A perenne ricordo della sua deportazione e morte nel campo di concentramento di Mauthausen, nel 2019, in via San Donato 27 a Torino, aè stata posata una pietra d’inciampo dedicata a Vittorio Staccione, ex giocatore del Torino e campione d’Italia nel torneo 1926-’27 (com’è noto, questo scudetto venne poi revocato per una presunta e mai dimostrata combine tra i dirigenti granata ed alcuni giocatori bianconeri). Così come si annoverano molti giocatori di squadre di calcio italiane di ogni categoria tra i caduti al fronte nella Grande Guerra del 1915-’18, parimenti numerosi furono quelli morti negli scontri partigiani nel corso della Seconda Guerra Mondiale o nei campi di concentramento nazisti.
Di questi, due hanno vestito la maglia granata: uno è stato Bruno Neri, classe 1910, di Faenza, che giocò da terzino e poi da mediano. Dopo aver militato qualche tempo nella Lucchese, nel 1937 passò al Torino. Onorò la maglia granata nel corso di tre stagioni, collezionando 65 presenze e una rete. Disputò l’ultima partita nel Torino il 26 marzo 1940, contro l’Ambrosiana-Inter. E’ rimasta celebre una sua fotografia del 1931, nella quale, all’inaugurazione dello stadio fiorentino Giovanni Berta (ora Artemio Franchi), fu l’unico giocatore a non rendere omaggio con il saluto romano ai gerarchi presenti sugli spalti. Dopo l’8 settembre 1943, divenne comandante partigiano, operando nell’area a ridosso della Linea Gotica. Cadde in uno scontro a fuoco con i nazisti, avvenuto il 10 luglio 1944, a Marradi, nei pressi dell’eremo di Gamogna, sull’Appennino tosco-romagnolo.
Vittorio Staccione, invece, era nato a Torino, a Madonna di Campagna, nel 1904. Fu scoperto – come racconta Sergio Donna – a soli tredici anni in un campetto di periferia da Enrico Bachmann, pioniere tra i giocatori granata, e per molti anni capitano del Torino, che lo fece entrare nelle giovanili della squadra. Esordì a fianco di Antonio Janni nel Campionato 1923-’24. Nella stagione successiva, giocò nelle fila della Cremonese, per poi rientrare nei ranghi granata. Nella stagione 1926-’27, l’anno del primo scudetto granata (poi revocato per il caso Allemandi), fu schierato in 11 partite, insieme il “trio delle meraviglie” (Rossetti, Baloncieri e Libonatti). L’ultimo match in cui Vittorio Staccione vestì la maglia del Toro fu giocato contro la Sampierdarenese il 20 marzo 1927: in quella partita, in porta venne anche schierato il debuttante portiere Eugenio Staccione, fratello minore di Vittorio (classe 1909). Poi Vittorio passò alla Fiorentina: a Firenze conobbe Giulia, che condusse all’altare, ma la giovane sposa morirà presto di parto. Un evento tragico che segnò per sempre il carattere sensibile di quell’uomo un po’ schivo ma dall’animo generoso.
Il nipote di Eugenio Staccione, Federico Molinario, grande appassionato e conoscitore di storia granata, racconta: “Il fratello di mio nonno Eugenio, Vittorio Staccione, era una persona buona, riservata e dai modi gentili. Fin da ragazzino frequentava i circoli socialisti torinesi, e per questo è sempre stato inviso ai fascisti”.
Vittorio concluse la sua carriera a Cosenza e poi al Savoia. Dopo di che tornò nella sua Torino, dove continuò a frequentare ambienti socialisti contrari al regime: venne in più occasioni arrestato e schedato dall’Ovra, la famigerata polizia segreta fascista. Venne condannato come uno degli organizzatori dello sciopero degli operai torinesi del 1° marzo 1944. Il 12 marzo viene arrestato dalla polizia, che gli intima di prepararsi per il viaggio di deportazione in Germania. “Chiunque al suo posto sarebbe fuggito – continua Federico Molinario – ma lui, no. Il giorno stesso si presentò alle Nuove con la valigia, consegnandosi ai nazisti. Questo dice tanto della natura di mio zio e anche della sua piemontesità”.
Insieme al fratello maggiore Francesco, il 20 marzo 1944 Vittorio Staccione è a Mauthausen, internato come schutzäftling, prigioniero politico. I due fratelli vengono adibiti al trasporto di grossi blocchi di granito estratti da una vicina cava. Nel campo tedesco, Vittorio incontra Ferdinando Valletti, centrocampista del Milan: in rare occasioni di svago, i due prigionieri vengono schierati dalle SS in improvvisate squadre di football, per disputare alcune partitelle tra internati.
Vittorio viene poi trasferito a Gusen (uno dei 49 sottocampi di Mauthausen, ora in Alta Austria), dove subisce un pestaggio da una SS, che gli causa una profonda ferita ad una gamba. Privato di ogni cura, Vittorio Staccione sarà lasciato morire di setticemia e cancrena. La morte lo colse il 13 febbraio 1945. Suo fratello Francesco morirà anch’esso pochi giorni dopo. Vittorio Staccione è ricordato con una targa affissa allo stadio Zini di Cremona.