Quando si parla di grandi squadre non si può non menzionare la Juventus di Lippi: un ciclo vincente in grado di portare i bianconeri sul tetto d’Europa e di imporre la compagine torinese come una delle migliori squadre al mondo. Tuttavia, non sempre si è prestata la dovuta attenzione alla primissima versione proposta dal tecnico viareggino in bianconero, vale a dire quella della stagione 1994-’95. Eppure fu proprio quella squadra che riportò il club torinese ai vertici del campionato, conquistando uno scudetto che mancava dal 1986, e marcando l’inizio di un’epopea nel corso della quale la Juve vincerà tre volte il tricolore, una Coppa Italia, due Supercoppe Italiane, una Champions, una Supercoppa Uefa, una Coppa Intercontinentale, disputando anche altre due sfortunate finali di Coppa dei Campioni. Quella Juve detiene tuttora il record di partite consecutive in Europa, avendo disputato ben quattro finali europee consecutive (fra Champions e Uefa) a riprova della caratura internazionale che la squadra raggiunse nel periodo passato sotto la guida dell’ex allenatore di Cesena, Atalanta e Napoli. Un quinquennio che poi si interromperà bruscamente nel febbraio del 1999, qualche mese prima del già annunciato addio, al termine di un periodo negativo culminato con la sconfitta interna contro il Parma 2-4) di Alberto Malesani. Fra l’altro, sarà proprio un ex tecnico del Parma (Carlo Ancelotti) il futuro sostituto di Lippi sulla panchina juventina.
Quella squadra alla quale approdò Lippi nell’estate del 1994 (quella dei Mondiali americani) – come ha scritto Michele Tossani su “Alteralbus” – aveva una solida base, costituita dal portiere Angelo Peruzzi, dal difensore Jürgen Kohler e dal centrocampista Antonio Conte. In attacco poi, Lippi poteva contare su elementi del calibro di Roberto Baggio, Fabrizio Ravanelli, Gianluca Vialli (in cerca di rilancio dopo il periodo in chiaroscuro passato con la versione 2.0 del Trap) e del rampante Alessandro Del Piero. A questi vanno aggiunti i rinforzi estivi, in particolare Ciro Ferrara in difesa e la coppia di centrocampisti formata da Didier Deschamps e Paulo Sousa, che porterà una nuova dimensione tecnica e tattica all’intera mediana juventina. Fu soprattutto il portoghese, proveniente dallo Sporting Lisbona, a imporsi con le sue qualità tecniche e la sua capacità di dare fluidità e geometrie al possesso dei bianconeri.
Dal punto di vista tattico, Lippi modellò la Juve, una creatura ancora acerba e pertanto malleabile, sulla base di un 4-3-3 piuttosto aggressivo. L’idea era quella di giocare palla in verticale il più velocemente possibile, per servire i tre rifermenti offensivi, supportati dagli inserimenti offensivi di Conte e dei due esterni bassi, in particolare del croato Robert Jarni a sinistra. Alla squadra venivano fornite delle tracce da seguire in fase offensiva, senza però pretendere che venissero eseguite costantemente come nel caso di sistemi più codificati. Detto questo, proprio i tre attaccanti (sui quali dovevano verticalizzare Paulo Sousa e Deschamps) risulteranno essere le principali bocche da fuoco della squadra di Lippi, con Vialli autore di 17 reti, Ravanelli 15 e Del Piero e Baggio appaiati a quota 8.
Proprio l’infortunio di Roberto Baggio (a novembre contro il Padova) aprì le porte al giovane Del Piero, fino a quando il numero 10 della Juve non tornerà cinque mesi dopo. Ritorno che tuttavia non bastò a conservargli il posto per l’annata successiva: l’esplosione di Del Piero infatti convinse la dirigenza bianconera a cedere Baggio al Milan nell’estate 1995.
Per quanto riguarda gli aspetti difensivi, quella squadra si caratterizzava per un elevato tasso di aggressività, sia a centrocampo che in difesa dove i centrali (Kohler, Carrera, Porrini) erano chiamati ad uscire forte sugli avversari, rompendo la linea. Altro aspetto significativo della Juventus 1994-’95 è stato l’applicazione del pressing; come ricordato dallo stesso Lippi ‹‹Vialli e Ravanelli erano giocatori di grande forza, ma non di grande velocità; dovevamo pertanto pressare alto gli avversari per far ripartire le nostre punte a non grande distanza dalla porta avversaria››. Una situazione diversa rispetto a quando, nelle stagioni seguenti, Lippi si troverà a dover gestire attaccanti dalle caratteristiche diverse come Boksic, Zidane e Inzaghi.
Una volta perso il possesso in attacco, i tre davanti andavano ad attaccare la palla a seconda della posizione che si trovavano ad occupare in campo al momento della perdita della stessa, in una versione ante litteram del gegenpressing. Agli attaccanti veniva comunque richiesto di contrastare il diretto avversario fino a quasi la linea di metà campo, facendo così guadagnare tempo importante al resto della squadra per il riposizionamento difensivo.
Dietro poi, Lippi non voleva che i centrali restassero in situazione di due contro due con gli attaccanti avversari. Di conseguenza, uno dei terzini restava dietro o, nel caso in cui fossero saliti entrambi, era Deschamps ad abbassarsi sulla linea difensiva. Principale avversario di quella prima Juve di Lippi fu il Parma di Gianfranco Zola, Faustino Asprilla e Dino Baggio, guidato da Nevio Scala, che cedette ai bianconeri anche in Coppa Italia ma che vinse invece la finale di coppa Uefa, impedendo alla Juventus di centrare uno storico treble.