“Sono nato nella miseria: da piccolo, a Port Harcourt, vivevo per strada, aiutando mia madre a vendere l’akara, una specie di torta di fagioli. O scendevo allo stagno a pescare, e quando andava bene rimediavo la cena per tutti”. Taribo West – che alla Gazzetta in passato ha raccontato la sua infanzia – ha conosciuto la fame prima della gloria, ma anche quando era ricco e famoso ha saputo cambiar vita, per abbracciare la religione pentecostale e farne la principale ragione dell’esistenza. Lo ricordano ancora tutti con affetto sia all’Inter, dove ha giocato due anni vincendo anche l’Uefa, che al Milan quando colorò di rossonero le sue celebri treccine facendo inalberare i suoi ex tifosi (“Li capisco, ma il Milan fu una chance non da poco. Ma stiano tranquilli: il mio cuore è solo per loro e l’Inter” ha detto di recente proprio alla rosea).
Un personaggio sui generis il difensore nigeriano, accusato anche di aver barato (e non poco) sull’età (ma lui giura: “Sono nato il 26 marzo 1974. Potete star tranquilli, è la verità”), di avere un carattere ribelle (nel ‘98 buttò la maglia addosso al tecnico nerazzurro Lucescu che l’aveva sostituito) mentre sua moglie Atinuke lo denunciò nel 2002 per violenze fisiche e verbali e – a detta della donna – per il matrimonio non consumato. Nel 1996 la conversione (“Dio mi ha chiesto di diffondere il suo Verbo”, disse), poi fondò una setta pentecostale, la “Shelter in the Storm” (Rifugio nella Tempesta), con sede a Milano e succursali in Nigeria.
“La religione è la mia seconda vita. Sono un uomo felice che si divide tra beneficenza, predicazione e campo. In Nigeria lavoro con la Federazione e aiuto i bambini in difficoltà grazie alla mia Fondazione e alla Taribo Boys. Voglio aiutare chi si è smarrito e dare il mio contributo per risolvere i problemi più gravi: perdita dei cari, difficoltà economiche, mancanza di lavoro. Mi rivolgo soprattutto a chi prende una brutta strada”.
In un’intervista sul Guardian nel 2002, West ha rivelato: “Ho aperto la porta a mia sorella e prima che riuscissi a dire ‘Sono contento di vederti,’ lei mi ha detto, ‘Devi essere molto forte per vivere in una casa come questa.’ Ha aggiunto che la casa aveva un’aura maligna, e mi ha chiesto se avessi fatto dei riti magici. Se non fosse stata mia sorella l’avrei cacciata. Come molti calciatori ero fortemente superstizioso e non scendevo in campo se non avevo acceso una candela e stretto in pugno una pietra magica che un amico mi aveva portato da Israele. Ma mia sorella mi ha detto che sentiva energie occulte e che vedeva due cani, uno bianco e uno nero, che si azzuffavano”. Lo convinse che doveva cambiare.
Secondo Taribo, a quel punto hanno cominciato a succedere cose strane: i cassetti hanno iniziato ad aprirsi e chiudersi da soli. “Ho pensato che forse era il vento, ma subito dopo tutte le porte hanno iniziato a sbattere. Era come stare in un film orribile, ma sapevo che era tutto vero. Poi mia sorella si è girata verso di me e mi ha detto, ‘Taribo, tu diventerai un pastore, lo sento’”. E così fu.
Ma fu un’esperienza super anche condividere lo spogliatoio con campioni come Zamorano, Zanetti e Ronaldo. L’attuale vicepresidente nerazzurro lo ha citato nella sua autobiografia: “Taribo è stato il compagno più matto che abbia mai avuto. Una sera invitò me e Ivan Zamorano per una cena. ‘Preghiamo un po’ e poi mangiamo’, ci disse. Erano le sette: le litanie andarono avanti fino a mezzanotte, quando finalmente potemmo metterci a tavola”. E Simoni. (“Ho lavorato con tanti bravi allenatori in carriera, ma nessuno è come lui. Persona enorme, fondamentale per la mia crescita”).
Feeling che non sbocciò con Lippi. Celebre il dialogo tra i due, diventato leggenda: “Mister, Dio mi ha detto che devo giocare”. Risposta: “A me non ha detto nulla”.