Una delle finali di Coppa d’Inghilterra più famose e sfuggenti ai pronostici. L’incrocio è quello tra Wimbledon e Liverpool e la finale è quella del 1988. A Wembley, i Dons superarono 1-0 lo squadrone di Kenny Dalglish (appena laureatosi Campione d’Inghilterra) e misero in bacheca il prestigioso trofeo, unico della storia del club del sud di Londra. Quel Wimbledon – coma raccontava Giovanni Del Bianco sul “Guerin Sportivo” – riuscì a far saltare il banco, con una squadra che contrastava in tutto con lo stile signorile che siamo abituati a vedere nel Wimbledon tennistico, così silenzioso, “british” ed educato. L’undici di calcio era invece composto da una banda di matti e non a caso era soprannominato la “crazy gang”. Una squadra che preferiva la birra al tè. Un gruppo rude, ostico da affrontare. Il bel calcio non abitava certo al Plough Lane, ma grazie a quell’anti-stile, molti giocatori del Wimbledon sarebbero diventati dei “cult”: dal portiere Dave Beasant, soprannominato Lurch (nomignolo preso in prestito dalla famiglia Addams) al gigante d’attacco John Fashanu, che divenne celebre in Italia grazie a un tormentone di Teo Teocoli a Mai dire gol: tanto elegante fuori dal campo, quanto rozzo nel rettangolo verde.
Poi c’erano il possente difensore gallese Eric Young, che giocava sempre con una fascia marrone sulla fronte e il talentuoso esterno Dennis Wise, mix di talento e irrazionalità, di cui Alex Ferguson dirà «He could start a fight in an empty room» («È in grado di scatenare una rissa in una stanza vuota»). E poi, Vincent “Vinnie” Jones, il simbolo principale della crazy gang. Oggi fa l’attore e il cantante, ma un tempo il centrocampista gallese era il simbolo dei mastini di centrocampo, uno di quei giocatori che non avrebbero avuto paura di fronte a nulla e che non si facevano scrupoli a lasciare qualche tacchetto sulle caviglie avversarie. Jones ha una vasta collezione di cartellini rossi e di tanti gesti irriverenti. Su tutti spicca la strizzata ai testicoli di Paul Gascoigne, in un Wimbledon-Newcastle del 1987, immortalata in una famosa fotografia. A contornare il tutto, mettiamoci qualche rissa e una clamorosa squalifica per colpa di un video da lui prodotto, in cui venivano mostrati i suoi contrasti più duri, con l’invito ai calciatori più giovani di prendere esempio: la Football Association reagì indignata a quel messaggio in cui veniva promosso un ideale di calcio violento e bannò Jones per sei mesi. Chiariti gli interpreti, veniamo a quella impresa si cui parlavamo in apertura. Nell’87-’88, i Dons si arrampicarono fino alla finale di Coppa d’Inghilterra: West Bromwich Albion (4-1), Mansfield Town (2-1), Newcastle (3-1), Watford (2-1) e Luton Town (2-1) furono le compagini che caddero una dietro l’altra sotto i colpi dei gialloblù. Il 14 maggio, di fronte a 98.000 persone, il club di Bobby Gould firmò il capolavoro, battendo il grande Liverpool nella “biliardinesca” finale dei tutti rossi contro tutti blu.
I campioni d’Inghilterra erano i superfavoriti e andavano alla caccia del double. Anche gli avversari battuti erano di caratura superiore: dall’Aston Villa all’Everton, fino alla semifinale contro il Nottingham Forest. La finale terminò 1-0 per i Dons: una rete di Lawrie Sanchez (centrocampista nordirlandese di origini ecuadoriane), abile a insaccare di testa una punizione battuta da Wise, decise il match contro il principale colosso del calcio britannico. Un gol che ruppe l’equilibrio a favore della squadra sfavorita, nonostante i numerosi attacchi dei Reds. Attacchi che continuarono anche dopo la segnatura di Sanchez.
L’occasione più grande per pareggiare, il Liverpool la sprecò attorno all’ora di gioco. John Aldridge si procurò un calcio di rigore e si presentò sul dischetto, ma il capitano Beasant neutralizzò la conclusione e salvò il Wimbledon. Mai un portiere aveva parato un rigore in una finale di Coppa d’Inghilterra.