Da idolo di Zidane a barista. Che sta cercando pian piano di uscire dal tunnel. È la strana parabola di Fabián O’Neill, ex fantasista uruguagio che in Italia ha regalato sprazzi di magia con le maglie di Cagliari, Perugia e Juventus e che Zizou definì una volta «il giocatore più talentuoso che ho mai visto giocare». Un talento bruciato però troppo in fretta, così come i soldi guadagnati con il pallone che è ormai solo un lontano ricordo, una fonte di aneddoti da raccontare ai clienti dietro al bancone del bar La Nueva Lata di Montevideo dove passa le giornate.
«Di mattina vengo qui e aiuto Janet, la proprietaria che è figlia di un mio amico – raccontato in un’intervista al giornale spagnolo El Pais -. Oltretutto qui mi fanno credito e quando serve do una mano senza e alla gente non dà fastidio, perché mi conosce». Gente che però sarà sorpresa di essere servita da uno che in carriera ha guadagnato 14 milioni di dollari e oggi vive in casa della suocera con sua moglie Andrea e il figlio Favio, che gioca nelle giovanili del Nacional.
«Ma a lui non chiederò mai soldi anche se non ho più nulla, ho speso persino quello che non avevo. Ma sono felice: non mi dà fastidio essere povero, mi basta avere da mangiare e qualcosa per far star bene i miei figli (ci sono anche Marina e Martina nate da precedenti matrimoni, NdR). La verità è che non mi piace molto lavorare, vorrei fare il talent-scout. Almeno non sarei costretto a stare in giacca e cravatta o chiuso in qualche ufficio. Già quando ero capitano del Cagliari andavo in tuta anche quando avrei dovuto vestire elegante, ma ero un buon capitano, responsabile. Facevo del male solo a me stesso, la vita mi ha fatto così: ribelle e orgoglioso. Nemmeno le donne sono riuscite a cambiarmi anche se ci hanno provato in tante».
Neanche un’operazione alla vescica gli ha fatto mettere la testa a posto e da parte l’alcol, uno dei suoi vizi preferiti insieme alle scommesse: «Cavalli lenti e donne veloci, questo mi ha rovinato – ha spiegato scherzando – ma ora che sono povero ho trovato nuovi amici, pochi ma veri. A volte hanno loro i soldi per mangiare, altre volte io: ma ci si aiuta e non come quelli che mi ronzavano intorno solo quando ero ricco».
Nonostante tutto dunque, nessun rimpianto: «La mia carriera poteva essere migliore se le società in cui giocavo mi avessero aiutato? No, perché io non volevo aiuti né psicologi, la colpa è stata solo mia. Il calcio però è strano: a Cagliari dopo la retrocessione i tifosi mi insultavano sulla spiaggia gridandomi ‘ubriaco’, poi quando siamo tornati in A gli stessi tifosi mi offrivano da bere. E quando andai alla Juventus da idolo divenni l’ultimo, perché lì c’erano i fenomeni veri come Zidane. Tifo Real Madrid solo perché c’è lui». Lui che per O’Neill avrebbe di certo trovato un posto nella sua squadra di galacticos.