Duecentocinquanta metri o poco più. Tanto distano l’Estadio Libertadores de América dall’ Estadio Juan Domingo Perón, intitolato all’omonima grande figura della storia argentina, ma molto più conosciuto come El Cilindro. Siamo ad Avellaneda, nella Grande Buenos Aires, una delle poche città al mondo a possedere due club che hanno vinto la Coppa Intercontinentale (come tra le altre Milano, São Paulo, Madrid, Buenos Aires e Montevideo). Sì perché la città è patria di due grandi squadre che hanno scritto la storia del calcio argentino, sudamericano e mondiale e la cui rivalità in Argentina è seconda solo a Boca-River. Come scrive Andrea Gariboldi, da una parte Los Diablos Rojos, dall’altra l’Academia; da una parte l’Independiente, dall’altra il Racing e uno contro l’altro, danno vita al Clásico de Avellaneda.
Il Racing (che prende il nome dall’omonima squadra di Parigi), nasce nel 1903, l’Independiente nel 1905. I primi bianco-azzurri, i secondi, originariamente bianchi, cambiano il colore della divisa in rosso dopo una tournée in Argentina del Nottingham Forest, da qui il soprannome dato alla squadra. Il Racing invece è chiamato Academia per il suo gioco altamente spettacolare.
La rivalità nasce e si sviluppa subito dopo la fondazione delle due società, ma è negli anni ’60, una trentina di anni dopo l’arrivo del professionismo, che raggiunge (forse) l’apice. Il 26 novembre 1961 il Clásico viene sospeso per sei minuti a causa di una vera e propria lotta tra giocatori, con il direttore di gara costretto ad espellere quattro giocatori per l’Independiente e tre per il Racing.
La faida prosegue anche a seguito dei risultati ottenuti: l’Independiente è la prima squadra argentina a vincere la Copa Libertadores (lo fa per due anni consecutivi, 1964 e 1965), mentre il Racing si laurea campione nel 1967 e, a differenza dei cugini, riesce a trionfare anche nella Coppa Intercontinentale battendo il Celtic nello spareggio giocatosi al Centenario di Montevideo (i biancoazzurri avevano perso 1-0 in Scozia e vinto 2-1 in casa): per la prima volta una squadra argentina è campione del mondo.
Ai tifosi dell’Independiente questo non va giù: le vittorie rivali e il modo in cui gli odiati tifosi avversari li celebrano, esaltando quella Academia come la chiamano loro, non è più tollerabile. Ecco allora che inizia La storia. Mentre è in corso la finale a Montevideo, alcuni tifosi dell’Independiente fanno il loro ingresso, di soppiatto, nel Cilindro e seppelliscono nel manto erboso del campo i cadaveri di sette gatti neri: è la maldicion de los siete gatos negros. Questo gesto scaramantico segna sostanzialmente la fine dell’era Racing: prima di allora il Racing era stato 15 volte campione di Argentina (6 da quando si passò al professionismo).
Da allora per l’Academia è sempre peggio: vive un buio periodo negli anni ’70, retrocede negli anni ’80 e conosce anche il rischio di bancarotta. Si cerca di sfatare la maledizione in ogni modo: esorcismi, messe nere, si smantella perfino tutto il terreno di gioco per cercare i cadaveri di quei maledetti sette gatti (ne troverà soltanto uno). Solo l’Apertura 2001, la Primera Division 2014 (dove in entrambe è stato protagonista Diego Milito) e, in campo internazionale, la Supercopa Sudamericana del 1988 hanno riportato alla (breve) gioia i tifosi biancoazzurri.
Nel frattempo l’Independiente si è invece laureato il terzo club più vincente d’Argentina dietro a Boca e River, con 16 titoli nazionali e 9 coppe, ma anche uno dei più blasonati in Sudamerica: le sette Libertadores (di cui quattro consecutive tra il 1972 e il 1975) sono attualmente un record ineguagliabile e con 20 trofei internazionali (tra questi vi sono anche due Coppe Intercontinentali), è una delle squadre più titolate al mondo. Inoltre, grazie a diverse importanti cessioni (su tutte quelle di Sergio Aguero all’ Atlético Madrid e di Germán Denis al Napoli), riesce a rimodernare il suo stadio, rendendolo all’inglese.
La rivalità ai giorni nostri non è però diminuita rispetto agli anni ’60: nell’agosto 2006 al Libertadores de America, con i padroni di casa avanti 2-0, l’arbitro Horacio Elizondo (che poco tempo prima aveva arbitrato la finale di Berlino dei Mondiali 2006 tra Italia e Francia), sospende la gara a seguito degli scontri scoppiati sugli spalti tra i tifosi del Racing e la polizia. Una rivalità che però porta grande spettacolo, con le curve delle due squadre in grado di emozionarsi ancora come quando giocavano Ricardo Bochini per i Diablos Rojos e l’uruguagio Rubén Paz per il Racing (due veri e propri idoli per le tifoserie delle due squadre).
Perché il calcio ad Avellaneda è qualcosa di incomparabile, perché la rivalità tra queste due formazioni separate da duecentocinquanta metri va oltre ogni cosa, perché nonostante la maledizione ha ragione Diego Milito: “Il Racing non è vincere o perdere, al Racing o ci credi o non ci credi”.