Claudio Onofri ha giocato con l’Avellino in cadetteria nella stagione 1975-‘76, collezionando ben trentatré presenze condite da una marcatura. Onofri, romano di nascita ma trapiantatosi, giovanissimo, a Torino, ha trascorso la sua vita calcistica tra la città della Mole e Genova con toccate e fughe a Vercelli, Montevarchi, Chioggia e Catania. Una carriera che parte nel 1971 e che vede la chiusura nel 1986 con la maglia degli isolani. Claudio Onofri è un personaggio davvero speciale. Riportiamo un’interessante intervista di Michele Pisani pubblicata online su Footballweb. L’impressione che abbiamo avuto, confermata con il passare dei minuti, è che si esprima con una proprietà di tutto rispetto, del resto il ruolo, di opinionista in televisione, non è stato a caso il suo secondo mestiere, tanto da farci rivivere, anche se solo da spettatori, quei momenti. Iniziamo con la prima domanda che ha poco a che fare con la sua carriera.
Gli chiediamo perché ha scelto il calcio e non, magari, la strada che lo avrebbe portato a fare l’attore visto che ha fatto innamorare tante donne. “Beh non ci ho pensato. Il mio primo amore è stato il calcio. A soli tre anni, quando vidi il primo pallone, capii che quello sarebbe stato il mio futuro, non pensavo ad altro. Volevo fare il calciatore”. Ci racconti come approdò all’Avellino. “Dalle giovanili del Torino (vinsi lo scudetto nel 1969-‘70) andai in prestito alla Pro Vercelli in Serie C. Giocai diciassette partite e segnai tre gol. Due stagioni, sempre in C, con il Montevarchi poi l’approdo al Clodia Sottomarina sempre in prestito. La svolta della mia carriera, in Veneto ritrovai come allenatore Beniamino Cancian, il direttore sportivo era Franco Dal Cin ed il presidente Sanson che poi comprò l’Udinese. Ricordo che, allora, venivo impiegato sia come centrocampista che come difensore. Dal Cin mi chiese di sostituire un compagno di squadra nella mediana. Mi stupii in quanto me la cavavo molto meglio in terza linea ma il Clodia pur di tenermi mi fece giocare nel ruolo meno congeniale proprio nella gara che erano presenti i dirigenti del Toro. Dal Cin chiese alla società granata di riscattarmi e riuscì nell’intento. A fine stagione venne Landri e mi portò all’Avellino. Io accettai senza riserve, era una occasione d’oro per salire di categoria e la compagine irpina era un trampolino di lancio”.
Una sola stagione ma tante soddisfazioni. “Arrivai solo a novembre ma mi guadagnai il posto da titolare. Si, serbo un ricordo indelebile della mia esperienza in biancoverde. A distanza di anni ribadisco che è stata la scelta giusta visto che approdai in massima serie con il Genoa”. A proposito di Genova e del Grifone, uno che le assomigliava tanto è arrivato qualche anno dopo. “Sì, Vincenzo Romano. Ricordo che andammo a giocare a Roma e rimanemmo un giorno in più nella capitale. Vincenzo mi chiese di andare al Circo Orfei, allora era fidanzato con Ambra”.
Torniamo all’Avellino. “Come detto non giocai tutte le gare in quanto giunsi a campionato iniziato e non partimmo benissimo ma riuscimmo, subito, a a fare punti preziosi in casa. L’allenatore era Giammarinaro poi venne Corrado Viciani, con quest’ultimo mi sono trovato benissimo. Uno che cambiò radicalmente il gioco del calcio di quei tempi”. Qualche aneddoto di quell’anno? “Ne avrei alcuni e tutti simpaticissimi. Ricordo che non stavamo andando bene e i tifosi erano delusi per i risultati ottenuti. Io ero considerato e ben voluto per l’impegno in campo ma durante un allenamento ci ritrovammo ad un faccia a faccia con i tifosi. Cercai di fare da paciere ma mi dissero che ero bravo ma anche che dovevo farmi i fatti miei. Le loro lamentele erano rivolte ad alcuni giocatori che a parer loro si impegnavano poco durante le partite. Avellino era la città giusta per far bene, ovviamente parlo a titolo personale. In città si respirava il calcio per l’intera settimana”. Un gruppo di amici, bravi calciatori. “Tutto vero, un gran bel gruppo affiatato. Calciatori di spessore come Franzoni, Rossi, Facco e Musiello che vinse, quell’anno, il titolo di capocannoniere. Dovrei citarli tutti, nessuno escluso. Voglio ricordare su tutti Rino Gritti, scomparso, purtroppo, prematuramente. Era dotato di un tiro micidiale, una forza incredibile, quando calciava dalla lunga distanza erano dolori per tutti i portieri” .
Una chance al Torino, molto meglio il percorso a Genova sponda rossoblu. “Arrivai al Toro dopo le due annate eccezionali. Il 1975-‘76 culminò con lo storico scudetto e l’anno dopo con i 50 punti (cinque in più rispetto al tricolore) che, pirtroppo, valse solo il secondo posto ad un punto dalla Juventus. Ancora il posto d’onore (in condominio con il Vicenza) nel 1977-‘78. Nell’anno in cui ci giocai (1979) la squadra non riuscì a lottare per lo scudetto e terminò la stagione al quarto posto. Posso dire che non fu, per me una stagione fortunata, Passai e definitivamente al Genoa e vi restai altre quattro stagioni”. Nel calcio, come in ogni settore, ci sono i confronti.
Anche Onofri non può esimersi e quindi gli domandiamo chi preferisce tra Pelè e Maradona. “Indubbiamente due grandi campioni, i migliori. Pelè resta più completo per le qualità nel gioco aereo”. Un altro dualismo che per anni ha diviso i tanti sostenitori italiani: Mazzola o Rivera? “Beh anche qui si tratta di due fuoriclasse ma Rivera aveva qualità che pochi potevano vantare. Era uno spettacolo vederlo giocare. Ricordo che quando ci incrociammo, prima che iniziasse la gara, gli chiesi la sua maglia e prontamente, a fine gara, me la diede”. Altri due grandi calciatori: Claudio Sala e Causio. “Con Sala ho giocato nel Torino e posso spendere solo belle parole. Il ‘poeta’ era fortissimo ma ha avuto la sfortuna di ritrovarsi davanti il ‘barone’, se non ci fosse stato Franco penso che Claudio avrebbe totalizzato tantissime presenze in nazionale”.