“Dal giorno in cui ho smesso di giocare in serie A, non ho più indossato i calzoncini per fare una partitella, neanche tra amici. Cioè: non ho più parato, mai più, mi credete?” . Paolo Conti ha difeso i pali delle porte per una vita, anche se tutto pensava da piccolo fuorchè diventare un portiere professionista. Lo ha raccontato lui stesso a Storie di calcio: “I miei volevano che mi diplomassi, niente sport serio, che credi? Albergo di proprietà, mica mancavano i soldi, questione di cultura, di orizzonti: lo studio prima di tutto. Non tifavo per nessuna squadra, facevo una vita normale. Poi appena fatta la maturità, al campo dopo una partita tra amici si avvicina un dirigente del Riccione, che allora faceva la serie D, la C2 di oggi, e mi fa: Conti, vuoi tesserarti? Era il ’68, il ’69… Accettai, ero diplomato, potevo giocare centravanti per puro diletto. Una volta tesserato l’allenatore un giorno mi fa: oh, Paolo, dai prova in porta. Ecco, Paolo Conti portiere è nato così. Poi sono finito in nazionale e ho fatto da secondo i Mondiali in Argentina”.
Dopo il Riccione ecco Modena e Arezzo in serie B ma Paolo Conti capì che avrebbe fatto il portiere per mestiere solo a 23 anni, quando lo prese la Roma. Doveva fare il dodicesimo a Ginulfi, finì per diventare il titolare per anni fino a diventare il secondo sì, ma di Zoff nella nazionale italiana. “Roma m’è rimasta nel sangue, e io sono rimasto romanista. Non rinnego, anzi, mi vedo spesso con Santarini e Batistoni, lavoro nel calcio. I baffi? Sì, mi hanno aiutato, mai più tolti, Mi sentivo unico, tutti i portieri si sentono unici”. Abile nelle uscite Paolo Conti stupì tutti anche per il look in campo: “Io ero in anticipo sui tempi. I portieri si vestivano solo di grigio e nero, io scioccai tutti vestendomi con maglioni di giallo brillante o arancio: facevo il rivoluzionario, lo so. E fui il primo a rimettere i parastinchi, perché uscivo dai pali, sui piedi degli avversari e i calci, si sa, fanno male. Dicevano: ooh, che portiere moderno, sembra olandese, esce con i piedi. Ma il segreto l’ho detto: giocavo da centravanti, mica ero male con la palla, dovevo coprire i miei limiti veri di aver fatto il portiere senza una scuola alle spalle”.
Durante il Campionato 1979-‘80 sia per disguidi con l’allenatore Nils Liedholm sia per un calo di rendimento, viene costretto alla panchina a vantaggio di Franco Tancredi ed entra in contrasto con la tifoseria rendendo inevitabile il divorzio dal sodalizio giallorosso.
Prosegue la carriera in Serie B con il Verona e poi con la Sampdoria (con cui ottiene la promozione nella massima serie) per poi approdare al Bari in Serie C1. Dell’anno a Verona ha anche un ricordo goliardico: “Al termine della mia prima partita, mentre vado alla macchina, si avvicinano un paio di tifosi con una bottiglia e un bicchiere e mi offrono un po’ di vino dicendomi: benvenuto a Verona!”. Conti non conserva le cassette con le sue parate e non ha fatto l’allenatore ma il calcio non l’ha abbandonato del tutto. Per molti anni ha svolto il ruolo di procuratore: “Oggi mi dedico alle cose che più mi piacciono, come aiutare attraverso l’Aic gli ex calciatori, che aldilà di quello che si pensa in molti casi fanno una vita difficile”.