Nato il 23 giugno del 1911 a Staveley nel Derbyshire, Leslie Lievesley aveva giocato da calciatore, nel ruolo di difensore, militando in diverse squadre tra le quali il Manchester United e il Crystal Palace. La sua carriera, però, s’interrompe nel 1939 con lo scoppio della Secondo Guerra Mondiale. Terminata la guerra, Lievesley decide di cominciare la carriera da allenatore. Nel 1946, infatti, accetta la proposta di diventare allenatore di una squadra olandese, l’Heracles Almelo e, l’anno successivo diventa preparatore atletico della Nazionale olandese. Le sue qualità di manager non passano inosservate nemmeno in Italia, dove per un breve periodo collabora con il selezionatore della Nazionale italiana Vittorio Pozzo, per poi approdare al Torino. Lievesley arriva nella società granata nel 1948, inizialmente come allenatore delle giovanili, e poi in prima squadra come collaboratore dell’allenatore Egri Erbstein. Anche Leslie morì il 4 maggio del 1949 nella tragedia di Superga nell’incidente aereo al rientro dalla gara con il Benfica. Bill Lievesley era appena tornato a casa da scuola quando sua mamma entrò e gli disse: “la gente sta dicendo che c’è stato un incidente aereo”. Subito alle porte di Torino, il relitto di un aeroplano giaceva bruciando lentamente sulla collina di Superga, a un’altezza di 700 m circa dietro la gigantesca basilica che sovrasta la città.
Passando in mezzo alle valigie e ai corpi, i ricercatori identificavano infine le vittime e iniziavano a capire che tra i 31 morti vi erano gli invincibili campioni della Serie A, il Grande Torino. Era il 4 maggio 1949 e il Torino stava per vincere il suo quinto scudetto consecutivo. Con quattro partite della stagione rimanenti, la squadra era volata a Lisbona per giocare una partita di tributo per un giocatore del Benfica. Sulla strada del ritorno, quasi l’intera squadra rimase uccisa, inclusi l’allenatore ungherese-ebreo che era fuggito dai nazisti e l’allenatore inglese Leslie Lievesley, un ex difensore del Manchester United che era incredibilmente sopravvissuto a tre incidenti aerei precedenti. Suo figlio Bill stava per compiere 11 anni. Bill ritornò la prima volta per il 60º anniversario, nel 2009. Non riesce a dire davvero perché non lo avesse fatto prima. “Me l’ero detto per così tanto tempo, adesso lo faccio, adesso lo faccio. Lo dovevo davvero a mio padre, e dovevo farlo in modo appropriato” ha dichiarato a BBC Sport. In quel suo primo viaggio di ritorno, Bill camminò fino su a Superga e ritornò giù in città due volte in due giorni. Sono circa dieci chilometri dal centro di Torino, su per strade tortuose che portano alla vetta che fa da traguardo alla corsa ciclistica Milano-Torino. Si è letteralmente consumato le suole delle scarpe.
Vive in Inghilterra, ha 82 anni e sprigiona calore in un pomeriggio particolarmente freddo nel sud Yorkshire, guardando verso un tempo in cui Torino era la sua casa. Lungo il corridoio e su per le scale c’è la sua “galleria di birboni”. Vi sono foto di suo padre, Leslie, da giocatore del Doncaster Rovers e in una foto di squadra del Manchester United, insieme ad immagini di suo nonno Joe, portiere dello Sheffield United e dell’Arsenal. Leslie Lievesley portò sua moglie e il suo giovane figlio in Nord Italia nel 1947, quando lasciò il suo primo lavoro come allenatore degli olandesi dell’Heracles Almelo per unirsi al Torino, avendo declinato un’offerta dal Marsiglia. L’allenatore inglese si stava unendo a una squadra già di successo. Il Torino fu la prima squadra italiana a vincere il double campionato-coppa nel 1943, l’ultima stagione prima che la Serie A si fermasse per due anni durante la seconda guerra mondiale. Quella squadra detiene ancora tre importanti record del calcio italiano. Nel 1947-‘48, il Torino segnò 125 gol in 40 partite finendo con una differenza gol record di +92 sulla strada verso il loro quarto titolo in altrettante stagioni. Fino al disastro di Superga non avevano perso in casa per più di sei anni, mentre la loro vittoria per 10-0 sull’Alessandria nel maggio 1948 rimane quella con maggior margine nella storia della Serie A.
Questa età dell’oro per il club deve molto al suo presidente, Ferruccio Novo, che aveva acquistato con determinazione alcuni dei migliori giocatori del paese, incluso Valentino Mazzola, la star del Torino che divenne capitano della Nazionale. L’altra fondamentale figura influente per i successi del club era Erno Egri Erbstein, l’allenatore ungherese della squadra che era stato obbligato a ritornare nel suo paese natio a seguito delle leggi razziali del 1938 che privarono gli ebrei della cittadinanza italiana sotto Benito Mussolini. Erbstein fuggì da un campo di concentramento nella Budapest occupata dai nazisti, come viene descritta in dettaglio nel libro Erbstein: The Triumph and Tragedy of Football’s Forgotten Pioneer. Sarebbe ritornato a Torino dopo la guerra proseguendo a vincere partite di calcio secondo i suoi ideali di attacco, con l’aiuto del suo allenatore inglese.
Nato nel 1911, Leslie Lievesley iniziò ad allenare dopo che la sua carriera da giocatore venne accorciata dalla guerra. Era al Crystal Palace e Bill era un bambino a Croydon quando nel 1939 firmò per arruolarsi nella Royal Air Force. Divenne ufficiale di invio dei paracadutisti, spesso implicato in missioni di invio di soldati, e talvolta spie, dietro le linee nemiche. In una di queste sortite, essendo stati obbligati a ritornare alla base prima di completare il lancio, il suo aereo venne abbattuto sopra Middle Wallop, appena a nord di Southampton, dalla contraerea statunitense. Il fuoco amico. Tutti a bordo vennero uccisi, a parte Leslie che riuscì a scamparla. “Era duro come l’acciaio” dice Bill di suo padre. “Papà probabilmente pensava di poter battere Hitler con una sola mano”. Ci fu un secondo incidente in guerra, sebbene Bill non riesca a ricordarne i dettagli. Il terzo al quale Lievesley sopravvisse avvenne nel 1948 quando, viaggiando con la squadra giovanile del Torino, i freni dell’aereo ebbero un’avaria durante l’atterraggio all’aeroporto di Torino. Il disastro venne evitato grazie a un’ala che urtò un hangar, rallentando l’aeroplano prima che esso potesse colpire l’edificio del terminal.
Quello stesso anno, l’Inghilterra viaggiò a Torino per giocare contro l’Italia. Sette della squadra del Torino vennero schierati contro gli inglesi guidati dal portiere e capitano Frank Swift che, in qualità di giornalista, perì nel disastro aereo di Monaco del 1958. Stanley Matthews giocava all’ala e Tom Finney segnò due volte in una vittoria per 4-0. A quel tempo Lievesley allenava anche l’Italia. Bill ricorda che la pesante sconfitta da parte dell’Inghilterra danneggiò poco, se non affatto, la reputazione di suo padre, aumentando soltanto il desiderio di apprendere dagli inventori del gioco. Lievesley sembrava godere sempre del sostegno di quelli a cui interessava di più, i giocatori.
Secondo Bill, furono i giocatori del Torino a chiedere che egli venisse promosso alla prima squadra, avendo osservato il suo buon lavoro con i giovani. Da bambino, Bill era spesso presente alle sessioni di allenamento di suo padre, “quando mia madre ne aveva abbastanza di me” dice. Poteva guardare suo padre lavorare, oppure calciare una palla insieme agli altri bambini nel cortile del vecchio Stadio Filadelfia di Torino. Bill dice di non essere mai stato un gran calciatore. Il ciclismo era più nelle sue corde: ha disputato due volte il giro di Gran Bretagna. Tuttavia vi sono state volte in cui si è chiesto, e se? E se suo padre avesse invece scelto di accettare il lavoro al Marsiglia, per esempio. E se sua madre fosse rimasta in Italia? “Alcune persone pensarono che non avrebbe dovuto andarsene, ma decise che avrebbe riportato mio padre a casa per essere sepolto con suo padre e i suoi fratelli”, egli dice. “Per essere franco, avrei voluto che fossimo rimasti lì, ma lei fece ciò che riteneva il meglio in quel momento”.
“Il ritorno in Inghilterra non fu particolarmente facile. All’inizio vivemmo con mia nonna a Rossington, non lontano da Doncaster. Non era come il nostro appartamento a Torino con i pavimenti in marmo, era una casa di minatori. In Italia mia mamma e mio papà avevano una sorta di stile di vita da celebrità. Gianni Agnelli, il futuro capo della Fiat, era un grande amico di mio padre. Gli offriva sempre un’automobile ma lui non ne accettò mai una, diceva che rendevano le persone pigre. Tutti i giocatori andavano sempre in bicicletta in città. Rimanemmo con mia nonna per circa un anno. Fu un periodo strano per me, come se stessi vagando in un sogno. Penso che in realtà vivevo giorno per giorno. Così è come isolarsi un po’, non è vero?”.
Ed ancora: “Mi iscrissero all’esame finale delle elementari che ovviamente fallii miseramente. Sapevo tutto di Garibaldi, ma non molto di libbre, sterline e penny. Era tutta roba ignota per me. La casa era molto piccola, niente bagno, niente elettricità, il water era fuori, ma mi ci abituai. Poi mia madre ottenne un risarcimento economico – dalla compagnia aerea o dal club, non sono certo – e comprammo una casa a Doncaster. Ero molto dipendente da mia madre, sarei stato molto più felice se mio padre fosse stato presente. L’ho conosciuto soltanto per quei pochi anni dopo la guerra. Questa è la parte triste di ciò”.
Fonte: “Museo del Grande Torino e della Leggenda Granata”