Tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta, l’Olbia calcio – presidente Elio Pintus, allenatore “Palleddu” Degortes – arrivò a giocare nella serie C unica, terza seria del calcio italiano. Dieci anni vissuti alla grande, con una città, Olbia, che cresceva sospinta dalla Costa Smeralda, da Alisarda e dall’aeroporto, e una squadra – imperniata su molti giocatori olbiesi – che sfidava alla pari le grandi del calcio, dal Genoa al Livorno, dall’Ascoli al Parma. Su questo periodo felice ha scritto un interessante articolo La Nuova Sardegna, proponendo inedite foto dell’archivio di Francesco Sotgiu.
Era un’altra Olbia, come città e come squadra. Quella che alla fine degli anni Sessanta – maggio 1968, mese rivoluzionario – colse la promozione nella serie C era la città del futuro, all’alba del sole dell’avvenire, come la sua anima socialista. Questa di oggi è una città fiaccata, piegata dal dramma di due alluvioni una dietro l’altra, spogliata del suo ruolo di guida in Gallura, osteggiata con ancora più forza dai centri del potere sardo.
Eppure, allora come oggi, la sua squadra di calcio può essere, e per certi versi è, lo specchio di quello che è, Olbia, e di quello che vuole essere. Una città che, insieme alla sua squadra, guarda senza paura al futuro.
Alla fine degli anni Sessanta, l’Olbia aveva un presidentissimo, Elio Pintus, la cui ricchezza derivava da un doppio fenomeno. Proprietario terriero (una zona della città, ai lati di viale Aldo Moro, porta il suo nome), Pintus vendette i terreni ai nuovi ricchi di Monti di Mola, gli Azara e gli Orecchioni che investirono a Olbia i soldi incassati dalla vendita dei terreni di Porto Cervo, Romazzino e Cala di Volpe all’Aga Khan; e li vendette, Pintus, ai tanti nuovi olbiesi che lasciarono la Sardegna dell’interno, e dei Campidani, perché avevano trovato lavoro a Olbia, in Gallura; negli ann i Settanta la popolazione crebbe del 37%, record in Italia. Quell’Olbia era così una sorta di fattore di coesione: in campo c’erano i terranovesi (Bagatti, Caocci, Giagnoni, Marongiu, Petta, e Palleddu Degortes come allenatore), sugli spalti del Nespoli, sempre gremitissimi, anche i nuovi arrivati. Tutti insieme, uniti dalla fiducia nel futuro raggiante, contro squadroni.
Ora è diverso, Olbia è sempre in crescita (mille abitanti in più all’anno), ma non c’è l’Aga Khan, non c’è la Costa Smeralda alle porte. Anche se c’è il Qatar, con la possibilità che investa, che crei nuova economia, nuova occupazione.
E c’è una società, quella di Marino, che non ha interessi immobiliari o industriali a Olbia. Solo l’interesse di fare una squadra di calcio forte, vicina ma indipendente dal Cagliari. E di ricreare quell’entusiasmo, che già sembra forte, serio. Perché Olbia, e l’Olbia, hanno sempre un futuro, nonostante tutto.