Bruno Pesaola per tutti rimarrà per sempre “il Petisso”, che significa piccolo, per la statura non certo per la qualità del suo gioco e del suo vivere.
Era nato a Buenos Aires, fu ingaggiato dalla Roma nel 1947 e negli anni successivi giocò con Novara, Napoli, Genoa e Scafatese. Disputò anche una partita da oriundo con la maglia della Nazionale italiana maggiore ed una con la Nazionale B. Nella stagione 1961-’62 cominciò la carriera di allenatore, culminata con uno scudetto vinto alla guida della Fiorentina nel 1969. Per molti anni allenò a Napoli, città nella quale ha sempre vissuto, concludendo la sua carriera come tecnico nella Puteolana nel 1985.
Tra le più belle parole spese per descrivere questo autentico personaggio del calcio mondiale, ci sono quelle scritte di Mimmo Caratelli:
«Il cappotto di cammello e la nuvola di fumo delle sigarette, una perennemente tra l’indice e il medio della mano destra con cui incitava la squadra ad andare avanti, ma era un gesto solo per il pubblico, perché con la mano sinistra, ben nascosta agli spettatori, segnalava alla squadra di stare dietro. Può essere questa la foto simbolo di Bruno Pesaola, il petisso? Il cappotto portafortuna, le sigarette, le panchina di mille gioie e dolori, le furbate tattiche. Tre sono i cappotti di cammello famosi. Quello di Alain Delon nel film “La prima notte di quiete”. L’altro di Marlon Brando in “L’ultimo tango a Parigi”. Film del 1972. Ma il primo, e il più noto a Napoli, e fuori
Napoli, è stato il cappotto portafortuna di Bruno Pesaola allenatore, indossato sette anni prima di Delon e Brando e immortalato in centinaia di foto negli stadi. “E ancora con ‘sto cappotto di cammello. Un’invenzione dei giornalisti. Io non c’entro niente”. Ma dài, racconta. “Ero a Sanremo dove c’è un negozio di abbigliamento con tutte le novità e molti capi francesi, alla moda, ma proprio alla moda. Cose belle, belle, belle. E vedo in vetrina un cappotto bellissimo. Costava un sacco di soldi, mortacci! Io compro ‘sto cappotto. Lo indosso a Napoli e si vinceva. E i giornalisti a scrivere che io vincevo perché avevo il cappotto di cammello, il mio portafortuna. Ma io il cammello ce l’avevo qui, in testa”».
Nell’estate del 1950, dopo la parentesi di Roma, progetta di tornare in Argentina. A Buenos Aires si ricorderanno ancora certamente di lui, e una delle tante squadre della capitale sudamericana lo assumerà. Gli spiace però archiviare con una sconfitta l’esperienza italiana, lui che era sbarcato a Genova con tante speranze e tante illusioni.
La valigia è pronta sul letto dell’albergo quando arriva un telegramma firmato Silvio Piola. Dice: “Petisso vieni a Novara. Ti proviamo e vediamo se puoi giocare con noi. Io ho fiducia. Ti ho visto giocare e mi sei piaciuto Dai vieni. Ciao, Silvio“.
Piola Silvio ha anche l’appoggio dello zingaro Azza Arangelovich che ha giocato con Pesaola nella Roma e conosce le qualità (ancora non completamente svelate) del piccolo scattante argentino.
Dunque “il Petisso” torna ad essere un emigrante, da Roma a Novara, dalla metropoli caput mundi alla provincia piemontese, seria, tranquilla ma forse noiosa. Ricomincia ad allenarsi mattina e pomeriggio sull’erba di viale Alcarotti. Al mattino per ricostruire il fisico e le gambe offese da troppi infortuni; il pomeriggio giocando con la squadra azzurra.
Pesaola cresce a vista d’occhio, balla il tango nelle balere novaresi, piace alle ragazze, è abilissimo nella camminata, nella baldosa, nella parada, tutti passi e figure dell’eccitante e sinuoso ballo sudamericano. E intanto, durante una serata da ballo alla sala sotterranea del Vittoria, adocchia una bruna slanciata: è Ornella Olivieri, un’incantevole reginetta di bellezza, che diventa sua moglie e gli regala un figlio, Roberto, laureato in filosofia, autore di testi radiofonici e teatrali con lo pseudonimo notissimo di Zap Mangusta. Un matrimonio felice, troncato nel 1986 dal tumore che la porta via.
Pesaola resta con il Novara due stagioni con un positivo bilancio personale: confeziona i cross per Piola, che a 39 anni segna 21 gol e torna in nazionale. Ma soprattutto si sente ricostruito nel fisico e nel morale. Ovviamente le sue prestazioni non sfuggono alle grandi squadre. E arrivano offerte sostanziose da Milano e da altri club importanti. Pesaola chiese consiglio a Ornella; la moglie immediatamente sceglie Napoli (suo fratello lavora tra l’altro alla Siae di Pozzuoli), e approfittano del viaggio al Sud per realizzare una bellissima “luna di miele” sulla costiera amalfitana. Si presenta poi al Parker’s dov’è radunato il Napoli di Monzeglio con Amadei, Casari, Comaschi, il vecchio Gramaglia, Eugen Vinyei, il terzino ungherese dal tiro potente, persino un Manlio Scopigno di passaggio in maglia azzurra. Pesaola, Jeppson e Giancarlo Vitali sono gli acquisti di Lauro per un tridente offensivo memorabile.
Come accennato prima, la fine della carriera sportiva di Pesaola è andata in scena sulla panchina del Campania. Come giocatore c’era anche Antonio Tormen, che pochi giorni fa ha voluto ricordarlo così:
« Lui non allenava mai, stava seduto in panchina, faceva tutto il suo secondo. Agli allenamenti mattutini raramente era presente, di notte giocava a poker, la sua seconda o prima attività. La domenica entrava nello spogliatoio, appendeva la formazione al muro e ci diceva “in bocca al lupo ragazi” (aveva sempre un po’ di accento sudamericano) ed usciva.
Una domenica, non ricordo la partita, gli avversari giocavano con il loro uomo guida, il regista, l’ uomo squadra , con il numero 5, come Falcao della Roma dell’epoca. Prima che “il Petisso” uscisse, Giovanni Vavassori e Angelo Orazi che erano i più esperti gli chiesero: “Mister, chi va a prendere il loro 5? “. “Il Petisso” tra il sorpreso e il meravigliato disse “Ragazi, oggi vogliamo marcare anche il loro stopper ?” Ed uscì. Ci guardammo in faccia esterefatti, poi mettemmo giù la squadra e fui io a “prendere” il loro regista. In panchina “il Petisso” non si accorse di nulla o fece finta di non accorgersene. Vincemmo la gara e a fine partita il ci fece i complimenti, dandoci la mano come faceva sempre in questi casi». Cose dell’altro mondo!