Il calcio alle Olimpiadi è una storia d’amore contrastato e, spesso, non corrisposto. La più grande manifestazione mondiale dello sport e lo sport più praticato nel mondo, fatta eccezione per le prime edizioni, hanno faticato ad andare d’accordo e solo raramente l’unione ha suscitato entusiasmi autentici. Sembrerebbe quasi una contraddizione inspiegabile. Ma una ragione si può già trovare nelle polemiche del 1912, quando il Cio (il Comitato olimpico internazionale) rimase fino all’ultimo in dubbio se accettare o meno il football, considerato un “gioco”, per di più già contaminato dal professionismo, e dunque lontano mille miglia da una disciplina nobile e pura come l’atletica, regina dei Giochi a cinque cerchi.
Questa iniziale discriminazione (come racconta “Storie di Calcio”) che addirittura mette in dubbio il carattere “sportivo” della disciplina, pesa sulla qualità dei tornei di calcio alle Olimpiadi, che passano ulteriormente in secondo piano a partire dal 1930, con la nascita dei Mondiali di calcio: da allora in poi la vetrina assoluta per le potenze calcistiche del pianeta sarà sempre e solo la rassegna iridata.
Però il calcio, in quanto sport popolarissimo, non poteva restare fuori dalle Olimpiadi. Si cercò allora di presentarne ai Giochi una sorta di versione “pura”, nel rispetto del dilettantismo che li connotava, non considerando che l’autentico spirito amatoriale è irriducibile nemico di valori tecnici e spettacolari attendibili. Paradossalmente, fu proprio il tradimento dell’etichetta dilettantistica a salvare un minimo di credibilità tecnica: nel dopoguerra le Olimpiadi del pallone, con rare eccezioni, divennero terreno di conquista quasi esclusivo dei “dilettanti mascherati” dell’Europa dell’Est, che dei rispettivi Paesi esprimevano i valori assoluti di questo sport. Anche se ciò che si guadagnava in livello tecnico si perdeva in qualità agonistica, limitando la lotta a quattro, cinque, nazioni dominanti.
Dopo Mosca ’80 gradualmente i professionisti del pallone hanno ripreso a frequentare il circo olimpico. Non sono mai arrivate le Nazionali maggiori delle superpotenze calcistiche, ma selezioni comunque competitive. Molti dei migliori elementi delle tre squadre dominanti ai Giochi di Atlanta, vale a dire Nigeria, Argentina e Brasile, sarebbero stati protagonisti due anni più tardi ai Mondiali di Francia. Il calcio quindi riprese piede, dopo anni di mediocrità tecnica, anche sotto i cinque cerchi.
E l’Italia? Ha raccolto poco, nulla in confronto alla sua tradizione calcistica. Solo un oro nel 1936 a Berlino, con l’impresa degli “studenti” di Vittorio Pozzo, e due bronzi nel 1928 ad Amsterdam e nel 2004 ad Atene. Trionfi del passato remoto, come sono molte le delusioni e le umiliazioni in quello prossimo.
Ma che calcio s’è visto alle Olimpiadi? Pelé, Di Stéfano e Maradona non ci hanno mai messo piede, ma Zamora, Schiavio, Puskás, Rivera, Ronaldo e Messi sì, oltre a una serie di altri protagonisti meno celebri. Che però hanno deciso momenti importanti, sempre e comunque di fronte a stadi stracolmi.