Il suo territorio di caccia era la Champions. È lì che Vladimir Jugovic dava il meglio di sé, con la sua classe mixata a una freddezza non indifferente. Ed è proprio giocando quella coppa che fu notato dalla Juve. Con la Stella Rossa dei fenomeni (Mihajlovic, Savicevic, Prosinecki, Pancev) aveva vinto Champions e Intercontinentale (segnando in Giappone due dei tre gol con cui la squadra di Belgrado superò in finale i cileni del Colo Colo). Arriva la chiamata dall’Italia: lo prende la Samp dove esplode prima con Boskov e poi con Eriksson ma Genova gli va stretta. Marcello Lippi se ne innamora e lo vuole alla Juve per dare fosforo e geometrie alla sua Juve. Arriva in bianconero a 26 anni con l’etichetta di riserva, finirà per diventare un perno della squadra che ha centrato l’ultima Champions della sua storia. È il ‘96, finale all’Olimpico contro l’Ajax. Uno a uno, supplementari e rigori. L’Ajax sbaglia, se Jugovic segna la coppa è della Juve.
Lui ricorderà al Corriere della Sera: «Ero sicuro di segnare: sorridevo perché il destino aveva scelto me per una vittoria così importante, a livello personale e per la Juventus che l’aspettava da tanti anni». Nessuna paura di fallire: «Una persona molto vicina all’Avvocato Agnelli mi ha raccontato che quando andai sul dischetto, mentre tutti si giravano dall’altra parte, lui disse: “state calmi, è serbo…”».
Del resto lui è un combattente nato: «Sono sempre stato abituato a lottare e a giocare per vincere fin da piccolo. Quando passi la scuola della Stella Rossa sei obbligato a vincere o a lasciare il posto agli altri. Per questo hai sempre fame». Jugo si conferma anche nella stagione successiva: prima la Coppa Intercontinentale a Tokyo, con un’altra prestazione sopra le righe, poi la Supercoppa a spese del Paris Saint-Germain e infine lo Scudetto, al quale dedica trenta partite e ben sei reti, con la storica la doppietta al Milan nella serata del 6 aprile 1997, nel match terminato 6-1 per i bianconeri a San Siro. Finisce l’avventura alla Juve ma non la sua carriera. Altre gioie lo aspettano alla Lazio.
Poi il lento declino tra Spagna, nell’Atletico Madrid, Francia, nel Monaco, e Germania, nell’Admira Wacker Modling, con un intermezzo di due stagioni nell’Inter di fine millennio. È sempre il suo mentore Lippi a volerlo in nerazzurro anche se gli anni si sentono.
A Internews confessò: «Mi dispiace perché avevo un infortunio che non mi ha permesso di esprimermi al meglio. Comunque è sempre una grande società, una delle più grandi d’Europa. È un onore averne preso parte. Sono stato due anni, Moratti con me si è sempre comportato da grande signore». Dopo il ritiro Jugovic non ha lasciato il calcio lavora infatti come opinionista sportivo per alcune televisioni, anche del suo paese, e si occupa inoltre di scouting per giovani leve serbe, oltre a intraprendere la carriera di procuratore sportivo.