Battista Rota, detto Titta, è stato un pezzo di storia atalantina. Nato a Bergamo, Rota era stato difensore dell’Atalanta tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta: in tutto, disputò 284 partite in Serie A, vestendo anche le maglie di Bologna e Spal, e giocò due gare con la Nazionale olimpica ai Giochi di Helsinki del 1952. Fece parte del gruppo che vinse la Coppa Italia nella stagione 1962-‘63.
Altri tempi – come scrive Simone Fornoni – con il menù dello sportivo condito dalla passione e dalla classe artigianale di idoli per tutte le tasche, popolani alla mano che concretizzavano con le gesta sul campo i sogni di riscatto della gente comune, il cuore oltre l’ostacolo e il vigore fisico spesso usato per annullare l’estro e la tecnica degli avversari più talentuosi. Eppure la primissima immagine che Titta imprime nella sua storia personale e in quella della Dea è l’incredibile record dei cinque gol in cinque match, nella stagione 1950-‘51: da difensore schierato in attacco per necessità, l’aitante terzino dalle gambe di granito svezzato al calcio nel “borgo” contribuisce alla salvezza mettendo a segno le prime e uniche reti di tutta la propria carriera. Un’epoca aurea per lo sport più amato dagli italiani, che sotto l’egida della ninfa più veloce vide crescere all’ombra delle Orobie Gaudenzio Bernasconi, Livio Roncoli, Giulio Corsini, Giancarlo e Giuseppe Cadè. Rota sarebbe poi passato nelle fila rossoblù del Bologna, nel ’54, con il maturo polesano Giovanni Cattozzo a fare il percorso inverso, in uno dei colpi da novanta lungo l’asse tra la nostra terra e la via Emilia: da laggiù, anni più tardi, sarebbe arrivato a Bergamo Humberto Maschio, mentre sotto le Due Torri il Sessantotto è legato all’approdo nella città del dottor Balanzone del bomber Beppe Savoldi da Gorlago.
Ne avrebbe lasciate altre, di impronte nel calcio nostrano, il buon Titta dall’espressione bonaria e dai modi affabili. Un annetto a Ferrara propedeutico al già ricordato rientro alla casa madre nel 1961, per chiudere a 32 anni con il solo, preziosissimo segno più nel palmarès: la coccarda tricolore sulla maglia.
Quindi, la lunga parentesi da girovago della panchina, allenando in mezzo al mare magnum della vera provincia.
Iniziò ad allenare sempre nell’Atalanta: dopo gli inizi nelle giovanili, nella stagione 1969-70 fu chiamato a dirigere la prima squadra e riuscì a evitare la retrocessione in Serie C. Dopo la parentesi alla Cremonese, in cui – insieme al presidente Domenico Luzzara e al direttore sportivo Giuseppe Brolis – lanciò talenti come Antonio Cabrini, Rota tornò a Bergamo nel 1976 per altri quattro anni in panchina e rimase sempre legato alla squadra nerazzurra, di cui era grande tifoso.
A Bergamo conquisò la promozione in Serie A dopo gli spareggi con Cagliari e Pescara. Dopo la Dea accettò l’offerta della SPAL, in B, nel 1982 allenò il Modena, in Serie C1, e l’anno successivo fu chiamato da Leonardo Garilli sulla panchina del Piacenza, appena retrocesso in Serie C2. Rimase in riva al Po per cinque campionati consecutivi, ottenendo una promozione in Serie C1 (1983-‘84), due terzi posti in terza serie, una promozione in B (1987) e la salvezza nel campionato cadetto 1987-’88.
Nel 1988 lasciò il Piacenza, anche in seguito a difficoltà di gestione dello spogliatoio e del rapporto con il pubblico, passando ad allenare per qualche mese il Lanerossi Vicenza in Serie C1, in alternanza con Ernesto Galli.
Tra i ricordi più belli la promozione in A dell’Atalanta nel 1977 – con il tredici calato nella porta avversaria da Ezio-gol Bertuzzo, quando un certo Antonio Percassi faceva ancora lo stopper.