In una indimenticabile scena di “Vacanze in America” di Carlo Vanzina, viene citato anche da Jerry Calà: siamo nell’83 e i suoi gol sono diventati tanti che Massimo Briaschi diventa sinonimo di calciatore-modello con il comico siciliano-veronese che dice: “Ma di cognome come fai? Briaschi?” a una ragazza in discoteca che è pronta a dargli un calcio se dovesse allungare le mani su di lei.
E sì che Briaschi a quel tempo era un bomber apprezzatissimo. Dopo gli anni al Genoa (in cui era entrato nella storia anche per aver segnato l’ultimo gol subìto in A da Zoff prima del ritiro) l’attaccante aveva firmato per la Juve. Una trattativa lunga, i bianconeri in realtà avevano puntato Bruno Giordano con cui non si trovò l’accordo economico e allora Boniperti ripiegò su Briaschi che ricorderà: “È come uno di quei sogni che sai che non si potranno mai realizzare e, di colpo, diventano realtà. Ammetto di avere avuto una fortuna sfacciata e di aver rischiato; ho rifiutato la Lazio, perché volevo una sistemazione migliore, ma potevo anche rimanere in serie B e, magari, perdere il treno del grande calcio. Ho, forse, aiutato il destino, perché puntavo in alto. Sono bianconero, cioè ho raggiunto quella che è la migliore società d’Italia e, forse, di tutto il mondo”.
Rimane in bianconero fino all’estate del 1987, collezionando 84 presenze, condite con 24 goal. Nel suo palmares, troviamo 1 scudetto, 1 Coppa Campioni, 1 Coppa Intercontinentale ed 1 Supercoppa Europea. Nella Juventus dei tanti top-player Briaschi lega a meraviglia con tutti: con Rossi, con Platini, con Tardelli, con Boniek.
Tredici gol sono il suo bottino personale, ma la sfortuna è in agguato. Il 24 aprile a Bordeaux, nella gara di ritorno per le semifinali di Coppa dei Campioni, uno scontro a centrocampo con Battiston gli è fatale: salta il ginocchio sinistro, con lesione del legamento crociato e della capsula articolare. Un dolore atroce, ma Briaschi non si rende subito conto della gravità dell’infortunio. La domenica dopo Rossi si infortuna durante il riscaldamento e Briaschi entra in campo al suo posto, col ginocchio fasciato. Dopo 3 minuti segna ma poi il male si acuisce; rimane in campo fino alla fine della partita, anche se zoppo. Nella notte di Bruxelles, contro il Liverpool, si batte come un leone, ma l’intervento diventa necessario a stagione finita.
Già, quella maledetta notte dell’Heysel: “Io pur di giocare feci sette-otto infiltrazioni. Comunque vorrei chiarire due cose: la prima è che noi abbiamo saputo in albergo la vera entità di quello che era accaduto. La seconda è che siamo usciti con la Coppa e siamo andati verso i tifosi, per motivi di sicurezza ci era stato detto di andare sotto la curva”.
L’infortunio però lo porta a lasciare la Juve, torna al Genoa, poi in C al Prato e infine chiude la carriera a soli 31 anni dopo una breve esperienza con i canadesi del North York Rockets e con due grandi rimpianti: “L’infortunio che mi ha tagliato le gambe, fino a quel momento ero uno dei titolari della Juve. Altro rimpianto è non aver indossato la maglia della Nazionale maggiore. Davanti a me in quegli anni c’era Galderisi. Ci sarei potuto stare anch’io”. Briaschi però è rimasto nel mondo del calcio e fa il procuratore.