Poteva capitare, passeggiando per le strade della Brianza nei primi anni Sessanta, di incrociare gruppetti di giovani ciclisti in fila indiana, impegnati nell’allenamento giornaliero. Fra questi un ragazzo con l’aspirazione di diventare ciclista.
Di giorno faceva il lattoniere in una bottega artigiana del monzese e la sera saltava in sella alla bici. Il suo nome, Pierluigi Frosio. La sua storia – come la racconta Pier Paolo Vicarelli – è un piacevole mosaico di avvenimenti, vissuti in maniera semplice ed esaltante, che lo condurranno a scalare la carriera di calciatore professionista, diventando l’indimenticabile capitano del Perugia dei miracoli.
“Avevo 15 anni – racconta oggi Frosio – dopo due anni di gare in bici, un giorno ci portano a fare una visita medica con prova da sforzo; il medico sportivo sentenzia che ho un soffio al cuore ed il mio sogno sembra svanire. Non mi restava che andare a tirare qualche calcio al pallone con i miei amici. Per caso un giorno incontrai Giancarlo Besana, giornalista del Corriere della Sera che mi disse: ‘Tu giochi a calcio, perché non vieni a giocare con noi?’. Ancora oggi devo ammettere che se non ci fosse stato lui non sarei mai tornato a giocare e avrei continuato a fare il lattoniere. Ricominciai così a giocare a pallone con una squadretta di Monza, quasi per sfida. Un giorno durante un amichevole era prevista una selezione per individuare giovani talenti. I candidati erano due ragazzi che si presentavano come favoriti, ma a fine partita l’anziano direttore sportivo della società entrò negli spogliatoi chiedendo chi era il ragazzo con il n 4. Non avrei mai pensato che avrebbero scelto proprio me.
Ero sceso dalla bici quasi per gioco ed in poco tempo mi trovai ad indossare la maglia di una squadra di serie B. Feci due anni con il Legnano e due con il Rovereto in serie C, poi fui preso dal Cesena in serie B e la sorte volle che li incontrai un certo Silvano Ramaccioni che da arguto conoscitore del mondo calcistico mi dirottò dritto, dritto nelle mani di Ilario Castagner, giovane allenatore emergente e modernista appena approdato al Perugia. Fu lui che cambiò la mia carriera calcistica. Fino ad allora avevo ricoperto il tradizionale ruolo di stopper, ma dal primo anno al Perugia Castagner mi disse che dovevo giocare da ‘libero’, suscitando aspettative e qualche incognita.
Chissà cosa sarebbe successo in campo davanti agli avversari? Molti cominciarono a definire quello perugino “’un nuovo modello di calcio all’olandese’. Devo invece ringraziare Castagner che aveva intuito una nuova via che portò i suoi frutti, facendomi guadagnare la sua fiducia ed in seguito anche la fascia da capitano. La nostra, racconta Frosio, era una società con una squadra all’avanguardia, con un presidente dalle gradi doti comunicative ed umane che sapeva tenere tutti uniti.
Al di la delle definizioni tecniche ci sentivamo tutti forti, alti e piazzati, non temevamo nessuno perché eravamo affiatati in campo e fuori. Per tanti anni siamo rimasti sempre gli stessi giocatori; ci cimentavano con grande compattezza e semplicità. Eravamo legati da un grande rapporto umano e questa è stata la carta che spesso a messo in difficoltà le grandi squadre.
Un grande ringraziamento ancora oggi lo dobbiamo al pubblico perugino trascinato in quella irripetibile avventura. La squadra infatti era parte integrante della città. Pur essendo diventati dei protagonisti, giravamo per la città come persone normali, ci fermavamo a parlare con la gente, si commentava, si dialogava e ci si aiutava anche nei momenti di difficoltà”.
Quando il 22 ottobre 1978 il Perugia di Castagner andò a Torino vincendo 2-1 contro la Juventus, il lunedì la Gazzetta dello Sport titolò così l’avvenimento: “11 ragazzi di campagna violentano la vecchia signora”. In realtà, racconta Frosio, “eravamo rimasti sempre 11 ragazzi che giocavano a calcio per passione”. Il suo ricordo torna al capodanno di tanti anni fa in una camera di albergo a Foligno: “Eravamo in ritiro prima di affrontare l’Arezzo, io e Ceccarini brindammo all’anno nuovo con due bicchieri di carta e una piccola bottiglia di spumante”.