Il 2016 è stato un anno sofferto per il calcio cileno. Talmente tanto che, nella lunghissima striscia di terra dell’America latina, si parlava addirittura della fine dei mitici sodalizi mineros, ovvero quelli finanziati dall’industria del rame, principale risorsa in termini di gestione.
Sono stati quattro, in tutto, ad aver visto il piatto piangere: Cobreloa, Cobresal, O’Higgins e Huachipato, tutti legati – più o meno direttamente – alla Codelco l’azienda estrattiva statale dell’oro rosso, impegnata ad una revisione generale dei conti e ad un conseguente restringimento dei cordoni della borsa. Le dure politiche di tagli e di austerità annunciate ad inizio anno dalla compagnia statale, il cui piano di riduzione costi era stato progettato per resistere al violento collasso del prezzo del metallo, contemplava un risparmio di quasi 574 milioni di dollari. Molto interessante quanto scritto da Stefano Fonsato su “Il Manifesto”.
Di questo poker, è stato certamente il primo club della lista a rischiare maggiormente, il Cobreloa, otto volte campione di Cile nella sua storia e che nel 2004 soffiò il titolo ai mostri sacri del Colo Colo. Ogni anno, tutti i giocatori – staff tecnico compreso – del club di Calama, città “precipizio” (a 2mila 300 metri di altitudine) di 138mila abitanti circa nel nord del paese, visitano la locale miniera a cielo aperto di Chuquicamata, nel cuore della regioni di Antofagasta.
Un taglio violentissimo del contributo statale, ha visto il passaggio dagli 1,5 milioni di dollari percepiti fino al 2012, a 645mila nel 2015 e 320mila fisso per l’ultima stagione calcistica.
E da queste parti ci si chiedeva, piuttosto preoccupati, come sarebbe andata a finire. Un po’ più a sud c’è la piccola città che conta poco meno di 9mila anime, El Salvador, nel pieno del deserto di Atacama, quartier generale del Cobresal, campione a sorpresa del torneo di Clausura del 2015. L’oro rosso viene estratto anche qui.
“Non sappiamo a cosa andremo in contro, certamente dovremo navigare a vista e provare strade alternative che favoriscano l’autosostentamento del club – aveva spiegato laconico, alla testata giornalistica cilena La Tercera Cristian Pizarro, presidente del Cobresal, sodalizio arancione (stesso colore del Cobreloa), proprio come il rame quando luccica. E che, peraltro, come stemma ha un pallone che indossa il casco giallo da minatore -. Una cosa è certa: i tempi che ci hanno legato indissolubilmente all’industria statale del rame sono finiti”.
Qualche dato che aiuti a capire la situazione: il rame, in qualche modo, è un indicatore perfetto per definire il presente e il futuro finanziario. Perché viene utilizzato praticamente per tutto, dalle tecnologie più sofisticate alla rifinitura dei palazzi in costruzione. Se cala la produzione di rame, vuol dire che non c’è più progresso. Il crollo del prezzo del metallo è cominciato con un 30% e da lì non ci si è più fermati. Allora il suo prezzo si avvicinava molto ai costi di produzioni, che si attestavano sui 2,23 dollari americani a libbra, secondo i dati diffusi proprio dalla Commissione Cilena del Rame, la Cohilco. Il Cile, in generale, copre il 31% della produzione mondiale di oro rosso ed è comprensibilmente la prima voce di merito nell’economia del paese, sia in termini di esportazioni che di occupazione. E di investimenti stranieri. Scendendo nei particolari, il fatturato cileno prodotto dall’esportazione del rame, prendendo a riferimento il bimestre gennaio-febbraio 2015, ammontava a poco meno di 11 milioni di dollari.
I destini di rame e pallone, in Cile, non potevano che essere incrociati: la vittoria della Copa America casalinga nel segno di Arturo Vidal e dell’ex ct argentino Jorge Sampaoli e del Clausura 2015, in cui ha trionfato il Cobresal, apparvero come palliativi di una situazione che, sul medio-lungo termine, rischia ancora di far arrancare economia e, di conseguenza, il calcio locale. Perché i quattro club mineros, costituiscono la storia riflessa del pallone rojo. E se l’O’Higgins di Rancagua, si limita da tempo a semplici contratti di sponsorizzazione con la Codelco, annaspando – tuttavia – in termini economici, a dettare i termini definitivi della rottura tra rame e calcio professionistico è stato l’ Huachipato. Ma con lieto fine: “I contributi restanti, provenienti dalle miniere non finanziano più la società professionistica di prima divisione, che si è sempre intascata l’intera posta, ma i club giovanili e dilettantistici per lo sviluppo del calcio e della società del territorio”, aveva indicato la via Rodrigo Briceno, presidente del club e responsabile della pianificazione della Compagnia Siderurgica Hauchipato. Come a dire: se è vero che crisi è sinonimo di opportunità, tanto vale guardare alle nuove generazioni. Chapeau.