Ha lottato con grinta e voglia di vivere, ma non ce l’ha fatta: nel 2016 è morto per un male incurabile, Luís Carlos Tóffoli, il “Gaúcho”, l’ex calciatore del Lecce, 52 anni, famoso per essere stato una delle meteore più note del calcio italiano, indimenticato dai tifosi del Lecce che lo hanno conosciuto nella stagione 1993-‘94, quando arrivò nel Salento con la fama dei suoi 400 gol realizzati in Brasile, dove era considerato un grande cannoniere. Tóffoli giocò appena 5 gare nel Lecce, entrando però per sempre nella sua storia: volle fortemente tirare il rigore che poteva sbloccare il risultato in un importantissimo derby di Serie A con il Foggia al “Via del Mare”, ma probabilmente per la grande emozione (così disse nel dopo-partita) tirò così debolmente e centrale che il portiere del Foggia, il compianto Francesco Mancini, si tuffò alla sua destra e ebbe il tempo di rialzarsi per prendere il pallone e parare il rigore. Tóffoli venne rispedito in Brasile, dove ha vinto tre scudetti, una Coppa del Brasile, giocando anche in Giappone dove ha fatto suoi scudetto e Coppa dell’Imperatore. Ha vestito le maglie prestigiose di Flamengo, Gremio, Boca Juniors e Atlético Mineiro, prima di intraprendere il percorso di allenatore, interrotto dalla malattia.
Della vicenda leccese del “Gaucho” ha scritto Gaetano Mocciaro. Fresco di salvezza inaspettata, nel senso che gli obiettivi erano ben più importanti, il Lecce di Franco Jurlano si appresta ad affrontare la stagione 1992-‘93 senza grosse pretese, seguendo la linea dell’austerity e prendendo giocatori prevalentemente in prestito. Per gentile concessione delle altre squadre di A e B arrivano giovanotti interessanti come Gabriele Grossi, Pierluigi Orlandini, Giampiero Maini, Alessio Scarchilli, Antonio Rizzolo. A questi vanno aggiunti illustri sconosciuti come Renato Olive, pescato dalla Vis Pesaro e qualche giocatore d’esperienza come Ceramicola, Biondo, Notaristefano e Baldieri. La squadra, guidata dal vecchio lupo di mare Bruno Bolchi, viaggia sorprendentemente a vele spiegate e quasi senza accorgersene chiude il campionato conquistando la Serie A. Festa grande per i tifosi salentini, dopo soli due anni di purgatorio in cadetteria. La dirigenza, però, deve fare i conti con un bilancio che piange e consapevole che difficilmente riuscirà ad allestire una squadra competitiva per la stagione successiva. Le parole del ds Mimmo Cataldo non lasciano spazio alle interpretazioni: “Per venire al Lecce i calciatori devono costare poco, ma se non costano nulla è ancora meglio”. Del resto si capisce che aria tira quando nessuno dei giocatori in prestito viene trattenuto, nemmeno il bomber Rizzolo, decisivo per la promozione con i suoi 9 gol. Per rimpiazzarlo Cataldo pensa alla pista estera, puntando non sui soliti nomi da urlo ma su possibili sorprese. Il primo candidato è un uruguayano, si chiama Osvaldo Canobbio.
Il giocatore si presenta nel migliore dei modi alla sua nuova squadra nella prima amichevole della stagione, segnando 4 reti al Montepulciano, per inciso squadra allora militante in Seconda Categoria. Già nel test successivo e sempre con una compagine dilettantistica il giocatore non becca palla.
Nedo Sonetti, nuovo allenatore della squadra, lo boccia, ritenendolo troppo lento. Il club prende la palla al balzo quando viene a sapere che il River Plate di Montevideo spara la cifra di un miliardo di lire. Rispedito al mittente il giocatore, che riuscirà in futuro a mettere 8 gettoni di presenza con la maglia dell’Uruguay, si passa a una certezza come Kubilay Turkyilmaz. Il Bologna, detentore del suo cartellino, è appena retrocesso in C1 e il regolamento dell’epoca vieta a squadre di categorie inferiori alla Serie B di avere tra le proprie fila giocatori stranieri. I felsinei danno l’ok al prestito, ma Jurlano frena quando scopre l’ingaggio dello svizzero. Si passa ad altro e si chiama per un provino un certo Haim Revivo, allora sconosciuto. L’israeliano darà letteralmente “pacco” ai dirigenti e andrà a far carriera (piuttosto dignitosa) altrove, diventando negli anni un perno della nazionale israeliana e uno dei giocatori di punta del Celta Vigo.
A questo punto il tempo stringe, il campionato sta per scaldare i motori e inizia prima del solito, per dar modo alla Nazionale italiana per preparare al meglio i mondiali che si disputeranno nell’estate del 1994 negli Stati Uniti. A questo punto senza pensarci troppo Cataldo porta in Italia un attaccante esperto, brasiliano, che può scaldare il nome dei tifosi anche se sconosciuto: il suo nome è Luís Carlos Tóffoli, noto anche come “Gaúcho” per i suoi natali (è originario di Porto Alegre). Il giocatore, 29 anni, ha nel suo curriculum squadre di tutto rispetto come Flamengo, Gremio e Palmeiras, oltre che un’esperienza in Giappone. Si presenta come giocatore da 400 gol in carriera e a più di una persona il sospetto che l’abbia sparata grossa è venuto, ma tant’è. Arrivato saltando quasi tutta la competizione il buon Tóffoli viene escluso nelle prime due partite. La squadra perde entrambe le sfide e si presenta al derby col Foggia alla terza giornata già consapevole di non dover fallire. Sonetti lo lancia dal primo minuto, si gioca di mercoledì sera e tutti i riflettori sono sul numero 9 con la maglia giallorossa. Passano pochi minuti e l’ex della partita Pasquale Padalino lancia un pallone verso l’area di rigore, il difensore Giuseppe Di Bari stoppa goffamente con il braccio e l’arbitro non può far altro che concedere il calcio di rigore.
Dal dischetto si presenta proprio il “Gaúcho”, che guarda dritto negli occhi Mancini e prova una conclusione che resterà negli annali degli orrori calcistici: tiro centrale, a mezza altezza, lentissimo a mo’ di cucchiaio. Il portiere foggiano, incredulo, che stava decidendo di buttarsi a destra ha persino tutto il tempo di ritornare al centro e parare. Il Foggia per la cronaca con Bresciani e Roy vincerà e Tóffoli sarà il capro espiatorio del derby. Sonetti non vuole bruciarlo subito, lo getta nella mischia la domenica successiva negli ultimi 10 minuti contro la Sampdoria, poi lo ripropone titolare contro il Piacenza: come non detto. Venti minuti finali due turni dopo contro l’Udinese, infine la prova d’appello contro il Genoa in casa, dal primo minuto: scena muta. Il giocatore è lento, macchinoso, avulso dal gioco e quando ha l’occasione perde l’attimo. Sonetti alla vigilia della sfida invita il pubblico a sostenerlo, ma gli stessi tifosi una volta sostituito il giocatore a partita in corso perdono la pazienza e lo sommergono di fischi. Sonetti a fine gara dirà: “Io gli ho dato fiducia, il pubblico l’ ha sostenuto, i risultati non sono quelli sperati”. Parole che equivalgono a una sentenza definitiva. E infatti a novembre al giocatore viene dato un biglietto di sola andata per il Brasile: tanti saluti e qualche rimpianto.
Che con Canobbio o Revivo si sarebbe retrocesso lo stesso (il campionato finirà con ultimo posto e la miseria di 11 punti raccolti) ma forse quella sera contro il Foggia sarebbe finita diversamente.