbins. Il primo è padre padrone del Colo Colo, la principale squadra cilena. Il secondo, chiamato Jack dagli amici, è un uomo d’affari peruviano di origini irlandesi. L’obiettivo è ambizioso: disputare più partite possibile, un po’ per destare clamore ma soprattutto per guadagnarci. Gubbins nomina capo delegazione il figlio Reynaldo, che non nasconde le mire di scalata politica ai vertici del Paese e le alimenta sui campi di calcio: un film che si vedrà spesso nei decenni seguenti nel mondo. I due anfitrioni mettono insieme 21 giocatori, di cui 17 peruviani (13 dell’Universitario di Lima, due dell’Alianza Lima, due dell’Atletico Chalaco) e 4 cileni (tutti del Colo Colo). La penuria di questi ultimi si spiega un po’ con la concomitanza dell’avvio del primo campionato nazionale della storia, un po’ con i timori dei reduci dal viaggio in Europa del club nel 1927, quando una delle stelle della squadra, David Arellano, era morta a seguito di un incidente di gioco.
Ribattezzato Combinado in spagnolo e All Pacific in inglese, con sapiente sintesi bilingue orientata al marketing, il gruppo salpa da Callao (Perù) il 25 agosto 1933 a bordo della nave a vapore Alkmaar e sbarca a Liverpool dopo tre settimane di navigazione, scandite da tappe intermedie a Curaçao e Panama – condite di regolari amichevoli vinte largamente (7-0 e 5-1) sulle rappresentative locali – e dalle sofferenze dell’attaccante Luis de Souza Ferreyra, colpito da appendicite durante la traversata e curato alla meno peggio tra dolori lancinanti per undici giorni in mezzo all’Atlantico, finché all’attracco viene operato e miracolosamente salvato dai medici inglesi. Disavventura a lieto fine, anche se deve poi fare da spettatore alla tournée dei compagni.
In tempi di radi scambi internazionali, accompagnati dall’aura esterofila tipica di chi poco conosce le cose lontane – come racconta Stefano Affolti su www.12alessandrelli.com – il Combinado del Pacifico viene accolto in Europa con gli onori dovuti a uno squadrone. Lo ricevono in gran pompa capi di stato e di governo, sindaci, autorità di ogni risma. Solo che poi, sul campo, la realtà emerge impietosa: nel gruppo ci sono molti mestieranti e solo alcuni veri fenomeni, come il leggendario portiere Juan Mago Valdiviezo e il bomber Teodoro Lolo Fernandez, peruviani; l’attaccante di origine tedesca Eduardo Schneeberger e il celebre Guillermo Subiabre nella quota cilena.
Rincorrendo a perdifiato un’agenda folle, fatta di ben 39 partite in quattro mesi, il Combinado scarpinò in lungo e in largo per il vecchio continente, sorbendosi lunghi spostamenti in treno e non allenandosi praticamente mai. L’esordio fu emblematico: tre partite in quattro giorni tra Dublino (1-1 col Bohemians il 1° ottobre 1933, davanti a 35mila spettatori), Belfast (1-1 col Glentoran il giorno 2) e Glasgow (battuti 2-1 dal Celtic il 4 ottobre).
L’impatto col football europeo evidenzia le differenze tecniche e filosofiche tra le due scuole, così riassunte da Andy Cunningham, manager del Newcastle United, ospite di turno e vincitore 6-1: “Abbiamo apprezzato il calcio sudamericano, fatto di eleganza e belle trame di gioco. Quando aggiungerà i tiri in porta, arriveranno anche le vittorie”. Il tour del Combinado del Pacifico prosegue tra applausi (tanti), vittorie (poche) e fatiche (disumane), mentre gli ineffabili Gubbins e Sanhueza contano il bottino. Il 16 ottobre, a Upton Park, il West Ham viene raggiunto sul 2-2 allo scadere da un gol di Roberto Luco, che appena segnato stramazza svenuto per lo sfinimento: episodio rimarcato con toni eroici dalla stampa britannica. Il primo successo arriva il 25 ottobre, nell’unica tappa olandese, a Rotterdam con lo Sparta (3-0).
Il passaggio in Europa centrale è carico di significati anche extracalcistici: a Praga, il 28 e 29 ottobre, il Combinado è al centro delle celebrazioni per il 40° di fondazione dello Sparta e non rovina la festa (un pari e una sconfitta). A Monaco di Baviera, dove giungono dopo un estenuante viaggio in treno dalla Cecoslovacchia, mette allegria a tutti scoprire, aprendo le finestre la mattina del 1° novembre, che sta nevicando: convinti che la gara in programma quel pomeriggio con il Bayern sarà annullata, i giocatori del Combinado girano per la città e pranzano lautamente in un ristorante. Finché gli arriva una chiamata urgente dall’albergo: sono attesi allo stadio, dove seimila spettatori hanno pagato per vedere la partita. Vanno e ovviamente perdono. A Berlino, l’11 novembre 1933, la comitiva viene ricevuta dal Führer in persona, che secondo la leggenda tenta invano di convincere il cileno Schneeberger a tornare nella madrepatria per giocare nell’Hertha.
Dopo aver svernato in Costa Azzurra, il manipolo cileno-peruviano si sposta in Spagna, dove tocca lo zenit dell’incredibile e il nadir delle prestazioni sul campo: Reynaldo Gubbins per motivi di gloria personale vuole affrontare entrambe le grandi, Real e Barça, e una volta saggiati i calendari scopre che c’è un’unica data disponibile, l’8 dicembre. Non fa un plissè e organizza le gare in contemporanea: divide la squadra, arruolando sul posto due francesi e un austriaco per fare numero, e ne manda mezza a Madrid e mezza a Barcellona. Con risultati tragicomici: un contenuto 4-1 a Les Corts, un desolante 10-1 a Chamartín. L’episodio ha vasta eco in Sudamerica, dove le puntuali corrispondenze dei giornalisti al seguito, invece del consueto orgoglio, suscitano stavolta sdegno per la figuraccia: la federcalcio peruviana contatta la Fifa per disconoscere il Combinado e intimare il rientro immediato dei giocatori, posizione ammorbidita nel giro di qualche ora.
C’è una sola puntata italiana, il giorno di Santo Stefano a Sanremo contro la Pro Vercelli, che gioca ancora in A ma non ha più lo smalto vincente dei primordi (1-1). Poi, per raccattare più dindi possibile, il Combinado si stabilisce alle Canarie, dove affronta diversi avversari spagnoli, ottenendo finalmente qualche vittoria contro squadre locali di secondo piano, dando anche un senso statistico alla tournée. Ma i giocatori sono ormai esasperati e nelle lettere che scrivono ai loro cari esprimono apertamente la voglia di tornare a casa quanto prima.
Il 18 febbraio 1934, mentre le più forti nazionali europee si preparano al Mondiale italiano, peruviani e cileni salgono sulla nave Virgilio, che li riporta a casa. Giungono a Callao il 7 marzo, portati in trionfo dalla folla come intrepidi ambasciatori nel mondo. Sul piano diplomatico ed economico forse è stata un successo, ma dal punto di vista calcistico l’avventura del Combinado viene archiviata alla voce fiaschi clamorosi. Le maglie bianche con le bandiere di Perù e Cile accostate sul petto a mo’ di stemma vengono ripiegate e messe nel dimenticatoio: hanno ballato un solo inverno.
L’anno dopo le due nazionali danno vita a uno degli incontri più combattuti di sempre, rinfocolando l’atavica rivalità. E no, Reynaldo Gubbins non diventa presidente del Perù, anzi: cade in disgrazia quando si scopre che il gruppo cotoniero di famiglia fa indebiti affari con la Germania nazista.