Quel pomeriggio allo stadio Olimpico di Roma. Quel caldo opprimente, infernale, tipicamente agostano, quella maglia intrisa di sudore che ti si incolla alla pelle. Quella partita, la prima della tua vita nel calcio dei grandi, quello che conta, i tuoi primi passi in Serie A. Quel cross che sembra lungo per tutti. Ma non per te, che su quella palla che piove sul secondo palo ti ci fiondi. La colpisci di testa, che non è mai stata la tua specialità, spiazzi il portiere, la rete si gonfia. Velo nero davanti agli occhi, i pensieri sono soffocati dalla gioia, vuoi solo correre, gridare al mondo la tua felicità. Non hai nemmeno vent’anni e hai segnato in Serie A, all’Olimpico, nel giorno del tuo debutto. Corri, corri verso la panchina, cerchi quel compagno a cui sei affezionato, quello che ha sempre creduto in te, quello che te l’aveva detto che eri bravo per davvero. Sei in un sogno, il tuo sogno, pensi “è fatta, sono arrivato, sono un calciatore vero”. Però non è così, ti ricordi di quegli allenatori che negli anni ti ricordavano come il difficile non fosse tanto arrivare in alto, quanto riuscire poi a restarci, lassù tra i grandi. E quella gioia incontenibile, settimana dopo settimana, ti sfugge dalle mani, diventa un ricordo giorno dopo giorno sempre più lontano. Pensavi di essere diventato grande, ma ti sbagliavi: ti mancava qualcosa per restare lassù, e lo avresti scoperto con il passare degli anni. Questa è la storia di una gioia effimera, di un talento grezzo che non ha avuto la forza per sbocciare, di un ragazzo che ha conosciuto la gloria e poi si è perso nel labirinto delle sue debolezze: questa è la storia di Tommaso Vailatti. Raccontata da “Libero Pallone”.
Tommaso Vailatti nasce a Venaria Reale, alle porte di Torino, il 2 gennaio del 1986, in una famiglia di etnia sinti piemontese. Papà Natale e mamma Maura, per vivere, fanno i giostrai, ma la passione di Ricky, fin dai suoi primissimi anni di vita, ha la forma sferica di un pallone da calcio. Ricky, sì: nella popolazione sinti, la più popolosa comunità nomade italiana, è usanza attribuire ad ognuno un nome diverso da quello anagrafico. Tommaso, così, diventa per tutti Ricky Vailatti. Ad ogni modo, come abbiamo detto, il sogno di Ricky non è quello di proseguire la tradizione di famiglia: Ricky vuole fare il calciatore, e chi di pallone ne mastica dice che sì, quel ragazzino un po’ esile ce la può fare per davvero. E’ il 1992, infatti, quando Tommaso Vailatti entra a far parte del settore giovanile del Torino: Ricky indossa la maglia granata, non la toglierà più per 18 lunghi anni.
Fino al 2005 quella di Ricky è una storia perfetta. Tutta la trafila nel settore giovanile, in cui Tommaso si segnala tra i più talentuosi ragazzi di un vivaio, quello granata, che non è più la prodigiosa fucina di campioni di qualche decennio prima, ma che sa ancora sfornare ottimi giocatori. Vailatti è uno di questi: centrocampista esterno ma all’occorrenza anche centrale, fisico non esattamente statuario, ma un’ottima tecnica di base, accompagnata da una notevole potenza nel calcio da lontano e una grande facilità di corsa. Nell’estate del 2004 Ezio Rossi, allenatore della prima squadra che prepara il campionato di Serie B, se ne accorge, aggregandolo con frequenza al gruppo dei “grandi”. E Ricky non è lì per caso, non è lì solamente per rimpinguare la rosa della prima squadra in caso di necessità. Ezio Rossi lo vuole con sè perchè il ragazzo è bravo, può tornare decisamente utile alla causa e merita una chance. Quella chance arriva la sera del 19 novembre, quando Rossi consegna a Vailatti una maglia da titolare per la sfida di Coppa Italia contro la Sampdoria: dopo un percorso durato dodici anni, durante il quale Vailatti ha vestito il granata in ogni categoria del settore giovanile, Ricky veste la maglia del Toro, quello vero, quello dei grandi. Se non fosse un po’ banale, un po’ scontato, verrebbe da chiamarla “favola”. Il debutto del ragazzo del vivaio al Delle Alpi dura 70 minuti, poi Ricky lascia posto a Balzaretti, con il risultato fermo sullo 0-0. Nel finale Doni e Kutuzov firmeranno il 2-0 doriano, rendendo amaro l’esordio di Vailatti con la prima squadra granata.
Nove giorni dopo, il 28 novembre 2004, sempre al Delle Alpi, ecco anche la “prima” in campionato, ma per Vailatti è un altro debutto guastato da una sconfitta: Rossi lo manda in campo nei minuti finali di Torino-Modena, con il risultato fisso sul 3-0 in favore dei canarini, score che resisterà fino al termine. Gradualmente, passo dopo passo, nonostante due debutti non esaltanti, Ricky riesce a farsi spazio, a ritagliarsi un ruolo sempre più importante nella sua squadra del cuore, quella che lo ha visto crescere, che lo ha formato come calciatore ed educato come uomo: Tommaso colleziona 10 presenze, il Torino, attraverso i playoff, conquista il ritorno nella massima serie. E’ tutto perfetto, fin qui, è una storia da incorniciare.
Nell’estate del 2005, però, il sogno si trasforma in incubo. Manca una fideiussione bancaria per l’iscrizione alla Serie A, il Torino viene escluso dal campionato, e, peggio ancora, rischia di sparire completamente dalla mappa del calcio italiano. Mentre sta scivolando in fondo al baratro, il Toro viene letteralmente preso per i capelli dal gruppo dei “lodisti” (che prendono il nome dal lodo Petrucci, del quale si servono per prelevare e salvare la società), che acquisisce il titolo sportivo e fonda la Società Civile Campo Torino. Sono giorni caotici, i lodisti hanno preservato il titolo sportivo, ma non possono farsi carico dei costi di gestione di una società di calcio professionistica. Tra i giocatori è fuggi fuggi, tutti i tesserati cercano e trovano altre sistemazioni. Restano solamente in due. Uno è Alberto Fontana, il portiere di riserva, l’altro è lui, Tommaso “Ricky” Vailatti, il ragazzo del vivaio, il ragazzo che dal 1992, ininterrottamente, veste il granata. “Vivevo a Torino, sono torinese fin dalla nascita, sono del Toro, nel Toro ho iniziato a giocare a calcio e sono diventato grande. Era casa mia, non potevo andarmene, ero lì da quando avevo sei anni”, dirà Ricky in un’intervista rilasciata qualche anno dopo. Parole d’amore, un amore che se possibile, dalla burrasca dell’estate del 2005, con il Toro che, in extremis, passa tra le mani di Urbano Cairo, esce rafforzato, più solido e forte di prima. Sulle spalle di Tommaso, e su quelle di Fontana, poggia una responsabilità decisamente rilevante: Vailatti, a nemmeno vent’anni, è uno degli anelli cui tocca congiungere passato e futuro. Un passato glorioso, quello del Torino, un futuro carico di speranze, per Vailatti stesso e per tutto il popolo granata, che guarda a Cairo come ad un autentico salvatore della patria.
L’amore e la fedeltà di Ricky verso i colori granata vengono premiati. La stagione 2005-’06, per il Torino, ha i contorni dell’impresa epica. Una squadra arrivata ad un passo dal baratro del fallimento, ricostruita in sette giorni grazie ad una speciale finestra di mercato aperta ad hoc dalla federazione ad inizio settembre, che centra un obiettivo impensabile, si qualifica per i playoff e poi li vince. La sera dell’11 giugno 2006, al termine della sfida di ritorno contro il Mantova, un doppio confronto mozzafiato che mette in palio la Serie A, la Torino granata può esultare: il Toro, quella squadra che appena nove mesi prima aveva seriamente rischiato di sparire, si è ripreso la Serie A. E’ l’ennesima rinascita, ma questa volta la gioia è vera, nessuno può strapparla dalle mani del popolo granata. Nel Toro di De Biasi Vailatti colleziona 13 presenze e trova la gioia del primo gol tra i professionisti (su punizione, all’ultima giornata, contro la Cremonese): per lui, la sera dell’11 giugno ha un sapore particolare, ancor più dolce. Lui, che non ha abbandonato la barca mentre stava per affondare, lui, che in granata ci è rimasto per amore, pur essendo uno dei talenti più promettenti del calcio italiano, quando tutti gli consigliavano di andare, si è preso la sua personale rivincita. Per lui, al triplice fischio della finalissima contro il Mantova, è festa doppia.
Nell’estate del 2006, mentre il Torino prepara l’esordio in Serie A, Vailatti si prepara, per la prima volta nella sua vita, ad allontanarsi da quei colori che lo hanno cresciuto. La società decide di girarlo in prestito al Vicenza, in Serie B: il ragazzo ha talento, non c’è dubbio, ma serve testare le sue capacità nell’arco di un campionato intero, in una squadra che possa garantirgli continuità. Lo stesso Ricky sa che è giusto così, ma per lui non è facile lasciare Torino e il Torino: veste quei colori dal 1992, da quattordici lunghi anni, vive e respira quella città fin da quando è nato, quella è casa sua. Nell’anno di Vicenza Tommaso mette insieme 20 presenze, senza infamia e senza lode. Non demerita, ma non evidenzia quella crescita che i dirigenti granata avevano auspicato al momento di dirottarlo in prestito in Serie B. Nell’estate del 2007, quando Vailatti ritorna alla base, in quel Torino che nel frattempo ha centrato una sofferta salvezza, l’intenzione granata è quella di concedere al ragazzo un ulteriore anno di apprendistato, sempre in Serie B, sempre in una squadra che possa garantirgli un buon numero di presenze.
Ha programmi diversi, però, Walter Novellino: al neo allenatore granata Ricky piace, l’idea di dare fiducia a quel ragazzo un po’ esile ma dalle qualità indiscutibili lo stuzzica. Novellino, durante il ritiro di Malles, lo osserva, lo studia, lo valuta, e alla fine decide: punterà su di lui, Vailatti, nella stagione 2007-’08, sarà un giocatore del Torino, in Serie A. Ricky tocca il cielo con un dito, la fiducia di Novellino lo carica come una molla, nelle amichevoli di quell’estate è stabilmente tra i migliori, sente di poter fare bene per davvero, anche nella massima serie, nonostante un’annata, quella trascorsa a Vicenza, non proprio esaltante. Un fiducia, quella del tecnico nei confronti del giovane prodotto del vivaio granata, che non si ferma alle parole, ma si traduce in fatti concreti: Vailatti, in quel Toro, non sarà uno dei tanti, non sarà solo un numero a completamento della rosa, bensì un elemento importante, su cui puntare, in cui credere fortemente.
Si torna così all’incipit di questa storia, a quel pomeriggio di caldo infernale allo stadio Olimpico di Roma. E’ il 26 agosto del 2007, si gioca Lazio-Torino, valida per la prima giornata del campionato di Serie A 2007-’08. I granata sono andati in vantaggio con un delizioso pallonetto di Rosina, per poi essere ripresi e superati dai centri di Pandev e Rocchi. Al quarto d’ora della ripresa, tre minuti dopo il raddoppio biancoceleste, Novellino decide che è il momento di cambiare, di tentare di scompaginare le carte, solo così si può sperare di rimettere in piedi quella partita. E il primo uomo a cui Novellino pensa di affidare questa responsabilità è proprio lui, Tommaso Vailatti. “Via la pettorina, tocca a te, Ricky!”. E’ il minuto 62 di Lazio-Torino, in un pomeriggio di caldo soffocante dell’agosto 2007, a ventuno anni, quel bambino entrato nella famiglia granata nel 1992 fa il suo esordio in Serie A sostituendo Sasa Bjelanovic. Basterebbe questo a rendere indimenticabile quella giornata, ma per Tommaso il destino ha in serbo qualcosa di ancora più incredibile. Al 71′ Barone riceve palla sulla destra e va al traversone: le attenzioni della difesa laziale sono tutte per Ventola e Rosina, è su di loro che si concentrano le maglie biancocelesti. Si sono dimenticati che da qualche minuto in campo c’è anche quel ragazzino, quel debuttante granata con tanta fame, con tanta voglia di emergere, con tanta voglia di ripagare la fiducia che l’allenatore ha riposto in lui. Il cross di Barone scavalca tutti: Ventola e Rosina, ma anche De Silvestri, Kolarov, Zauri e Cribari. La sfera plana verso il secondo palo, dove ha tagliato proprio Vailatti. Colpo di testa, non proprio la sua specialità: palla da una parte, Ballotta dall’altra. Lazio 2, Torino 2, ha segnato Tommaso Vailatti, il risultato non cambierà più. Ricky parte in una corsa a perdifiato verso la panchina, il sorriso stampato sul volto, evita tutti i compagni che cercano di fermarlo, di abbracciarlo, di esultare con lui. Ricky vuole abbracciare Jimmy Fontana, prima di tutti gli altri: quell’unico compagno che due anni prima era rimasto con lui, in quel Toro che stava affondando, è con lui che vuole condividere questa gioia pazzesca ed indescrivibile. “Non riuscivo a respirare, non trovavo l’aria, volevo solo correre da Jimmy. Stavo sognando, la sera, quando avrei rivisto il gol alla tv, sarei scoppiato in lacrime” ricorderà Ricky qualche anno dopo.
La sera, in tv, il protagonista è lui, tutti voglio raccontare la sua storia, la storia di un ragazzo che veste il granata fin dall’età di 6 anni, che non lo ha mai abbandonato, nemmeno quando tutti gli altri se la davano a gambe, nemmeno quando abbandonare sarebbe stata la scelta più logica e meno rischiosa, ed ora, con quella stessa maglia, gioca e segna in Serie A. A Ricky, però, la notorietà non interessa. Il mondo gira intorno a lui, come quelle giostre in mezzo alle quali è cresciuto, ma quell’improvvisa attenzione quasi lo intimorisce: “Cosa devo dire? Durerà molto? Parlerò in diretta?” chiede Tommaso prima delle interviste di rito, dopo la partita. Non è la fama ciò che conta, per lui. Contano gli affetti, conta l’attaccamento alla sua maglia, alla sua città, ma soprattutto alla sua famiglia: “La dedica va a mamma e papà e a tutti quelli che mi vogliono bene, e sono tanti” commenta emozionato Ricky davanti alle telecamere. E’ a loro che va il primo pensiero, è con loro, e con nessun altro, che il ragazzo diventato grande vuole condividere questo momento di incontenibile emozione. Un amore sconfinato, quello per la sua terra e per i suoi cari, che per Tommaso, come vedremo, diventerà per certi versi un limite. Quella sera, però, non c’è spazio per questi ragionamenti, quella sera Vailatti è una star, tutti, a Torino ma non solo, sono convinti che sul prato dell’Olimpico sia nata una stella. “Avete visto che bravo questo ragazzo? Mi stupisco che Casiraghi non lo abbia mai convocato in Under 21” gongola Novellino, fermamente convinto di avere per le mani un gioiellino, oltre che una personalissima scommessa vinta.
Ricky è in rampa di lancio, pronto a spiccare il volo verso un futuro da protagonista, nella sua città, con la maglia che ama tatuata sulla pelle. Il destino, quel destino che gli ha regalato un pomeriggio da sogno all’Olimpico di Roma, gli volta però le spalle sette giorni dopo. Lo stadio è sempre l’Olimpico, ma quello di Torino: seconda giornata di campionato, Torino-Reggina, Vailatti subentra a Rosina nel secondo tempo, ma stavolta le cose vanno in una direzione diametralmente opposta rispetto a quanto avvenuto a Roma. Tommaso riporta una seria distorsione al ginocchio, c’è l’interessamento dei legamenti, servono quasi due mesi di stop. Proprio quando sembrava in procinto di spiegare le ali, Ricky deve tornare sulla terra. Ma è il suo momento, vuole sfruttarlo a tutti i costi: Vailatti accelera i tempi di recupero, e il 21 ottobre è di nuovo in campo, nel finale del 2-2 del Toro a Bergamo. Nel 2-0 casalingo al Cagliari, sette giorni dopo, la prima da titolare. Novellino ripone in lui tantissime speranze, non è più una novità: Vailatti, prima della sosta natalizia, raccoglie altre tre presenze con Udinese, Empoli e Roma. Ma dopo un esordio da star, per Vailatti sono tempi duri. Il Torino langue nelle zone basse della classifica, c’è bisogno di concretezza, di garanzie immediate, quelle garanzie che un giovane ai primi passi in Serie A, seppur talentuoso, non può dare. Insomma, il Toro 2007-’08 non può permettersi di aspettare pazientemente la completa maturazione del suo talentino fatto in casa, che, pur essendo bravo, ha bisogno di crescere ancora. A gennaio i granata lo girano al Livorno, diretta concorrente per la salvezza. Per Vailatti è l’inizio di un declino lungo ma costante: lontano da Torino, da casa sua, dalla sua terra e soprattutto dai suoi affetti, Ricky sembra perdere quel talento che lo aveva condotto fin lì, in Serie A, quel talento per il quale tutti lo inseriscono nella cerchia dei giovani più promettenti del nostro calcio. In Toscana sono mesi tristi, anche se in panchina c’è un allenatore che con Ricky condivide il sangue e il cuore granata, Giancarlo Camolese: Vailatti mette insieme la miseria di 4 presenze, solo una da titolare, contro il suo Toro, gli amaranto chiudono all’ultimo posto e retrocedono mestamente in Serie B. Tommaso rientra alla base, nell’estate del 2008, e si ritrova al punto di partenza: nonostante le promettenti premesse, nonostante un esordio, quello contro la Lazio, che lasciava presagire un futuro scintillante, il ragazzo del vivaio del Toro rimane un giocatore incompiuto, ancora alla ricerca della definitiva consacrazione, del definitivo salto di qualità. A 22 anni, Vailatti è di fronte ad un crocevia: diventare grande, oppure rimanere un’eterna promessa.
Il crocevia si traduce in una scelta: lasciare Torino per farsi le ossa in prestito, ancora una volta, oppure restare e giocarsi le proprie chance in granata? Ricky non ha dubbi. “Questa è casa mia, non me ne vado”, dev’essere questo, in linea di massima, il suo pensiero. Ai nastri di partenza della stagione 2008-’09, così, Tommaso è nella rosa del Torino, ancora una volta in Serie A: o la va o la spacca, dev’essere obbligatoriamente, questo, per lui, l’anno dell’esplosione. Ma le cose, purtroppo per lui, prendono una piega profondamente diversa. De Biasi, come si dice in gergo, proprio non lo vede: Tommaso non solo non trova spazio in campo, ma finisce spesso e volentieri in tribuna. Per l’esordio stagionale bisogna attendere il 21 dicembre, quando Ricky subentra a gara in corso nell’1-0 casalingo sul Napoli. Ma è un’apparizione fugace. De Biasi, per il centrocampo granata, ha idee diverse: preferisce i muscoli alla tecnica, l’esperienza alla sfrontatezza giovanile. Dzemaili, Corini, Saumel, Paolo Zanetti, Barone, sono questi, ed altri ancora, i giocatori che ogni domenica chiudono le porte del campo a Vailatti. Ricky, dal canto suo, invece di reagire, si lascia piegare dalle difficoltà. Si deprime, si chiude in sè stesso, inizia ad allenarsi con sempre meno intensità, con sempre meno ferocia, con sempre meno cattiveria: la sua è una vera e propria involuzione, quello che due anni prima era uno dei talenti più intriganti della Serie A ora è un autentico oggetto misterioso. A Torino si vocifera addirittura di accese discussioni, mai confermate, con De Biasi, l’allenatore che di fatto lo tiene ai margini del Toro per l’intera stagione 2008-’09: per Vailatti solo 5 scampoli di gara, il Toro fallisce l’obiettivo e sprofonda in Serie B. Ricky fa in tempo a segnare un altro gol in Serie A, ma è una rete ininfluente, all’ultima giornata, in un Roma-Torino 3-2 che sancisce la retrocessione granata. E’ il 31 maggio 2009: quella contro la Roma rimarrà l’ultima presenza di Vailatti in Serie A, curiosamente proprio in quello stadio Olimpico in cui nell’agosto del 2007, meno di due anni prima, Ricky si era rivelato al grande pubblico. Quel pomeriggio del 2007 in cui lui, Ricky, sognava per sè un futuro diverso, un futuro che adesso gli sta irrimediabilmente sfuggendo dalle mani. Nel 2009 , però, Vailatti ha solamente 23 anni, e tutto il tempo per riscattare due stagioni al di sotto delle aspettative. Per Tommaso non è ancora il momento di arrendersi. La società vuole inserirlo nella trattativa per Belingheri e cederlo all’Ascoli, ma lui si oppone. Ancora un volta è questa l’antifona: Torino è la sua casa, e lui non se ne vuole andare. La sua fortuna, nell’estate del 2009, ha un nome, un cognome ed un volto, quelli di Stefano Colantuono, che si oppone alla sua cessione e ritaglia per lui un ruolo importante nel centrocampo a tre del Torino che prenderà parte alla Serie B 2009-’10. O almeno, queste sono le impressioni estive: nel pre-campionato Vailatti parte spesso e volentieri nell’undici titolare, ma quando il gioco si fa duro e in palio iniziano ad esserci punti importanti, la musica cambia.
Tommaso ha talento, un talento che nessuno mette in discussione, ma pecca in grinta, determinazione e mordente, fattori imprescindibili per sopravvivere nel calcio professionistico: quando il gioco si fa duro, dicevamo, Ricky sparisce dal campo, rivelandosi troppo “morbido”. La tecnica non basta, per destreggiarsi in quella selva oscura che è la Serie B, e sarà proprio questa mancanza a spingerlo poco alla volta fuori dai radar del grande calcio. Uno scampolo di gara contro il Grosseto, alla prima di campionato, poi un tempo contro la Salernitana, il 18 settembre. Vailatti parte titolare, prima di essere sostituito da Zanetti nell’intervallo. Ricky ancora non lo sa, ma quella è la sua ultima presenza ufficiale con il Torino. Allo stadio Arechi si chiude una storia d’amore iniziata nel 1992 e durata quasi 18 anni, una storia d’amore che ha saputo sopravvivere anche ad un fallimento, ma che ora giunge ai titoli di coda. Di fatto, Vailatti è fuori dalla rosa di Colantuono, che dopo aver creduto in lui in estate lo ha sostanzialmente scaricato, senza troppe spiegazioni, senza troppi rimpianti. Ma anche se nei fatti il rapporto tra Ricky e il granata è già arrivato al capolinea, il peggio deve ancora venire. Dopo un’ottima partenza, il Toro si spegne, perdendo posizioni e terreno in classifica domenica dopo domenica. Il 30 novembre 2009 il Crotone passa all’Olimpico (2-1), Colantuono viene esonerato, al suo posto arriva Beretta (che a propria volta durerà poche settimane e lascerà posto allo stesso rientrante Colantuono). All’ombra della Mole iniziano a circolare strane voci, si dice che alcuni giocatori granata abbiano scommesso sulla sconfitta contro i calabresi, “vendendo” insomma la partita. Le voci non verranno mai confermate, nessun fascicolo verrà mai aperto, nè tantomeno un’inchiesta formale, ma fanno esplodere le frange più estreme del tifo granata, che già accusavano la squadra di scarso impegno. Il 6 gennaio del 2010 un gruppo di una ventina di ultras fa irruzione nel ristorante “I Cavalieri”, sulla collina che sovrasta Torino, dove un gruppo di giocatori sta festeggiando il compleanno di David Di Michele: volano insulti, anche schiaffi, sul Torino esplode una vera e proprio bomba. Dopo l’episodio, nella finestra invernale di mercato, molti dei calciatori aggrediti lasceranno Torino, non prima di aver indetto una conferenza stampa per denunciare l’accaduto. In quel ristorante, la sera del 6 gennaio, Vailatti non c’è, e nella partita incriminata contro il Crotone si trova in tribuna, ma Ricky, durante la conferenza stampa voluta dai giocatori aggrediti, si presenta a fianco ai suoi compagni, per manifestare la sua solidarietà, per prendere le distanze e condannare quanto accaduto.
E’ la pietra tombale sul legame tra Vailatti e l’ambiente Toro, è l’ultimo atto di un rapporto durato quasi vent’anni. Ricky sembra aver perso ogni ambizione, la delusione per la piega presa dalla sua carriera prende il sopravvento: il sogno di diventare un grande calciatore sembra non interessarlo più. Tommaso vuole solo rimanere a casa sua, in quella Torino che lo ha visto nascere e crescere, questo è il suo unico desiderio. Nella finestra invernale di mercato rifiuta ogni proposta di trasferimento: prima dice di no al Locarno, poi a diverse squadre del sud Italia. Non se ne vuole andare, anche se al Torino, per lui, ormai non c’è più posto, anche se pure lui finisce nel mirino delle critiche dei tifosi a causa di allenamenti condotti a ritmi, diciamo così, non proprio forsennati. La seconda parte del campionato di Serie B 2009-’10 Vailatti la trascorre da autentico separato in casa, a giugno il suo contratto scade, non ci sono margini per il rinnovo. Tommaso, così, trascorre malinconicamente da svincolato la sua estate 2010. Ma se solamente due anni prima il nome di Vailatti era sul taccuino di diverse big italiane, ora il telefono non squilla, il suo nome, dopo due stagioni deludenti, non fa più gola. Giugno, luglio e agosto passano in fretta, quando la nuova stagione riparte, Vailatti è ancora senza squadra. Poi, il 9 settembre, finalmente, ecco la chiamata della Ternana: per continuare a giocare, Tommaso si rassegna ad allontanarsi da Torino e a scendere fino alla Prima Divisione, l’ex Serie C1. Ma, come gli era successo già nelle precedenti esperienze a Vicenza e Livorno, lontano dalla sua Torino Ricky non si ambienta, non riesce ad esprimersi al meglio delle sue qualità. E’ spento, un lontano parente del calciatore che aveva esordito in Serie A infilzando la Lazio all’Olimpico. Gli manca l’aria di casa, gli mancano le persone che ama, ogni allenamento è un peso terribile da sostenere. Solamente 7 presenze, nessun gol, e nell’estate del 2011 si riparte da capo, senza squadra, senza contratto, con la speranza di esplodere e consacrarsi come un calciatore di valore che diventa via via sempre più simile ad un miraggio.
Per il 2011-’12 Tommaso si riavvicina a casa, ma scende ancora di categoria firmando per la Valenzana, Seconda Divisione: 11 presenze, 1 gol, un grave infortunio che lo tiene lontano dai campi per lunghi mesi. Nel 2012-’13 l’ultimo tentativo di rimanere aggrappato al mondo dei professionisti: Vailatti firma per il Treviso, ma anche in Veneto non riesce ad emergere ed imporsi, collezionando la miseria di 7 scampoli di gara. Per Ricky è l’ultimo anno da calciatore professionista: a 27 anni Vailatti abbandona il sogno che lo aveva accompagnato in tutti suoi anni granata, quel sogno che pensava di aver realizzato il pomeriggio del 27 agosto 2007. Paga un carattere troppo fragile, quel carattere che non gli ha permesso di sconfiggere le difficoltà, quel carattere che gli ha impedito di spiccare il volo anche lontano dalla Mole, quell’immaginario cordone ombelicale che lo tiene legato alla sua terra e che non è mai riuscito a tagliare.
Le ultime stagioni vedono Ricky vagare sui campi spelacchiati del dilettantismo piemontese, senza allontanarsi troppo dalla sua Torino: Chieri in Serie D, poi Pavarolo in Promozione, Asti e Lucento nella stessa categoria. L’ultima stagione Vailatti la inizia con la maglia della Santostefanese, Promozione, per poi trasferirsi, a dicembre, al Moretta, cambiando girone ma rimanendo nella medesima categoria. “Gioco per passione. Ho avuto qualche chance di ritornare nel professionismo, in Lega Pro, ma a 30 anni ero stufo di andare in giro per l’Italia, magari senza nemmeno giocare. Preferisco stare a casa mia, giocare e divertirmi” dice Vailatti in un’intervista del 2015: la voglia di sentirsi circondato dai suoi affetti, la necessità di respirare l’aria di casa, per Ricky sono state probabilmente più forti dell’ambizione, della voglia di diventare una stella lucente nel firmamento del pallone italiano, e queste parole ne sono la lampante testimonianza. Oggi Ricky si dedica ai più piccoli, lavorando per diverse scuole calcio del torinese, mettendo la sua esperienza al servizio di quei bambini che coltivano il sogno di diventare calciatori: Ricky, forse, in quei bambini rivede sè stesso vent’anni fa, quando anche lui, correndo dietro ad un pallone con la maglia granata, sognando la gioia di giocare e segnare in Serie A. Quella gioia Tommaso l’ha provata per davvero, ma è stata una sensazione effimera, sfuggente. Eppure riesce difficile pensare che Vailatti abbia qualche tipo di rimpianto: è rimasto a casa sua, non se n’è andato, e questo, probabilmente, per lui è ciò che conta di più.