Per recuperare il cuore richiamano il cervello. Xavi vuelve, torna ad allenare il Barcellona, per ritrovare le radici catalane, una missione da Indiana Jones: avventura archeologica alla ricerca dell’ideologia di Johan Cruijff che Ronald Koeman non era riuscito a dare. E c’è anche la filastrocca-profezia: per riavere il Barça catalano creato da un olandese, ci vuole un catalano che gioca all’olandese e che prenda il posto di un altro olandese che non riusciva a far tornare l’ideologia catalana. In pratica si torna al Barcellona di Pep Guardiola, che pure venne dopo un olandese, Frank Rijkaard, che, però, aveva Ronaldinho, aveva vinto la Champions League, la Liga (due volte) e aveva mandato in campo Lionel Messi. A Xavi tocca una missione difficilissima, anche perché essendo la mente del tiki-taka sa benissimo che il ritorno può esistere solo nella sua evoluzione, come Luis Enrique che ha capovolto il quadro con la nazionale spagnola, o lo stesso Guardiola che ha tagliato la tela alla Fontana – nel Manchester City – ma con i piedi di Kevin De Bruyne. Xavi (Xavier Hernández) lascia l’Al-Sadd – squadra di Doha, Qatar – e torna contro se stesso: alle scorse elezioni aveva appoggiato Victor Font, avversario dell’attuale presidente Joan Laporta, che a sua volta è stato costretto al compromesso in nome della squadra stato. Xavi trova una squadra smarrita, che inseguendo il Real Madrid ha fatto acquisti costosi e sbagliati come Antoine Griezmann, o ancora lontani dalla profezia come Philippe Coutinho e Ousmane Dembélé, cedendo per un eccesso di politicamente corretto uno degli attaccanti più forti di questi anni: Luis Suárez, con conseguente rivincita attraverso la vittoria della Liga con l’Atletico Madrid.
Su questo Xavi dovrà lavorare, ma come secondo aspetto, perché quello principale sarà la ricerca del suo erede, perché non c’è grandezza del Barcellona senza uno Xavi. Deve trovare il se stesso ragazzo, per ora diviso in tre: con Busquets che copre il ruolo ma con testa e piedi e soprattutto movimenti diversi, e in nuce attraverso Gavi e Pedri. Una ricerca del corpo e dell’ideologia.
Quella che fu la squadra stato, l’espressione sportiva del tentativo egemonico catalano, ora è un corpo a pezzi, smembrato, sconfitto, sfiduciato, che vede uno dei compagni di Xavi, il difensore Gerard Piqué, ultima bandiera, preoccupato più per la Coppa Davis e il campionato mondiale di palloncino, che per l’andamento della squadra, tanto che per puro marketing può dichiarare di invidiare Madrid, dove si svolgerà il torneo di tennis per nazionali organizzato dalla Kosmos, di cui è presidente. Sancendo l’implosione dell’ideologia catalana, che viene meno prima nella testa – e che testa – e poi sul campo. Ma Xavi è un genio, fin quando si trattava di pensare con i piedi, ora bisognerà vedere se siederà sulla panchina del torto dove ci sono i campioni che non sono diventati grandi allenatori, o su quella della ragione che vede la conferma dell’assioma: in panca come in campo. Il terzo obiettivo è il riallaccio tra la città e la squadra, e tra la cantera e la squadra madre.
Per un paradosso o uno scherzo del destino, l’uomo-stratega che cancellava e riscriveva gli spazi degli avversari: ora deve cancellare gli errori del fratello maggiore Koeman e riscrivere gli insegnamenti del padre-maestro Guardiola, mai del tutto abbandonati, ma pieni di emendamenti che alla lunga hanno portato al deragliamento. Tutto il variare del Barcellona in questi anni è stato un fraintendere la spinta cruijffiana e non riuscire a star dietro alle trasformazioni guardiolesche. Il suo restare una squadra d’attacco e posizione, ma con gli uomini e gli allenatori sbagliati. Xavi sembra l’uomo e l’allenatore giusto, è un monumento e questo gli consente un po’ di tempo e la fiducia. L’eleganza, i tagli, gli abusi d’effetto che usava col pallone ora dovrà trasporli sulla lavagna, in una nuova manovra che dai piedi passa alle mani per tornare ai piedi dei suoi calciatori, che – ahìlui – non sono come i suoi di Iniesta e Messi.
Marco Ciriello