Improbabili colletti a punta, quasi un unicum nel panorama della moda mondiale, cravatte a tinta unita, colore lucido delle scarpe. Uno stile inconfondibile. E poi quella voce gracchiante, un vero marchio di fabbrica, che entrava nelle case degli italiani come una carezza di cartavetrata. In un’epoca in cui il calcio lo potevi immaginare solo grazie al racconto dei giornalisti attraverso “Tutto il calcio minuto per minuto”, lui, Sandro Ciotti, era il più popolare tra i radiocronisti.
“Scusa Ameri, sono Ciotti”, oppure “Clamoroso al Cibali”, sono ancora oggi annunci scolpiti nella storia del giornalismo, del calcio e del costume dell’Italia, non solo quella che segue le vicende del football nostrano. Non aveva bisogno di carte e scartoffie, Ciotti, aveva una memoria prodigiosa e soprattutto un fluire del racconto che oggi andrebbe proposto nelle scuole di giornalismo.
Certo, a volte, si lasciava andare, si produceva in qualche virtuosismo lessicale di troppo, ma erano stoccate in punta di fioretto, quasi esercizi retorici da accademico della Crusca. La radio era la misura esatta di Sandro Ciotti, la sua palestra. Vi esercitava da maestro della parola, raccontando gli altri e mai se stesso. Sapeva anche scrivere, fatto che non è comune a chi si spende, tra una sigaretta e l’altra come faceva lui, al microfono. Figlio di un giornalista, Gino, era nato a Roma il 4 novembre 1928, e il padrino era stato Trilussa, un segno del destino forse. Questo è il Ciotti che tutti hanno imparato ad apprezzare e ad amare.
Quello che tutti non sanno – come racconta Pietro Pagliarella su “Ciociaria Oggi” – è che Ciotti, oltre ad essere stato prima un intellettuale e poi un maestro di giornalismo, è stato anche un discreto calciatore. E nella sua carriera ha militato, per una stagione intera, nelle fila del Frosinone. È il campionato 1950-’51, Promozione Interregionale, girone L. Sandro Ciotti, prodotto del vivaio della Lazio, proviene dalla Viterbese. Destro naturale, gioca mediano, la sua maglia è la numero otto, e manifesta una tecnica raffinata e un grande carattere, tipico degli uomini di successo. Il girone in cui è inserito il Frosinone è composto da squadre laziali (i canarini e il Sora), abruzzesi (tra cui meritano una citazione il Chieti, che vince il torneo e sale in Serie C, il Pescara e il L’Aquila), umbre (come il Città di Castello) e marchigiane (come l’Ascoli). Ciotti, a fine campionato colleziona 29 presenze con zero reti all’attivo. La sua è una stagione molto positiva con un alto rendimento tanto che l’anno successivo si trasferisce in Serie C al Forlì per andare, poi, all’Anconitana, sempre nella terze serie nazionale. Ritroverà, a metà degli anni Cinquanta, il Frosinone, ma, questa volta, da avversario, vestendo la maglia del Terracina, che indosserà per due stagioni prima di chiudere la carriera per dedicarsi al giornalismo.
I compagni del Frosinone dell’epoca lo ricordano come una persona gioviale, con una voce da usignolo (prima che gli cambiasse nel ‘68 per un edema dopo 14 ore di diretta sotto la pioggia alle Olimpiadi di Città del Messico) e con una grande abilità nel suonare il pianoforte con cui li intratteneva nei momenti di relax tra una battaglia e l’altra sul campo. “Frosinone, come tutte le mie esperienze di vita – disse in un incontro di calcio tra vecchie glorie disputato al Comunale qualche lustro fa – mi ha insegnato il valore del lavoro e del sacrificio. E nel cuore mi è rimasta le generosità e la sincerità delle persone di questa terra”.