La Ternana di Corrado Viciani voleva cambiare il modo di concepire il calcio, in un campionato che non era ancora pronto per una simile rivoluzione.
Il calcio è un universo in continua espansione. Impossibile stabilirne con esattezza tutte le dinamiche, in una sequenza di variabili che ne regolano il continuo moto. A fine anni ’60 ad esempio il moto dell’universo calcistico italiano era bloccato, sugli stessi binari tattici del decennio precedente: un calcio improntato sul contropiede e sui lanci lunghi, poco fluido e dinamico, sterile dal punto di vista sperimentale. Qualcosa di diverso era venuto da Heriberto Herrera in quello stesso periodo, che a differenza dell’altro Herrera, Helenio – che sposò invece una visione del gioco basata su un catenaccio pressante e demotivante, comunque estremamente vincente – teorizzava un gioco incentrato sul movimento e sulla partecipazione totale della squadra alla manovra. Un visionario per i tempi che tuttavia, anticipandoli, da un lato non venne compreso, mentre dall’altro si ritrovò a fronteggiare uno spogliatoio di “prime donne” come quello della Juventus, che non vedeva di buon occhio la sua filosofia.
In Europa nel frattempo, specie nel nord, forse anche grazie ad un ambiente più rilassato, si era affacciata una filosofia più aperta al cambiamento, soprattutto nel nuovo corso di Rinus Michels e del totaalvoetbal nel 1965: dall’Ajax al Barcellona passando per la nazionale orange fino al mondiale della consacrazione del 1974, che tuttavia vide gli Olandesi sconfitti malgrado un calcio spettacolare passato alla storia.
Negli stessi anni però, proprio in Italia qualcuno espresse un gioco così diverso da risultare quasi surreale, proveniente da un contesto insospettabile quale quello di Terni. Lo dicevamo già all’inizio, il calcio è condizionato da variabili. Mettiamo la Terni operaia, definita la Manchester d’Italia, un allenatore giovane ed esperto conoscitore del calcio d’oltremanica, ed un contesto sociale e culturale dove la fantasia, la libertà e la rivoluzione permeavano le menti di moltissimi giovani. Inquadriamo il tutto agli inizi degli anni 70, tra il governo Andreotti e la guerra in Vietnam, la mobilitazione studentesca, Mao, la musica rock e la controcultura hippy. I presupposti vi erano tutti, e la Ternana di Corrado Viciani ne raccolse in qualche modo i frutti.
Ma chi era questo Viciani? Il libro di Gian Luca Diamanti “II gioco è bello quando è corto” delinea bene la sua figura, quella di un rivoluzionario del pallone che contribuì radicalmente allo svecchiamento del calcio italiano. Tenace e talvolta severo, è il maestro di uno stile di gioco mai visto nel nostro campionato, incentrato sull’inesistenza dei ruoli fissi: a suo parere infatti, tutti i giocatori devono partecipare alle varie fasi della partita, che siano essi schierati in difesa, centrocampo o attacco. Certamente tutto ciò presuppone una preparazione eccellente per via degli elevati ritmi di gioco, nonché una predisposizione psicologica al sacrificio ed al gioco di squadra nel senso più ampio del termine, nell’abbandono della gloria personale e degli egoismi, in un’ottica incentrata sul collettivo: proprio in quegli anni di turbinio sociale, in una Terni proletaria e provinciale.
La storia di Viciani con la Ternana iniziò nella stagione ’67-68, in cui le fere centrarono un’importante promozione in cadetteria: il decimo posto della stagione successiva, ’68-69, spinse poi il maestro a lasciare l’Umbria, in cui però tornerà sempre alla guida dei rosso-verdi nell’estate del 1971, dopo aver studiato il calcio europeo dall’interno, osservandone le tattiche e gli sviluppi.
Ma naturalmente non bastava solo questo. Viciani fece di necessità virtù, con una rosa a disposizione non certo di primo livello.
Chiariamo una cosa, i vari Geromel, Mastropasqua, Marinai, Jacolino, Cardillo, erano certamente degli ottimi giocatori, ma per esprimere un bel gioco, capace di trainare la squadra nelle zone alte della classifica, serviva altro. La rosa era formata per lo più da giovani e veterani, senza eccelse qualità tecniche o doti eccezionali, che in un certo senso rispecchiava sul terreno di gioco il contesto sociale circostante: spontaneo, umile ed operoso perché, ancor prima, operaio. Date queste premesse, di certo Viciani non poteva architettare chissà quale sistema di gioco: era un Maestro non un mago, ed in quanto tale disegnò sui suoi uomini un abito adatto alle loro mancanze più che alle loro doti.
“Avevo degli asini come giocatori, non potevo permettermi lanci lunghi, invenzioni, fantasie. Bisognava correre, fare passaggetti facili facili, sovrapporsi”. Così Corrado Viciani intervistato da Repubblica.
Tutto chiaro? In un calcio fatto di recupero palla, cambi di gioco e dribbling liberi, la squadra di Viciani si comporta in maniera totalmente differente. I giocatori rispettano i dettami del maestro, si muovono in maniera sincronizzata, giocano corto (meglio se di prima) ed in maniera semplicissima, passando la palla al compagno più vicino: sembra oggi quasi banale, ma in un’ottica di oltre quarant’anni fa non era assolutamente scontato.
Quel campionato fu vinto così, da primi in classifica, portando da Foggia a Palermo, da Genova a Bari, passando per Perugia e Reggio Calabria, un calcio strabiliante, che alla fine faceva tornare a casa gli avversari con qualcosa di nuovo, di diverso: un po’ come ascoltare per la prima volta una nuova sinfonia, una nuova canzone. Dopo la vittoria contro la Lazio – con la quale si contendeva un insperato primato in classifica nel campionato di serie B –, il Messaggero nelle sue pagine sportive datate 21 febbraio 1972 scriveva così:
“Il gioco della Ternana dava l’idea di fluire con la semplice naturalezza di una forza della natura.La Ternana sembrava seguire i meccanismi di un orologio svizzero.E’ il gioco corto, tutti attaccanti e tutti difensori, basato sul moto perpetuo d’interminabili triangoli e rapidissimi passaggi di prima. Un modulo che ha questa particolarità: prima ti appisola, poi ti stupisce ed alla fine ti strappa l’applauso”…
Domenico Rocca