L’exploit del calcio del continente nero è stato un fenomeno graduale, cominciato nella seconda metà del novecento. C’è una data storica che, metaforicamente, simboleggia una sorta di spartiacque per il calcio africano; infatti prima dell’8 giugno 1990 l’Europa e il mondo consideravano l’Africa calcistica un territorio assai poco interessante, piena di calciatori e nazionali assolutamente non in grado di raggiungere i livelli sportivi europei o sudamericani.
Quel giorno d’estate lo stadio di San Siro si riempì fino all’inverosimile per due motivazioni. Innanzitutto gli 80mila presenti sulle tribune della Scala del calcio si trovavano lì poiché desideravano gustarsi la cerimonia d’apertura di Italia ’90, sulle note della leggendaria hit Notti magiche. Successivamente Bennato e Nannini, e i restanti spettatori di San Siro, si misero comodi per assistere, non alla prima partita della nazionale italiana (che avrebbe esordito il giorno dopo all’Olimpico di Roma contro l’Austria), ma al match inaugurale della competizione. I campioni in carica dell’Argentina – come ci racconta Giacomo Van Westerhout – sfidavano il Camerun: apparentemente non ci sarebbe dovuta essere storia. Invece la partita terminò con un punteggio a sorpresa. I leoni indomabili camerunesi sconfissero uno a zero l’albiceleste, campione in carica e futura finalista del torneo. Per il continente nero c’è un prima e un dopo l’8 giugno 1990. Da quella data il mondo intero non potrà più permettersi di sottovalutare il calcio africano.
La prima nazionale qualificatasi a una edizione del mondiale fu l’Egitto nel 1934. Una presenza, quella degli egiziani, decisamente sottotono. Andò meglio al Marocco nel 1970 che, sotto la guida del tecnico macedone Blagoja Vidinic, riuscì a ben figurare. Quattro anni dopo, nei mondiali tedeschi del 1974, prese parte alla competizione lo Zaire, anch’essa allenata da Vidinic; d’altronde nella storia del calcio africano spesso le nazionali migliori sono state allenate da un tecnico slavo. L’ultimo esempio è l’Algeria del bosniaco Halihodžic che nel 2014 venne eliminata (ai supplementari) solamente dalla Germania, futura vincitrice. Lo Zaire è la prima nazionale del continente subsahariano a prendere parte alle fasi finali di una coppa del mondo; e non sarà una semplice partecipazione. La presenza dello Zaire ai mondiali tedeschi è ricordata soprattutto per un episodio avvenuto nella terza partita del girone, in cui gli africani affrontarono i maestri brasiliani.
Si è ironizzato molto sulla vicenda, d’altronde il fatto accaduto, se non nascondesse una drammatica verità, avrebbe le perfette sembianze del comico e del grottesco. Il Brasile è in vantaggio per 3-0 e a pochi minuti dalla fine del match gli viene assegnato un calcio di punizione al limite dell’area. Rivelino, uno dei più grandi mancini della storia del calcio, va sul pallone. L’arbitro fischia. A questo punto, dalla barriera, spunta fuori Mwepu Ilunga, terzino destro dello Zaire. Prima che Rivelino cominci la rincorsa, Mwepu si lancia verso il pallone e lo scaraventa più lontano possibile fra l’incredulità generale. La domanda sorge spontanea: esattamente quarant’anni dopo la prima presenza di una squadra africana ai mondiali, i calciatori del continenti nero non conoscono le regole basilari del calcio? In realtà ciò che la diretta televisiva ha mandato in onda è soltanto la punta dell’iceberg. Sotto di essa si nasconde una storia tragica. Nel 1974 lo Zaire è sotto il pieno e totale controllo del dittatore Mobutu Sese Seko, uno degli uomini più folli della seconda metà del ‘900. Anch’esso avrebbe le sembianze del personaggio comico, se non fosse stato uno dei più sanguinosi dittatori della storia dell’umanità. Governò il paese per quasi quarant’anni e, le rare volte in cui si andò a votare, il suo consenso in termini di percentuali era prossimo al 99,9%. Prima della partita con il Brasile, lo Zaire si macchiò di una prestazione invereconda contro la Jugoslavia: finì 9-0 e addirittura il tecnico Vidinic venne accusato di essere una spia slava. I funzionari di Mobutu, mitra in mano e sguardo raggelante, furono chiarissimi con i calciatori: contro il Brasile è severamente vietato perdere con più di tre gol di scarto. Ne va della vostra vita. Probabilmente al momento della punizione di Rivelino, nella testa di Mwepu ronzavano pensieri di ogni tipo. Nessuno di questi, ovviamente, riguardava le regole del calcio.
Dopo la rivelazione del Camerun del 1990 e la riforma della Coppa del mondo (portata a 32 partecipanti nel 1998) le nazionale africane cominciarono a recitare ruoli sempre più importanti. Non da dominatrici assolute, ma certamente da attrici non-protagoniste che fanno il possibile per avvicinarsi all’Oscar, il quale, in termini calcistici, può voler dire la vittoria finale. Ogni generazione ha la propria nazionale africana preferita, poiché la lega spesso a ricordi giovanili. Per esempio Gigi Buffon non ha mai fatto mistero di essersi ispirato a Thomas N’Kono, leggendario portiere del Camerun del 1990.
Dodici anni dopo i mondiali italiani, la Coppa del mondo fa tappa in Oriente e a Seul, va in scena un’altra sorpresa. La nazionale francese, campione del mondo ed Europa in carica, esordisce contro il Senegal. Non è una partita semplice: a Dakar e dintorni si parla la lingua di Balzac da più di un secolo, ovviamente a causa della dominazione francese. All’inizio del XXI secolo il calcio si prende la rivincita sulla storia coloniale europea. Francia battuta 1-0, gol di Papa Boupa Diop. Non si festeggia la sorprendente vittoria solamente a Dakar, ma anche a Parigi, a Marsiglia e in qualsiasi altra città francese, perché sono centinaia di migliaia gli immigrati senegalesi all’interno dell’Hexagone. Quel Senegal guidato da Diop, Diouf, Camara farà sognare l’Africa intera per un’estate; la sua corsa si arresterà solamente ai quarti di finale. Non è una novità, infatti, ancora oggi, nessuna nazionale africana è mai riuscita ad approdare a una semifinale mondiale.
Non si hanno dubbi su quale sia la più grande incompiuta della storia del calcio africano. È la Nigeria del 1998, allenata dal guru Bora Milutinovic (un ex jugoslavo, ovviamente). Quattro anni prima venne eliminata da un grandissimo Roberto Baggio, ma nel 1998 la squadra è ancora più forte. Bora detiene un record probabilmente infrangibile: è riuscito nell’impresa di portare ai mondiali ben 5 nazionali differenti (in ordine cronologico: Messico, Costa Rica, Stati Uniti, Nigeria, Cina) e solamente con i cinesi è stato eliminato al primo turno. Egli identifica la spedizione francese con la nazionale nigeriana come il rimpianto più grande della sua carriera. La squadra nella fase a gironi espresse un calcio eccezionale e, fra le altre cose, fece lo scalpo alla Spagna. Agli ottavi però cedette di schianto ai danesi, finendo per subire addirittura quattro gol. Okocha, Taribo West, Babangida, Kanu. Difficile trovare una nazionale africana più talentuosa di questa. Probabilmente il calcio africano si può riassumere perfettamente nella paradossale avventura della Nigeria del ’98. Un cocktail potenzialmente esplosivo, in un senso o nell’altro. Una bomba ad orologeria pronta ad esplodere e fare danni, agli avversari o a se stessa. Una bizzarra e strampalata mancanza di mezze misure. Da anni siamo in spasmodica attesa della nazionale africana più forte di sempre.