Il calcio in Nuova Zelanda ha più di un secolo di storia (la Federazione calcistica (NZF) è stata fondata addirittura nel 1891), ma la palla rotonda in questa parte dell’Oceania ha sempre dovuto soccombere allo strapotere del rugby, schiacciata dall’enorme popolarità anche a livello mondiale degli All-Blacks.
La prima volta che i neozelandesi scoprirono il calcio ad alti livelli fu nel 1982 quando gli All-Whites (chiamati così in onore della divisa della nazionale, totalmente bianca in contrapposizione al nero totale del rugby) si qualificarono a sorpresa ai Mondiali di Spagna del 1982. Per accedere all’agognata fase finale la Nuova Zelanda dovette passare attraverso ben 15 incontri girando in lungo e in largo Oceania e Asia.
Dopo aver superato Indonesia, Taiwan, Fiji e gli eterni rivali dell’Australia, la Nuova Zelanda superò anche il secondo raggruppamento con Cina, Kuwait e Arabia Saudita arrivando a giocarsi le sue chances mondiali contro la Scozia di Jordan, l’Unione Sovietica di Blochin e il favoloso Brasile di Zico.
La nazionale neozelandese partecipò alle qualificazioni per i Mondiali di Calcio solo a partire dall’edizione del 1970, sempre con scarsissime chances di successo. La svolta avvenne con le vittorie, seppur in amichevole, contro l’Australia nel 1979 e il Messico nel 1980. Vittorie che ebbero l’effetto di innestare un circolo virtuoso negli All-Whites che così puntarono con rinnovato entusiasmo alle qualificazioni per Spagna 82, la prima edizione mondiale allargata a 24 squadre. Il coach della Nazionale John Adshead e il suo assistente Kevin Fallon svolsero un durissimo lavoro di selezione e preparazione con la prima squadra.
Che poteva già contare sul talentuoso Brian Turner (per lui esperienze in Inghilterra con Chelsea e Portsmouth), Steve Sumner (Newcastle United), Steve Wooddin e su giovani promesse come Grant Turner, Keith Mackay, Duncan Cole, Glenn Dods e Ricki Herbert. Alla fine del girone la Nuova Zelanda può vantare, oltre che il primo posto, anche su 31 reti realizzate contro le sole 3 subite (peraltro tutte nel primo match contro l’Australia). E’ così gli All-Whites iniziano a colpire l’immaginazione degli sportivi locali, avezzi da sempre alla palla ovale piuttosto che rotonda.
Ma il percorso è ancora lungo e tortuoso. Tortuoso come il regolamento che prevede un ulteriore girone misto Asia/Oceania con Nuova Zelanda, Kuwait, Cina e Arabia Saudita: passano a Spagna 82 le prime due. Il 24 settembre 1981 la Nuova Zelanda parte con l’acceleratore frenato, pareggiando a Pechino 0-0 contro la Cina. L’immediato retour match del 3 ottobre vede invece cadere i cinesi ad Auckland grazie ad una rete di Herbert e anche alle parate di Richard Wilson, arrivato al nono match di qualificazione senza subire reti, un record.
La settimana successiva i sogni di gloria sembrano svanire quando il Kuwait passa 2-1 ad Auckland davanti a 30.000 spettatori e nonostante il vantaggio iniziale di Wooddin. Il match, caratterizzato da parecchie sviste arbitrali pro-Kuwait, pesa sul morale degli All-Whites che così impattano 2-2 il successivo match contro l’Arabia Saudita, senz’altro l’avversario più debole del girone. L’imprevisto pareggio impone a questo punto due vittorie negli ultimi due incontri a Kuwait City e Ryad. I sogni sembrano realizzarsi in Kuwait, quando le reti di Sumner e dell’emergente star Wynton Rufer sembrano assicurare la vittoria per 2-1. Senza però fare i conti con Kameel che al 90′ riporta in parità il match e rimette in discussione la favola neozelandese.
A questo punto, per ottenere la qualificazione la Nuova Zelanda deve battere l’Arabia Saudita con almeno 6 reti di scarto superando così in classifica la Cina nella differenza reti. Il 19 dicembre, sul campo in erba sintetica di Ryad, il primo tempo vede i bianchi già in vantaggio per 5-0, con doppiette di Turner e Rufer e una rete di Wooddin.
Incredibilmente, e nonostante gli attacchi incessanti, nel secondo tempo non arriva la tanto agognata rete-qualificazione. Cina e Nuova Zelanda arrivano appaiate con la stessa differenza reti, dopo il già qualificato Kuwait, alla fine del gione: sarà dunque uno spareggio in campo neutro a determinare quale delle due compagini si aggiudicherà il sogno di Spagna ’82. A Singapore, sede scelta per la sfida finale, il 10 gennaio 1982 sotto una cappa di umidità asfissiante e con 60.000 spettatori quasi tutti pro-Cina, la Nuova Zelanda realizza il miracolo con le reti di Rufer e Wooddin, e a nulla serve la rete di Huang Xiangdong al 75: la Cina è definitivamente piegata. Il trionfo degli All-Whites consacra così definitivamente il calcio neozelandese sul più grande palcoscenico del calcio: i Campionati mondiali.
Il sorteggio per gli All-Whites non è benevolo: bengono inseriti nel gruppo 6 assieme al favoritissimo Brasile, alla tignosa Unione Sovietica e alla consorella Scozia. Un girone obiettivamente proibitivo e con la seria possibilità di subire pesanti umiliazioni. Il coach John Adshead oltretutto deve fare a meno della star Grant Turner, infortunatosi sei giorni prima dell’esordio spagnolo.
Per i tifosi neozelandesi cresciuti guardando lo show della BBC Big League Soccer o leggendo riviste come Shoot, la Scozia è un avversario che fa venire l’aquolina in bocca, ricco di giocatori provenienti da Liverpool, Celtic, Nottingham Forest. Davanti ai 36.000 dello stadio La Rosaleda di Malaga la favola della Nuova Zelanda sembra però diventare un incubo: al 17′ Dalglish spedisce in fondo alla rete un invito di Strachan, alla mezz’ora Robertson lascia partire un bolide dal limite dell’area che Van Hattum (preferito all’ultimo momento al titolare nelle qualificazioni Wilson) non trattiene e che Wark spedisce agilmente nel sacco.
Tre minuti dopo ancora Wark di testa: 3-0 e partita virtualmente chiusa. Nella ripresa gli All-Whites approfittano di un rilassamento degli uomini di Stein e al 53′ Summer è abile a sfruttare un errore di McGrain e batte Rough.
Non basta, e al 64′ Wooddin in fuga solitaria porta il risultato sull’insperato 3-2. Lo doppia sberla subita ha l’effetto di far reagire la Scozia che riprende in mano le redini del gioco e riafferma la sua superiorità con Robertson e Archibald: 5-2 finale, ma di certo la Nuova Zelanda fa sapere al mondo che non è venuta in Spagna solo per fare numero.
E’ l’ora dell’Unione Sovietica, avversario tosto e tignoso guidato da Oleg Blokhin, uno dei migliori giocatori europei.
Dopo la cinquina subita dagli scozzezi molti si attendono un’altra debacle neozelandese, ma i primi 45 minuti vedono gli All-Whites tenere benissimo il campo. Al 21′ Kenny Cresswell ha addirittura un’ottima opportunità ma il suo colpo di testa è neutralizzato da Rinat Dasaev. Tre minuti dopo però Van Hattum deve capitolare di fronte ad una doppia conclusione di Yuri Gavrilov. Il primo tempo si conclude del risultato di 1-0. Adshead rimanda in campo gli stessi undici nella ripresa che vede i sovietici partire alla grande e al 48′ Oleg Blochin raddoppia chiudendo di fatto il match. Baltacha al 67′ mette il visto sul finale 3-0 che decide la virtuale eliminazione della Nuova Zelanda.
L’ultimo match riserva agli All-Whites nientemeno che il Brasile delle meraviglie. E i verdeoro non si tirano indietro offrendo una stupenda lezione di calcio. La difesa neozelandese resiste mezz’ora capitolando solo di fronte ad una splendida rivesciata di Zico su passaggio di Leandro.
Tre minuti dopo, discesa di Socrates sulla destra, apertura a memoria per l’arrivo del solito Leandro, cross a rientrare e tiro al volo ancora di Zico. Dopo l’intervallo lo spettacolo riprende con i carioca che riaprono i loro bauli carichi di talentocalcistico: stop vellutati, colpi di tacco, finte, pallonetti e così via.
Dieci minuti di questa musica e poi Falcao decide che è giunto il momento di fare sul serio. Il romanista raccoglie un passaggio poco oltre la metà campo, parte verso la porta avversaria, entrato in area resiste ad una carica e poi infila ancora Van Hattum. La Nuova Zelanda prova ad innestare qualche timido contropiede che però non riesce ad impensierire Waldir Peres e al 70′ arriva il 4-0 di Serginho che spinge in rete un centro di Zico. Finisce così tra il samba dei tifosi verdeoro la favola degli All-Whites ai loro primi Mondiali di calcio.