Un calciatore col pedigree ad hoc dovrebbe aver necessariamente militato dapprima nelle serie minori per potersi considerare un giocatore “che s’è fatto da sé”, che abbia testato i campi ruvidi della provincia meccanica, quella che ti fa maturare anche se hai quindici anni e la mamma ti soffia ancora il naso, quando hai tanti sogni in testa e i tacchetti in ferro del tuo avversario pronti a timbrare lo stinco come se fosse un marchio di fabbrica che testimoni la sofferenza sui campi in terra battuta come lo erano un tempo, quelle dove è calcio e basta, senza business e soldi, dove gira solo il pallone e la gente ti urla di tutto se non ti svegli in campo.
Sembra il film della vita di Gaspare Umile, un calciatore che difficilmente viene ricordato, perché forse non ha fatto granché per restare nella memoria storica del calcio che conta, ma noi siamo andati a pescare nelle zone più refrattarie degli archivi la breve e manco tanto intensa storia di questo ragazzo, siciliano di Marsala, dove si è fatto le ossa e dove ha cominciato a farsi notare da qualche club di C che decise di dargli fiducia, così prima l’Entella e poi i campani dell’Angri accettarono di investire sul ragazzo.
E’ proprio nella squadra della provincia di Salerno che si impone come un attaccante non assai prolifico ma concreto, oltretutto bravo tecnicamente e col fisico piazzato in grado di tenere botta agli avversari marcatori dall’imponenza di uno schiacciasassi, in due stagioni mette a segno 13 gol, pochi ma sufficienti per convincere i dirigenti azzurri a portarlo a maturare all’ombra di Altafini, con la strana voglia di farlo esplodere e di costruire su di lui il futuro dell’attacco partenopeo.
Ha fiuto del gol, destrezza sotto porta, abilità balistica da affinare, tutto, quindi, per convincersi dei propri mezzi e imporsi sulla grande scena del calcio.
Ha la sua occasione il 27 dicembre 1970, data del suo esordio in Serie A, al San Paolo contro il Verona, dove realizza anche un goal. Di quella stagione si ricordano anche il goal decisivo contro il Vicenza il 14 marzo 1971 e soprattutto il pregevole destro al volo con cui due settimane dopo gonfiò la rete della Lazio.
Era una tarda domenica del 1971, quando la Domenica Sportiva mostrò ripetutamente uno splendido gol che poi sarebbe stato giudicato come uno dei più belli di quella intera stagione. Una vera prodezza, un tiro al volo di collo pieno aveva gonfiato la rete della Lazio, aveva fatto esaltare i tifosi del Napoli ed aveva fatto emergere le sue velleità nel calcio che conta: conquistare la scena della serie A.
Chissà cosa accadde in seguito, sta di fatto che Umile inverte la tendenza e si chiude a riccio, complice un carattere tendenzialmente solitario e le difficoltà di un ambiente mai facile come quello napoletano.
Giovanni Trapattoni, Dino Zoff e Josè Altafini hanno detto di lui:”Umile aveva grosse doti tecniche, era forte atleticamente, capace di inventare soluzioni di gioco, era rapido in area e il suo numero migliore era il tiro a rete: preciso e violento. Forse lo hanno frenato, impedendo di affermarsi definitivamente, certi limiti del carattere e la sua difficoltà a legare con l’ambiente“.
Dopo che le ultime prove che il Napoli gli concesse per riscattarsi, Gaspare fu ceduto al Varese dove incontra proprio il Trap, ma nonostante i buoni propositi a fine anno, causa anche la retrocessione dei lombardi, passa in serie B alla Reggina, nel tentativo di affermarsi nel campionato cadetto e guadagnare finalmente le credenziali per riprovarci di nuovo, ma le polveri bagnate sembravano oramai compromesse, per colpe sue e di annate sfortunate dove nulla ha girato per il verso giusto.
Il Napoli se lo riprende nel ’73 cercando di dargli nuovamente fiducia e schierandolo anche in 5 occasioni, ma non bastarono a riqualificare un calciatore che avrebbe davvero potuto far grandi cose se solo si fosse ostinato ad una sorte che sembrava già segnata, considerando numeri e tecnica difficilmente avrebbe fallito l’appuntamento con il destino da bomber.
L’estro e i buoni propositi non sono bastati, Umile ritorna nella sua Marsala, con brevi parentesi prima a Chieti e poi ad Alcamo, ma è nella sua città natale che diventa profeta in patria segnando 40 gol in circa 200 presenze, non un bottino invidiabile, ma la caratura dei gol messi a segno e lo spettacolo che si vedeva in campo grazie alle sue doti gli valsero la nomea di “genio mancato”, e pensare che a Napoli, in quei mesi, i tifosi avevano creduto di aver trovato il nuovo Gigi Riva, negli anni in cui “Rombo di tuono” faceva sognare Cagliari tra Scudetto e Coppa Campioni. Ognuno ha i propri rimpianti, il Napoli potrà di certo annoverare “Asparino” Umile tra quelli più dolorosi. All’età di 53 anni morirà per un male incurabile, e Carlo Petrini, calciatore simbolo della lotta contro il doping, anche lui scomparso, considerò la sua dipartita una di quelle su cui riflettere e analizzare a fondo, riconducendo una possibile attinenza con l’uso di farmaci deleteri per la salute che coinvolse numerosi calciatori di quegli anni. Un finale amaro per un giocatore su cui molti avrebbe scommesso.