Il 4 febbraio del 1968 non fu una domenica come tutte le altre per Varese: fu il giorno in cui undici ragazzi vestiti con una maglia biancorossa segnarono cinque reti alla Juventus. 5-0, tripletta di Anastasi, reti di Leonardi e Vastola, il portiere Da Pozzo pressoché disoccupato e il tecnico dei bianconeri, Heriberto Herrera, stramazzato in panchina per una crisi di nervi.
Un evento irripetibile, grandioso, che segnò il punto più alto della storia del calcio varesino. Quella squadra, voluta da Giovanni Borghi, costruita da Alfredo Casati e allenata da Bruno Arcari rimase imbattuta a Masnago per tutto il campionato, concludendo al secondo posto il girone d’andata a due soli punti dal Milan e terminando il torneo in settima posizione dopo aver battuto, oltre a Juve e Milan (2-1), pure Inter (1-0), Roma (2-0), Cagliari (2-1) e altre ancora.
Era il Varese di Armando Picchi, grande e sfortunato, di Sogliano e Maroso, ancora sulla breccia, di Cresci, Mereghetti e Tamburini. Era Varese di Pietro Anastasi, Giovanni Vastola, Lamberto Leonardi, i tre moschettieri che trafissero la Juventus in quel giorno di febbraio. Ecco un ricordo del giorno che tutto il popolo biancorosso ricorda ancora come il più bello di sempre.
La storia di Anastasi, detto Pietruzzu, la conoscono tutti. Scoperto sui campetti di Catania, lanciato dal Varese, campione d’Italia con la Juve e d’Europa con la Nazionale, il centravanti rappresentò in quel ’68 l’uomo nuovo del calcio italiano. Dopo il ritiro è tornato a vivere nella Città Giardino, a poche centinaia di metri dal teatro delle sue recite più belle: il Franco Ossola di Masnago. «Quella vittoria fu memorabile, ma ci rendemmo conto dell’impresa compiuta solo negli spogliatoi, al termine della partita. Prima di giocare, pensare a un 5-0 contro la Juve era cosa inimmaginabile. E riguardando oggi quel Varese mi viene da dire che tutta l’annata fu irripetibile: imbattuti in casa, settimi alla fine. Tutto un sogno».
Anastasi andò in rete tre volte e forse con quella performance convinse la Juventus ad acquistarlo a fine stagione. «Non ricordo bene i gol; so che il primo arrivò grazie a un cross di un compagno (Leopardi, con velo di Burlando ndr), un altro (il terzo) lo realizzai ribattendo in rete un mio tiro terminato sul palo. Il secondo invece non mi viene nemmeno in mente. Quello che ricordo bene avvenne mentre andavamo a Comerio per il ritiro dopo gara. Scesi dal pullman i passanti ci chiesero cosa avevamo fatto, e al nostro “cinque a zero” rimasero delusi. Pensavano avessimo perso! Non potevano credere a un tale cappotto ai danni della Juve».
Lamberto Leonardi, classe di ferro 1939, vive a Roma e, dopo tanti anni passati sui campi a insegnare calcio, ha deciso di smettere di allenare e di godersi la città eterna con la propria famiglia. Quando però gli si ricorda l’esperienza di Varese, lo si può immaginare sorridente dall’altra parte del telefono. «A Varese mi sono trovato benissimo, e quel successo sulla Juve fu la gemma di un’esperienza indimenticabile; basterebbe solo nominare quel personaggio irripetibile che fu Giovanni Borghi per spiegare tante cose. A tanti anni di distanza non ricordo esattamente cosa accadde, ma di una cosa sono certo: dopo la partita, negli spogliatoi, c’era una gioia indicibile».
Leonardi però non limita i bei ricordi a quel giorno di febbraio: «In casa siamo stati un rullo compressore, mettemmo paura al Milan con i nostri 19 punti all’andata contro i 21 dei rossoneri. Peccato che in trasferta il ruolino fu un po’ diverso ma quella stagione rimane comunque storica». A testimonianza dalla “forza totale” di quella squadra, Leonardi ci saluta così: «Quarant’anni dopo mi capita ancora di incontrarmi con Sogliano, Maroso, Carmignani, Merighetti: Arcari costruì un gruppo così solido che dura ancora adesso».
Questo il ricordo che fece Giovanni Vastola:«Eccome se mi ricordo quel giorno. Feci gol con pallonetto ad Anzolin ed entrai in porta con il pallone».
Vastola, classe ’38, originario del Salernitano, viveva a Cervia. La vita lo aveva privato della moglie e anche di una figlia, ma la sua tempra è sempre stata quella degli anni in cui guidava l’assalto dall’ala sinistra del Varese. Appese le scarpe al chiodo l’ex biancorosso aveva allenato a lungo, conquistando diverse promozioni tra cui ricordava volentieri quella con il Cesenatico (in C2) o il Corigliano, la squadra del paese di Gennaro Gattuso. Vastola se n’è andato per sempre nel 2017.
Come Leonardi, anche Vastola ricordava quell’annata strepitosa con tanta gioia e un filo di rammarico. «In casa eravamo imbattibili: se in trasferta avessimo seguito lo stesso ruolino chissà dove saremmo arrivati. Quel 1967-’68 resta comunque un anno bellissimo». A quando un nuovo miracolo calcistico sotto i cieli di Varese?
Il presidente che rese possibile quel miracolo fu Giovanni Borghi. Re degli elettrodomestici con l’Ignis, Borghi ha investito moltissimo anche nello sport.
È stato proprietario della Pallacanestro Varese nel periodo di maggiore splendore della squadra; nel contempo la sua presidenza ha segnato anche i più grandi successi calcistici della squadra del Varese Football Club, che proprio a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, ha calcato per anni il palcoscenico della Serie A.
Tra gli altri sport ai quali Borghi ha dato il suo prezioso contributo, anche il ciclismo (tra i ciclisti degni di nota Ercole Baldini) e il pugilato (tra i suoi “pupilli” i Campioni del Mondo Sandro Mazzinghi e Duilio Loi).