Stefano Pioli è stato un ottimo difensore: approdato giovanissimo alla Juventus, in bianconero vincerà tanto in tre stagioni. È l’annata 1983-‘84 e il Parma, che milita nel campionato di Serie C, ha appena pareggiato un derby contro la Reggiana quando a Stefano Pioli viene detto di prepararsi perché ad attenderlo c’è un viaggio inaspettato. La meta è Milano ed il motivo di questa trasferta improvvisata è di quelli molto importanti: l’Inter, dopo averlo osservato per mesi, ha deciso di anticipare tutti e di farlo suo. Quando il diciottenne Stefano, il padre Pasquino ed il direttore sportivo del club ducale, Riccardo Sogliano, imboccano la A1 per dirigersi verso il capoluogo lombardo, la gioia è evidentemente tanta. Di lì a poco infatti, il giovane difensore che ha già tanto iniziato a far parlare di sé, apporrà una di quelle firme destinate a cambiare la vita di chiunque. Quello che nessuno può sapere in quel momento è che Pioli approderà sì all’Inter, ma solo trentadue anni più tardi per allenarla. All’altezza di Piacenza infatt – come racconta Leonardo Gualano su “Goal.com” – , Sogliano mette la freccia a destra per fermarsi in un’area di servizio. Non deve fare benzina, bensì una telefonata. Nel momento stesso in cui alzerà la cornetta, modificherà per sempre il volto delle cose. Dall’altra parte del filo infatti c’è la Juventus che rompe gli indugi e decide di soffiare il ragazzo all’Inter. Quando il dirigente torna in macchina, spiega ai suoi compagni di viaggio che i programmi sono cambiati. Non si va più a Milano e questo perché i bianconeri hanno offerto di più. Il futuro di Pioli non sarà all’ombra del Duomo, bensì all’ombra della Mole.
La Juve, che di lì a poco vincerà il suo ventunesimo scudetto al termine di un lungo testa a testa con la Roma campione d’Italia, pur di far suo quel talento del quale si raccontano cose così importanti, mette sul tavolo qualcosa come un miliardo di lire. Una cifra elevatissima per un difensore non ancora diciannovenne che ha giocato solo ed esclusivamente nella sua Parma e che non si è mai spinto oltre la Serie C. Il club bianconero sta rinnovando la sua rosa e, come spesso fatto nel corso della sua storia, è andato a cercare in provincia quei giocatori chiamati ad imparare dai grandi campioni in rosa per andare poi a formare lo zoccolo duro per il futuro. A Torino sanno che Claudio Gentile è arrivato al capolinea della sua avventura in bianconero, al pari di Furino (giunto ormai a fine carriera dopo quindici anni di militanza alla Juve) e che di lì a poco sarà necessario individuare anche l’erede di quel Gaetano Scirea che ha ormai varcato la soglia dei trent’anni. Pioli ha tutto ciò che serve per entrare nel mondo bianconero. È giovane, forte, elegante, duttile e se in campo sa anche essere grintoso e duro quanto basta, al di fuori è il classico bravo ragazzo dal quale non puoi aspettarti nulla di sbagliato. È insomma un profilo da Juventus. Quando si trasferirà a Torino lo farà dopo aver segnato il goal (uno dei pochissimi in carriera) decisivo per la promozione del suo Parma in Serie B, ma anche consapevole del fatto che il salto compiuto e di quelli straordinari e che ad attenderlo ci sarà un periodo di apprendistato.
Da un giorno all’altro si ritroverà infatti a condividere lo spogliatoio con Cabrini, Tardelli, Scirea, Paolo Rossi, Boniek e Platini e la cosa non può che tradursi in poche occasioni di scendere in campo, ma anche nella possibilità di osservare da vicino alcuni tra i più grandi giocatori del pianeta. Quando a fine luglio la squadra si riunisce a Villar Perosa per iniziare il ritiro estivo, Stefano Pioli sarà il primo ad arrivare. Con lui ci saranno anche i genitori e non potrebbe essere altrimenti. Se da un lato infatti lui non ha ancora preso la patente, dall’altro la famiglia vuol capire bene cosa attende quel ragazzo alla prima esperienza lontano da Parma e dal calcio di provincia. Il primo impatto è di quelli incredibili. Pioli conosce i suoi nuovi compagni di squadra e comprende che, dietro quell’aurea di leggende viventi ci sono dei ragazzi normali pronti ad accoglierlo nel migliore dei modi nel gruppo. Fa la conoscenza di Giovanni Trapattoni e ad aspettarlo trova anche Giampiero Boniperti, che gli fa capire subito come funzionano le cose in bianconero: i capelli vanno tagliati e l’abbigliamento deve essere più elegante.
Quella che sembrava una salita che richiedeva una lunga scalata si trasforma quindi in una discesa. “Temevo che i tanti campioni che ci sono qui mi avrebbero lasciato in disparte, invece mi hanno dato tanti consigli. Non ho più paura, ho conosciuto tanti ragazzi simpatici, adesso devo solo contare sulle mie forze. Saprò aspettare il mio momento, non mi pesa il fatto di andare in panchina. Per un ragazzo come me già stare nella Juventus rappresenta il massimo”. Pioli di panchina alla Juventus ne farà molta, e non perché gli manchino le qualità. Troverà in Giovanni Trapattoni un tecnico più che pronto a puntare su di lui (“È un tipo sveglio, dal gran fisico. Ha confermato una certa sicurezza e offre un buon affidamento”), ma dovrà fare anche i conti oltre che con un’enorme concorrenza, anche con una lunga serie di infortuni che ne freneranno l’ascesa. In una Juve che si schiera con un libero (l’intoccabile Scirea) e con tre centrali davanti a lui, faticherà a trovare il campo con costanza, ma avrà la bravura di farsi trovare pronto ogni volta che verrà chiamato in causa. Farà il suo esordio in bianconero in un 6-0 contro il Palermo in Coppa Italia e darà anche il suo apporto in Coppa Campioni, dove totalizzerà tre presenze (una delle quali da titolare) prima di farsi male.
Sono tre presenze importanti, perché la Juve riuscirà a spingersi fino a quella finale che poi, purtroppo, coinciderà con uno dei momenti più drammatici dell’intera storia del calcio mondiale. C’è anche lui a Bruxelles infatti nella terribile notte della tragedia dell’Heysel. “C’ero e fui anche l’unico giocatore a vedere l’inizio di tutto – ricorderà anni dopo a La Gazzetta dello Sport – Piede ingessato per la frattura al quinto metatarso, dunque ero già in tribuna con un dirigente allo scoppio dei primi tafferugli nel settore Z. Ci ordinarono di tornare giù e non vidi il crollo, in compenso nei corridoi della zona spogliatoi cominciò a passare gente sanguinante: sirene delle ambulanze una dietro l’altra, ma dei morti avremmo saputo solo dopo. La finale la vidi a bordo campo, surreale.
Ci avevano detto ‘Si va in campo per 45’, il tempo di far dividere i tifosi alla forze dell’ordine’: eravamo tutti convinti che si sarebbe rigiocata”. È il 29 maggio 1985 quando Stefano Pioli si riscopre campione d’Europa. È arrivato lì dove in pochi riescono ad arrivare, ma l’ha fatto in un giorno che nessuno avrebbe mai voluto vivere. In meno di un anno ha già messo in bacheca una Supercoppa Europea ed una Coppa Campioni, ma il momento più alto della sua carriera coinciderà con il trionfo in Coppa Intercontinentale del 1985. Si gioca a Tokyo, dove la Juventus affronta l’Argentinos Juniors, e Platini ha appena pareggiato la rete di Ereros su rigore quando Gaetano Scirea, al 64’, è costretto a chiedere il cambio. Trapattoni getta allora nella mischia proprio Pioli che, a vent’anni non ancora compiuti, si sistema al fianco di Brio nel cuore della difesa e ripaga la fiducia concessagli con un’ottima prestazione. La gara è di quelle sofferte e i 90’ si chiuderanno sul 2-2. Quando sarà il momento della lotteria dei rigori, Trapattoni lo inserirà nella lista dei tiratori come sesto. Platini, segnando il quinto, gli negherà la più pesante delle incombenze possibili. Sarà quella anche la stagione del primo ed unico Scudetto vinto da calciatore, prima di un’ultima annata agli ordini di Rino Marchesi scandita da poco campo. Quando lascerà la Juve dopo tre anni, lo farà dopo aver collezionato 57 presenze complessive condite da un goal e tanti trionfi. Ripartirà poi dal Verona, dove resterà due stagioni, prima di iniziare l’altra grande tappa della sua carriera da calciatore: quella alla Fiorentina. Resterà in viola per sei anni e si legherà moltissimo a Firenze.
Diventerà un punto fermo della retroguardia gigliata, sfiorerà una Coppa Uefa (persa in una doppia finale proprio contro la Juventus), ma vivrà anche uno dei momenti più drammatici della sua vita. È il 6 novembre 1994 quando, a seguito di uno scontro di gioco, riporta un arresto cardio-respiratorio. “Il giorno che pensai di essere morto avevo addosso una maglia viola – ricorderà a La Gazzetta dello Sport – Novembre ’94, Fiorentina-Bari, contrasto con Protti: in rovesciata prese la mia testa pensando fosse la palla. Non mi spaventai – ero svenuto secco – ma mio padre fece invasione di campo e mia moglie mollò la bimba a delle amiche per correre da me. Avevo ripreso coscienza già in ambulanza, ma ricordo di essermi svegliato solo quando ero già dentro il tubo della Tac, ancora in maglietta e pantaloncini: buio, freddo, non capivo se ero vivo o morto. Urlai così forte che mi tirarono fuori, e l’esame fu rinviato al giorno dopo…”.
Quando appenderà gli scarpini al chiodo nel 1999, dopo le parentesi al Padova, alla Pistoiese, alla Fiorenzuola ed al Colorno, saranno in molti a pensare che quello che si stava ritirando era un giocatore che aveva avuto una buonissima carriera, ma probabilmente non all’altezza delle aspettative. “Ho avuto troppi infortuni nei momenti più importanti della mia carriera – ha raccontato a Radio Bruno – Tipo a Perugia: avevo 25 anni e Vicini, il ct, mi stava seguendo. A parte avermi negato la finale di Coppa Uefa mi ha interrotto la crescita, non sono mai tornato come il giocatore di prima”. Avrebbe forse potuto raggiungere vette più alte, ma non c’è nulla che possa rimproverarsi. In un calcio nel quale i calendari erano ancora umani ed il concetto di turnover era ancora ben lungi dall’essere preso in considerazione, non ha avuto, soprattutto in bianconero, grandissimo spazio, ma ha saputo confrontarsi con alcuni dei migliori giocatori della sua epoca, tra l’altro in un momento nel quale la Serie A era un punto di riferimento, oltre che un punto d’arrivo, per tutti. Ha vinto tanto da comprimario, ma ogni singolo momento vissuto da calciatore l’ha portato ad essere ciò che è oggi: uno degli allenatori più apprezzati ed importanti dell’interno panorama calcistico italiano.