Il brasiliano José Germano de Sales, detto semplicemente Germano, arriva al Milan nel 1962. Non un asso, un giocatore discreto come molti. Doppietta nel promettente esordio a San Siro contro il Venezia (finisce 3-3), poi tanta panchina e zero gol. Fuori dal campo, invece, una valanga di problemi per l’amore “scandaloso” con una ragazza di classe troppo alta e di pelle troppo bianca per lui, brasiliano nero di Conselheiro Pena, nell’entroterra povero dello stato di Minas Gerais. Erano la Milano e l’Italia razziste e benpensanti degli anni Sessanta. Ma non è detto che oggi, mezzo secolo dopo, i giudizi su Germano sarebbero poi tanto diversi, come suggeriscono la vicende di Mario Balotelli nel calcio italiano.
Germano, classe 1942, approda giovanissimo al Flamenco. È un’ala sinistra rapida, capace di dribbling alla Garrincha e di precisi cross. Nel ’62 viene selezionato per il Brasile, ma alla fine non viene convocato per i Mondiali in Cile. Con Pelè, Garrincha e Zagallo non c’è molto spazio nella Nazionale verdeoro, che poi avrebbe poi vinto il titolo in Cile. Una curiosità: Germano è fratello di un altro buon calciatore, João Batista de Sales detto Fio Maravilha, famoso però soprattutto per avere ispirato un canzone di Jorge Ben, grande successo internazionale.
Lo nota il Milan, garantiscono per lui Josè Altafini e Dino Sani che sono stati suoi compagni nella Seleçao. Germano arriva in luglio. I rossoneri sono campioni d’Italia. È la squadra di Maldini, Trapattoni, Rivera, oltre che degli oriundi Altafini e Sani. Nonostante i due gol nell’esordio, Milano è fredda e ostile con uno dei primi giocatori di colore in Italia. Sui giornali (e nei bar) si apre un assurdo dibattito: è giusto far giocare i “negri” nel nostro campionato?
L’allenatore Rocco lo chiama “bongo bongo”. Germano, sbalzato dal Maracanà alla nebbia di San Siro, non si ambienta e delude dirigenza e tifosi del Milan. Dopo 12 partite viene ceduto in prestito al Genoa. Torna in rossonero ma si ferma subito a causa di una frattura alla mandibola rimediata in un incidente stradale in viale Certosa. Non giocherà mai più con la maglia rossonera. Viene rispedito in Brasile, al Palmeiras, su pressione – si scoprirà in seguito – di influenti personalità milanesi.
Intanto Germano ha incontrato, in un maneggio dalle parti di Milanello, una ragazza ventenne di nome Giovanna e con lei ha intrecciato una segretissima relazione. Segretissima perché Giovanna porta un cognome, Agusta, decisamente importante.
Il padre, il conte Domenico, è un industriale in vista, titolare dell’omonima fabbrica di motociclette ed elicotteri, che mai avrebbe acconsentito alla relazione. Peggio ancora: al momento dell’innamoramento Giovanna è ancora minorenne. Nel 1966 Germano torna in Europa, ingaggiato dai belgi dello Standard. La contessina lo raggiunge a Liegi, i due si rifugiano in una piccola pensione. Sui giornali scoppia lo scandalo della fuga d’amore dell’ereditiera, che chiede al padre il consenso al matrimonio. Il conte Agusta si oppone. Comincia un’accesa vicenda giudiziaria, che riempie i rotocalchi, anche fuori dai confini nazionali. Sul caso si scatenano indignati commenti dell’Italia più conservatrice, intervengono sociologi e teologi. Il matrimonio, in programma l’11 marzo 1967, viene rinviato. Nell’udienza al tribunale di Liegi, nuovo colpo di scena: la contessina aspetta un figlio. Le nozze vengono infine celebrate a giugno a Liegi. Luna di miele in Brasile. Nasce Lulù, mentre la famiglia Agusta prende le distanze da Giovanna.
La coppia si separerà presto, tre anni dopo il matrimonio. Germano torna in Brasile e abbandona il calcio dopo avere collezionato 11 presenze nel Brasile. Solo allora Giovanna e Lulù vengono accolte dalla famiglia Agusta. Germano muore per infarto nel 1997, a soli 55 anni, nella fazenda della sua città natale acquistata con i soldi del conte Agusta, che in questo modo lo convinse a farsi da parte.
Fotografie: “Magliarossonera.it”