“Tutti i giorni accendo la tv e vedo quello che succede in Libia. E non posso dimenticare quella sera. Una così proprio non l’avevo messa in conto. Doveva essere solo una partita amichevole. E invece è stata la più brutta della mia vita”. Lui c’era. Lui è Càrmel Busuttil, centravanti della nazionale maltese .
E’ giovedì 10 marzo del 1988. A Tripoli si gioca l’amichevole tra Libia e Malta. Dopo due anni di isolamento libico, è il giorno del Festival dello Sport : una miniolimpiade con basket, ciclismo , tennis e calcio. L’unico paese straniero invitato è Malta. Dovrebbe essere una grande festa. Infatti allo stadio “XI giugno” sono in sessantamila: “Un impianto meraviglioso, con tre anelli di tribune. E col terreno in erba sintetica come quello del Luton Town. Un piccolo gioiello architettonico. Durante le pause, mi sono fermato ad ammirarlo”. E niente fa pensare a quello che sta per accadere.
“Ci avevano spiegato che la partita sarebbe cominciata alle diciassette. Così siamo andati a fare riscaldamento in un campetto di sabbia, a due passi dallo stadio. Invece delle diciassette, abbiamo aspettato fino alle diciannove. Due ore e mezzo di riscaldamento, pazienza”.
Malta giochicchia e al sedicesimo la Libia va in gol. Quarantatreesimo: mentre Malta imposta un’azione d’attacco, lassù, nel terzo anello, qualcuno agita una pistola. Forse c’è anche un coltello o addirittura un serpente. Anche Càrmel vede qualcosa dal terreno di gioco: “In mezzo alla tribuna laterale ho visto crearsi un vuoto. Il pubblico seduto sul terzo anello scappava verso le due estremità. La folla si è prima aperta in due e poi richiusa, ondeggiando. Ho chiesto in inglese al mio avversario diretto cosa stesse succedendo. Mi ha risposto che secondo lui era scoppiata una piccola bomba. E dal tono di voce sembrava quotidianità. E la partita è proseguita. Noi eravamo preoccupati e loro tranquillissimi. Il pubblico è tornato al suo posto, ma solo per un attimo”.
C’è una colluttazione . Poi il panico: “Altro vuoto nel mezzo e altro fuggi fuggi verso le curve”. La gente si ammassa dove capita. E molti scelgono il parapetto. Quello del terzo anello. Per trovarvi riparo.
Bastano pochi secondi e il parapetto si sbriciola. Mentre la partita continua e i calciatori assistono impotenti alla tragedia. Perché la gente cade di sotto. Dal terzo al secondo anello: “Io ormai guardavo con un occhio il campo e con l’altro la tribuna. Ci siamo messi le mani nei capelli, noi e i libici. E anche il cemento cadeva di sotto. Blocchi che pesavano decine di chili . Un volo di dieci metri. E nemmeno a quel punto la partita è stata sospesa”.
Urlano tutti, tranne i calciatori: “Ormai ero paralizzato. Guardavo solo la gente che continuava a venire giù. Cinquanta persone. Poi altre cinquanta. Forse mi sto sbagliando per difetto. E si giocava. Una cosa vergognosa. Sentivo piangere e singhiozzare. E’ entrata in campo un’ambulanza a sirene spiegate. Una sola per dieci, cento, mille persone in pericolo di vita. E poi i barellieri dal campo chi dovevano soccorrere?”
Adesso si corre, ma non sono più i calciatori. Perché almeno grazie a quell’ambulanza, hanno smesso di fingere di giocare: “Qualcuno rimaneva aggrappato all’ultimo gradino. Che orrore vedere quei corpi sospesi nel vuoto in attesa di un aiuto. C’è stato chi ha afferrato le mani di un disperato , ma il risultato è stato tragico: sono finiti di sotto insieme. E non ho visto un poliziotto. Neanche uno”.
“Non ci siamo nemmeno resi conto che la gente dell’anello inferiore cominciava ad entrare in campo. Ma non con intenzioni bellicose. Era semplicemente sotto schock. Coi miei compagni ci siamo radunati di fronte alle panchine. Ma ci siamo resi subito conto che non si poteva restare lì. Rischiavamo di essere travolti. E abbiamo formato una sorta di catena umana per raggiungere lo spogliatoio. Lì dentro siamo rimasti un’ora, forse più. Pensavamo all’Heysel. E pregavamo per noi, per la nostra incolumità . Ma anche per quelli fuori”.
Le agenzia di stampa parlano di diciassette morti . Qualcuno ne ha contati cinquanta. Per le autorità libiche non ce ne sarebbe neanche uno. Anzi non è successo niente: ”Col pullman abbiamo raggiunto l’aeroporto di Tripoli. I dirigenti della federazione libica ci rassicurano: Partirete alle ventidue con un charter. In effetti il charter era lì pronto. Peccato che mancassero i piloti. Abbiamo provato a riposare sui divani e le poltrone. E siamo decollati alle otto dell’indomani. Con i nervi a mille . Con la morte negli occhi”.
Càrmel rimbalza all’aeroporto di Linate per l’ennesimo scalo. Con la faccia pestata, non dorme da due notti. E deve rientrare in Piemonte, perché domenica c’è la partita. Lui gioca in Italia, col Verbania: “Volevo esserci. E scacciare quelle tremende visioni. Almeno per novanta minuti. A Tripoli è rimasto qualcosa di me. Da quel giovedì il calcio non era più il gioco più bello del mondo”.
E arriva in tempo per Salussola-Verbania , valida per il campionato di Promozione: “Non ricordo più nemmeno il risultato. So solo che è stata una partita di calcio normale. E che l’abbiamo portata a termine”.
Parla un italiano sufficientemente fluido . Qualche volta chiede tempo per articolare le risposte: “A Malta sono passato da un successo all’altro col Rabat Ajax. Poi l’esordio in nazionale a diciotto anni. L’abbonamento al titolo di calciatore dell’anno. Tutto naturale, tutto facile”. Adelmo Paris, ex Bologna, l’aveva suggerito al Verbania. In quel momento Càrmel era in viaggio, tanto per cambiare. Ma in viaggio di nozze: “Ero con mia moglie July e mi hanno dato la notizia. Sono venuto molto volentieri per mettermi in luce . Il Verbania poteva diventare il mio trampolino di lancio”.
Il suo è un calcio semplice. Perchè Càrmel non è uno sfondatore, poco più di un metro e settanta di altezza. Lui preferisce ronzare intorno alla linea difensiva e cercare lo spazio. Poi nelle mischie in area, fa valere l’istinto del rapace: “E che gol ho fatto . Chiedere informazioni anche a Schumacher. E’ stata una grande soddisfazione anche perché quel giorno Rummenigge e Völler sono rimasti a secco. E chiedere al signor Arconada : doppietta, anche se ne abbiamo presi tre”.
In Italia, Càrmel è arrivato in estate con lo status di studente. Mancava però un timbro e ha saltato le prime sei partite. Poi domenica primo novembre 1987 è toccato a lui . Il Verbania giocava contro il Bellinzago capolista. Càrmel non l’avrebbe mai detto, ma rimpiange subito le entrate di Briegel . E quelle di Camacho: “L’esordio col Verbania è coinciso con la prima sconfitta . Gli avversari picchiavano, senza logica. Tutti sul sottoscritto. Perché si era parlato tanto di me. Il portiere mi ha bloccato due palle gol. E ammetto di aver pensato di aver fatto la scelta sbagliata”.
Nella stagione 1987-’88, Càrmel è il nazionale straniero meno pagato d’Italia. Perchè se la batte col Gravellona e la Cossatese, col Dormelletto e il Mezzomerico. E se non perde l’aereo, anche col Crescentino: “Non so se tutti questi viaggi abbiano influito sul mio rendimento . Forse più che gli spostamenti in sé, hanno pesato gli scioperi. Alla nazionale ci tenevo. Avrei giocato a qualsiasi costo. Anche a Tripoli”.
A Malta vige il culto per il calcio estero. Ed è un culto quasi monoteista: “La serie A italiana da noi è molto seguita. Sappiamo tutto di tutti. Si tifa per Inter, Juve e Roma. Io preferisco il Milan, dove giocava il mio idolo: Franco Baresi. E’ un calcio difficile. Ma non mi sentivo di avere niente di meno degli stranieri della serie A. Al limite potevo andare bene in serie B”.
Se Càrmel fosse stato alto e biondo, col nome lungo da brasiliano o anche solo spagnoleggiante, l’avrebbero preso in considerazione . E coltiva quella sana speranza: “Contro il Borgomanero perdevamo 2-0 ed eravamo rimasti in dieci per l’espulsione di Paris. Abbiamo vinto 3-2 con una doppietta mia”. Ovviamente tutti lo chiamano Carmelo e lui non fa niente per impedirlo. Si è iscritto a una scuola di Omegna per migliorare la lingua. Qualche passeggiata con July, poi al cinema. O in discoteca, che è del presidente del Verbania.
Lo scontro diretto per il primo posto è Verbania-Bellinzago. Sono in tremila allo stadio dei Pini e assomiglia tanto al record per la categoria. Càrmel in nove minuti va in gol due volte: prima di rapina, poi di testa. Ma al novantesimo il Verbania si fa raggiungere su autogol. Promosso il Bellinzago.
“Mi ritengo uno fortunato. Ho talento e ci ho creduto. Sono rimasto in Italia un anno solo, ma hanno inciso anche i pregiudizi. Se un presidente avesse annunciato alla tifoseria Ho comprato un attaccante maltese, lo avrebbero preso per matto”. E quando il Verbania viene ripescato per meriti sportivi, Càrmel è già in partenza. Perché è arrivata la chiamata : c’è la serie A, anche se è quella belga. Lui continua a segnare. Al Genk lo fanno capitano.
Poi si carica la nazionale sulle spalle. Un giorno a Budapest parte palla al piede dal cerchio di centrocampo: tunnel al primo, tunnel al secondo. E i compagni gli aprono l’ultimo spazio. Càrmel è solo davanti al portiere, ma gli salta male la palla.
Nessuna esitazione, infila il gol più bello della sua vita. E’ ormai l’idolo dell’Isola, il trascinatore, quello più ascoltato. E non perché ha giocato in Italia.
Il 19 dicembre 1992 si gioca proprio Malta-Italia , qualificazioni mondiali. La sconfitta è nell’ordine delle cose. Ma nel primo tempo Malta si rannicchia e tiene botta. Il risultato è 0-0. Perché qualcosa è cambiato. Perché da anni non è più una collezione dispari di zamponi e piedoni. Sono professionisti. La gente è in festa, quasi non ci crede. Mentre Càrmel deve fare reparto in una landa desolata. E tira fuori il suo campionario di strappi, slalom, sterzate. E ancora finte, controfinte. Un dialogo elettrizzante col pallone e con la folla. Il frastornato Costacurta chiama in soccorso Franco Baresi.
Ripresa : Vialli e Signori fanno 2-0 e sembra l’inizio dell’uragano. Neanche per idea. Càrmel scatta profondo e Baresi alza il braccio. Non è il riflesso pavloviano da offside. E’ un colpo improvvisato da volley a ridosso dell’area: cartellino rosso per Baresi e rigore per Malta.
Pagliuca ci mette una pezza , ma non è finita: Càrmel fluttua a destra, seminando Maldini. Poi serve comodo per Gregory. E’ il primo gol della storia di Malta contro l’Italia . Tutti impazziti di gioia come se avessero vinto . E lui ha ricordato a tutti che meritava un’altra chance.
Ernesto Consolo