Alla Lazio lo chiamavano Paperella, perché i gol presi per errori suoi (anche clamorosi) erano diventati troppi, al Verona e al Napoli però Claudio Garella diventò Garellik, riuscendo nell’impresa di vincere due scudetti in due piazze dove il tricolore non s’era visto mai. Parava con i piedi, con le ginocchia, con tutte le parti del corpo: usciva poco (e male) eppure era efficace. Mai prima di lui e mai dopo di lui c’è stato un portiere con le sue caratteristiche.
Dal Vicenza a Casale, Novara e Lazio dove Vinicio gli diede fiducia fin quando non divenne bersaglio della rabbia dei tifosi (“Ero troppo giovane e per questo andò male”), poi la Sampdoria dove in tre stagioni si rifece un’immagine. Fu al Verona però che Garella divenne un idolo. Lo storico scudetto dell’85 e la chiamata del Napoli, dove bissò il tricolore nell’87 (“Ma questo mito che paravo solo con i piedi non è vero, paravo un po’ con tutto ma evidentemente sapevo usare i piedi più di altri, addirittura una volta feci un intervento in rovesciata”…)
Eppure non è mai stato amato da tutti. “Il miglior portiere senza mani”. Lo aveva definito così l’Avvocato Gianni Agnelli. A calcionews24 Garella ammise: “Un grosso onore per me, comunque: non è mica da tutti finire tra gli aforismi storici dell’Avvocato. Ma la palla devi sempre prenderla in tutte le maniere, punto. Quando ti ritrovavi davanti gente assetata di gol come Paolo Rossi o Pruzzo, non potevi andare troppo per il sottile! E allora te ne inventavi di tutti i colori, pur restando nell’ambito del regolamento che allora – non dimentichiamocelo – te lo permetteva”.
Lasciare Verona per Napoli non fu difficile ma neanche una passeggiata. A Repubblica disse: “Mi dispiacque lasciare Verona ma volli fortemente giocare con il calciatore più forte di tutti i tempi, Diego Armando Maradona. Ma gli altri non è che fossero scarsi, anzi se a Verona feci 100 parate nell’anno dello scudetto a Napoli ne feci 10. Non chiedo giustizia alla critica, faccio parlare i risultati, che devo dividere con tutti i compagni, certo, ma per qualcosa c’entrerò pure io. Voi dite che sono brutto, grasso, sgangherato, clownesco, antiatletico, un portiere da hockey eccetera. Io invece dico che sono un portiere vero e non invidio nulla a nessuno”.
A Napoli durò fino allo scudetto perso col Milan nell’88. Garella insieme a Bagni, Giordano e Ferrario venne preso come capro espiatorio ed andò ad Avellino ma per un brutto infortunio dovette ritirarsi a 35 anni: “Ho fatto il corso da dirigente a Coverciano con docente un certo Italo Allodi, pensavo di poter dire la mia anche in questa nuova veste, ma evidentemente non ha funzionato. Il calcio ti dà tanto, ma allo stesso tempo ti leva anche tanto…”.
Un piano B lo aveva (“Sì, una gioielleria a Verona che poi ho dovuto chiudere per ragioni familiari”) e allora si torna in campo. Ad allenare il Barracuda, squadra di II categoria (“Volevo sfatare il tabù che i portieri non sono dei bravi allenatori. In ogni caso non sarei mai riuscito a stare sul divano a casa, io devo andare su un campo di calcio qualunque esso sia”), di cui fino a qualche anno fa è stato anche dirigente.