Un allenatore italiano non aveva mai diretto il Barça fino ad allora e nessun altro lo ha fatto da allora. Al momento di ingaggiarlo vennero valutati un paio di aspetti rilevanti. In primo luogo, che proveniva da una delle principali culture calcistiche del pianeta, con due Campionati del Mondo alle spalle, in secondo luogo il fatto di aver guidato la debole e praticamente sconosciuta Turchia al Mondiale in Svizzera nell’estate del 54, dopo aver eliminato la nazionale spagnola nello spareggio allo stadio Olimpico di Roma (la Spagna aveva vinto 4-1 a Madrid e perso 1-0 a Istanbul), sfortunato incontro già prima del fischio d’inizio, poiché un misterioso telegramma sulla situazione burocratica di Kubala (nazionalizzato spagnolo dal 1951) ha impedito lo schieramento di Laszlo, e successivamente, per determinare la vincente ci si è dovuti affidare al sorteggio: la mano innocente è stata messa da un ragazzo italiano, un “bambino” di nome Luigi Franco Gamma, che, bendato, ha estratto il nome della Turchia.
Ma chi era questo Sandro Puppo che si sarebbe seduto sulla stessa panchina occupata in precedenza da Pep Samitier, Enrique Fernández e Ferdinand Daucik? Il suo nome completo era Alessandro Puppo, ed era nato nella città transalpina di Piacenza il 28 gennaio 1918, durante la Prima guerra mondiale. La sua città natale era – ed è – il capoluogo dell’omonima provincia, e si trova nella regione Emilia-Romagna, nella pianura del Po, il fiume principale d’Italia. A quel tempo contava poco più di 50.000 abitanti (oggi ne ha quasi il doppio), e si trova a metà strada tra Milano e Parma. La biografia dei suoi primi anni è curiosa, poiché suo padre era un violinista, e Sandro trascorrerà parte della sua adolescenza a Shanghai, città esotica e affascinante di quegli anni ’30. In Cina inizierà a giocare a calcio, nella squadra della scuola , e nel 1934, tornato nella sua città natale, firmò per la squadra locale, il Piacenza.
Il giovane Sandro ha un ottimo fisico – è alto 1,78 – e viene schierato a centrocampo, in quel calcio che non ha ancora assimilato i sistemi del “WM”, che mette in pratica in quegli stessi anni Herbert Chapman, il leggendario allenatore dell’Arsenal di Londra. La sua buona prestazione lo porta ad essere convocato per la Nazionale italiana che parteciperà ai Giochi Olimpici di Berlino nel 1936. Sarà un sostituto in quella squadra che sta per vincere la medaglia d’oro. Un anno dopo, nel 1937 , firma per una delle migliori squadre italiane, l’Ambrosiana-Inter, nome che all’epoca venne dato all’Inter, costretti dal regime fascista a modificarne l’identità, rendendola italiana (Sant’Ambrogio è il patrono del capoluogo lombardo). Non giocherà molto con i berazzurri, ma vince il campionato 1937-‘38, e anche la Coppa Italia l’anno successivo, alla vigilia dello scoppio della Seconda guerra mondiale. Le sue stagioni migliori arriveranno quando andrà al Venezia, dove si esibirà fino al 1945, aggiungendo al suo record anche una nuova Coppa Italia, nel 1941.
Dopo il conflitto, torna brevemente a Piacenza, per poi trasferirsi nuovamente a Venezia (1946-‘47), quindi la Roma (1947-‘49), per dire addio alla pratica attiva del calcio nella modesta Thiene (stagione 1949-‘50), come allenatore aveva già mosso i primi passi a Piacenza, nel doppio ruolo, e ripeterà l’esperienza a Thiene. Poi eccolo sulla panchina del Venezia e del Rovereto. Nel 1952 inizia una nuova avventura in un contesto molto diverso, la nazionale turca, qualificandola per il Campionato del Mondo del 1954 in Svizzera, traguardo che viene raggounto a spese della nazionale spagnola. Al Mondiale perde 4-1 contro la Germania Ovest e travolge la debole Corea del Sud (7 a 0), ma viene eliminata nello spareggio dai tedeschi: 7 a 2 a favore del futuri campioni del mondo.
Il Consiglio di Amministrazione del Barcellona, presieduto dal giovane e dinamico Francesc Miró-Sans che aveva appena posato la prima pietra di quello che tre anni dopo sarebbe stato uno dei migliori stadi del mondo, il «Camp Nou» (inaugurato nel settembre 1957), pensò a Puppo per sostituire Daucik e prendere saldamente le redini di una squadra che aveva perso l’egemonia del calcio spagnolo a favore del Real Madrid guidato da Alfredo Di Stefano, e le cui stelle principali si diceva fossero troppo benestanti. Ci si aspettava, in una parola, che imponesse la disciplina e mettesse i giocatori in riga. Ma prima di mettersi al lavoro, il suo arrivo a Barcellona è avvolto da un certo mistero, in quanto il club non lo presenta ufficialmente alla stampa finché non ha superato l’esame per poter allenare in Spagna, come scrisse nel 1994 sull’ormai defunta rivista “Don Balon” .
Sandro Puppo ha proiettato un’immagine atipica per un allenatore di calcio, con quei suoi occhiali che gli davano le sembianze di un intellettuale o di un professore universitario. E chi la pensava così non si sbagliava del tutto, essendo un uomo raffinato e colto – qualità che non sempre si trovavano nel suo mestiere – e con una squisita preparazione musicale, visto che suonava benissimo il violino e il pianoforte, ed era un ospite fisso delle esibizioni operistiche del Liceo di Barcellona. Ma lo avevano assunto per mettere ordine, e questo verrà fatto immediatamente, contando sui seguenti giocatori per cercare di riportare il Barça in prima linea: Ramallets, Velasco, Goicolea, Caldentey, Seguer, Biosca, Segarra, Brugué , Gracia, Hanke, Flotats, Bosch, Gonzalvo III, Basora, Villaverde, Kubala, Luís Suárez, Manchón, Mandi, Areta II, Moreno, Tejada, Moll, Navarro II e César.
Le novità – a parte Luisito Suárez e Areta II, esordienti in prima squadra durante la Coppa del 1954 – sono il giocatore uruguaiano del Deportivo La Coruña Dagoberto Moll, l’esterno dell’Oviedo Mandi, il ritorno di Alfonso Navarro, Navarro II o Navarrito, e soprattutto l’ingaggio di Ramón Alberto Villaverde, anche lui uruguaiano, centravanti di alto livello del Millonarios de Bogotá, dove aveva giocato al fianco dello stesso Alfredo Di Stefano. Sulla carta era un’ottima squadra, piena di talenti assoluti per la Spagna, e molto capace di aspirare a tutto. Puppo prenderà alcune decisioni sorprendenti, visto che utilizzerà poco Biosca e Basora: il prino giocherà solo una partita di campionato, sostituito al centro della difesa dal giovane Brugué, e per quanto riguarda Basora, l’esterno giocherà solo 9 partite di campionato, con Mandi e Tejada al suo posto. La stagione 1954-‘55 vedrà anche l’inesorabile declino di due delle grandi stelle della squadra, il centrocampista Mariá Gonzalvo, Gonzalvo III (presente solo in 7 partite di campionato) e César Rodríguez, «El Pelucas», cui Puppo concederà solo 4 presenze, come difensore centrale, nonostante il suo predominio nel gioco aereo. Al contrario, si affiderà al cecoslovacco Hanke, che firmerà la sua migliore stagione da giocatore del Barcellona, schierato in 24 partite, mentre il giovanissimo Luisito Suárez compare in squadra come titolare in 7 occasioni
La presentazione del Barça al pubblico avviene il 2 settembre 1954 contro lo Stoccarda. Quella sera, il Barça ha inaugurato l’illuminazione artificiale di «Les Corts». Sandro Puppo ha presentato contro la potente squadra tedesca la seguente formazione: Ramallets; Seguer, Biosca, Segarra; Flotats, Bosch (Gonzalvo III); Basora (Mandi), César (Suárez), Areta II (Moreno), Villaverde e Manchón. Vittoria del Barça per 3 reti a 1, segnata da Manchón, Bosch e Moreno, e assenza di Kubala, ancora reduce dal grave infortunio ai legamenti patito al “San Mames” in una partita di Coppa. La decima giornata è l’appuntamento per la leadership;: a Bilbao finisce in pareggio, 1 a 1, con gol di Arteche e Villaverde. Il primo terzo della competizione si chiude con il Real Madrid in testa alla classifica, a pari punti con Blaugrana e Rojiblancos, ma le Merengues consolideranno la loro posizione privilegiata sette giorni dopo, all’undicesima giornata, sconfiggendo lo stesso Barça al «Chamartín» per 3-0, con reti di Di Stefano (un rigore molto contestato), Rial e Joseíto. Mentre inciampa anche il Bilbao (che non può andare oltre il pareggio contro il Deportivo La Coruña), il Madrid è capolista con un punto di vantaggio sui Rojiblancos e due sulla squadra catalana. Le posizioni si restringono alla dodicesima giornata, perché mentre il Real pareggia a Vigo contro il Celta, il Barça batte il Deportivo in una partita grigia giocata in casa (3-1).
Tutto rimane uguale alla quattordicesima giornata (il Real Madrid batte l’Atlético 1-0 nel derby, l’Athletic vince facilmente sull’ Hercules a “San Mamés” 3-0, e il Barça fa lo stesso con la Real Sociedad a «Les Corts», di 4 a 1). Il girone d’andata si conclude il 19 dicembre 1954, con un brutto risultato per la squadra di Puppo, che perde 1-0. Le Merengues sono prime, davanti all’Athletic di 2 punti e al Barça di 3.
La diciassettesima giornata segna un leggero rallentamento del Real Madrid, il Barça, dal canto suo, si sbarazza nettamente dell’ Alavés (5-2, con due gol di Kubala). Queste le posizioni: Real Madrid 27 punti, Barça 25 e Athletic 23.
Alla diciottesima giornata, l’Athletic sembra uscire dai giochi, perdendo 1-0 contro il Celta. Il Real Madrid pareggia (1 a 1) a casa del Las Palmas, nel corso di un incontro movimentato, mentre il Barça risolve a suo favore il derby con una certa facilità contro l’Español (2-4, con una tripletta di Manchón). Gli uomini di Puppo sono posizionati a un solo punto dal leader Real Madrid. Le cose si fanno ancora più emozionanti alla fine della ventesima giornata, perché anche se il Barça pareggia nel «Metropolitano» (2-2) contro l’Atlético, con i gol di Moll e Manchón, il Madrid è sconfitto contro ogni previsione a (3-1), contro il Malaga che fatica in fondo alla classifica. Entrambe le squadre occupano ora il comando, a pari merito a 30 punti, anche se il Real è in testa alla classifica grazie alla migliore differenza reti.
Ma alla ventiduesima giornata il Barça subisce una grave battuta d’arresto: la visita alle Canarie si conclude con un 2-0 per l’Unión Deportiva, mentre i Blancos vanno a vincere 4-0 in casa del Racing. La sconfitta del Real Madrid per 2 a 0 a Bilbao rimette i Rojiblancos nella lotta per il titolo, anche se con poche probabilità, ma assolutamente inaspettata è la battuta d’arresto del Barça a Santander (2-1): non solo perde la partita all’ultimo minuto di gioco, ma anche il suo grande protagonista, Laszi Kubala, che si rompe la clavicola. Alla fine di questa giornata la situazione è la seguente: Real Madrid 36 punti, Barcellona 34 e Athletic Bilbao 32. E sette giorni dopo i Leoni vanno a far visita proprio al Barcellona, in uno scontro che sembra epocale. In quella venticinquesima giornata il Barça perde quasi tutte le sue possibilità di aspirare al titolo, cadendo nel proprio feudo contro i Rojiblancos per 2 a 3. Gli uomini di Puppo accusano fortemente l’assenza di Kubala, e vengono nettamente superati dai baschi, che vanno in gol con Uribe, Marcaida e Arieta, mentre Areta II e Villaverde segnato le reti per i catalani. Il Real Madrid, dal canto suo, batte nettamente in casa l’Español (5 a 1), in una partita in cui Di Stefano realizza quattro gol. I madrileni sono sempre più leader, con quattro punti di vantaggio su Athletic e Barça.
El Clásico termina 2-2, il Barça ha quasi definitivamente sepolto tutte le sue speranze. Il Real Madrid gioca contro una squadra che continua ad accusare troppo l’assenza dell’infortunato Kubala. Gento ealizza i due gol del Real e Basora e Moll soni i marcatori per catalani. Il Madrid ottiene 3 punti sull’ Athletic e 4 sul Barça, a soli quattro turni dalla fine. Dopo la ventottesima giornata, il Real Madrid potrebbe essere considerato campione virtuale, dopo il pareggio a La Coruña (3-3). L’incoronazione, per il secondo anno consecutivo, arriva proprio in casa degli eterni rivali di Madrid, battendo l’Atlético 2-4. Il Bilbao invece perde ad Alicante contro Hercules (3 a 2), e per il Barça è ininfluente la vittoria contro la Real Sociedad, 0 a 2. I catalani chiudono il campionato davanti al proprio pubblico, ottenendo un traballante pareggio contro un Hercules che sorprendentemente si classifica sesto. Il Barça è secondo con 41 punti, a cinque lunghezze di distacco dal Real Madrid. Ha vinto 17 partite, ne ha pareggiate 7 e ne ha perse 6, con un bottino di 75 gol a favore e 39 contro. L’Athletic Bilbao di Daucik, da parte sua, ha ottiene un degno terzo posto, dopo aver lottato per buona parte del campionato. Nella Coppa nazionale, nei quarti di finale, il Barcellona supera il Deportivo La Coruña, in semifinale il sorteggio assegna l’Athletic Bilbao di Daucik. La prima partita si gioca nel feudo del Barça, i Leoni vincono per 2-0 in una partita in cui il portiere della nazionale Carmelo Cedrún para un rigore a Kubala deviando la palla in angolo. Al ritorno è un pareggio, con Laszi che segna i due gol catalani. Qualche giorno dopo Sandro Puppo saluta il Barcellona, visto che gli obiettivi che si era prefissato non sono stati raggiunti, ma almeno parte con la soddisfazione di vincere l’amichevole contro il Nizza che chiude la stagione,ricevendo una grande ovazione quando va a salutare al centro del campo. In totale ha guidato il Barça in 34 partite ufficiali, con un bilancio di 18 vittorie, 9 pareggi e 7 sconfitte, con 85 gol a favore e 44 contro (52,94% delle vittorie).
Puppo continuerà a esercitare la frenetica professione di allenatore per più di un decennio. Dopo aver lasciato il Barça, la sua esperienza spagnola alla guida di un club così importante è un’ottima lettera di presentazione perché viene chiamato nientemeno che dalla Juventus: rimane due stagioni alla corte della Vecchia Signora, portando avanti un programma di rinnovamento e ringiovanimento della squadra: in quella squadra, soprannominata la Juve dei puppanti, inserisce tra i titolari giovani come Piero Aggradi, Flavio Emoli, Enzo Robotti e Giuseppe Vavassori. Successivamente allena la Mestrina e la Nazionale italiana “B”, prima di tornare in Turchia, dove riprende la guida del Besiktas e della nazionale, tra il 1960 e il 1962. Rientra in Italia , dove lavorerà a Siracusa, Venezia e Triestina, prima di partire per la terza volta per la Turchia – una costante della sua carriera – per guidare nuovamente la nazionale tra il 1965 e il 1966. Chiuderà definitivamente il ciclo tornando alle origini, al Piacenza, dove allenerà fino alle dimissioni nell’ottobre 1967, quando – senza aver ancora compiuto 50 anni – metterà fine alla sua carriera da tecnico.
Nel 1968 accetta un importante incarico nella principale azienda della sua città natale, l’Astra, azienda produttrice di veicoli commerciali e all’epoca guidata da un ex presidente di Piacenza, lavoro dove sarà molto utile la sua vasta padronanza di diverse lingue straniere.
Nel 1970 entra a far parte di un gruppo di studi tecnici della FIFA e nel 1974 pubblica il libro “Calcio: quo vadis”, un saggio in cui espone l’evoluzione tecnica e tattica del calcio dagli inizi agli anni ’70. Il 16 ottobre , 1986, all’età di 68 anni, muore a Piacenza.
Mario Bocchio