Quando finalmente tornò, la sua gente ormai si era rassegnata a non vederlo più, almeno in mezzo al campo, a testa alta e con la maglia viola indosso, dopo averlo salutato mentre si allontanava sul Viale del Tramonto diretto a Losanna, sulle rive di un lago come quello che aveva accolto Re Artù ed Excalibur nel loro ultimo viaggio. La vita non ha rispetto per nessuno, nemmeno per le grandi stelle dello sport. Anzi, ancor meno per loro. Firenze era abituata a vederle scorrere, invecchiare, andarsene, sostituite da altre stelle destinate alla stessa parabola umana e sportiva. Ma per questo ragazzo la cosa era diversa. Nessuno aveva mai guardato le stelle come lui, giocando. O così almeno sembrava, anche ad un pubblico che era pure di palato fino, e di fuoriclasse ne aveva già visti in quantità. Ma vuoi per l’immensa classe di Giancarlo Antognoni, vuoi perché si era ritrovato a reggere da solo il labaro viola in un periodo assai buio, ad Antonio Firenze aveva concesso come massima onorificenza l’aggettivo Unico. E non sarebbe più ritornato in discussione.
Quando venne il momento del suo ultimo viaggio sportivo, Antonio compì il percorso inverso rispetto a quello di Re Artù e della sua spada magica, abbandonò il lago e tornò in quella che era diventata la sua città. Ce lo ha racconta Simone Borri. Era il 25 aprile del 1989, un giorno solitamente di festa, ma a Firenze quel giorno nessuno pensava alla Liberazione, alla fine dell’ultima guerra. Quel giorno finiva una favola cominciata il 15 ottobre 1972, quando un cronista della radio aveva detto, al termine della sua prima partita in serie A, «oggi ho visto esordire un campione». Quel giorno era l’addio al calcio giocato di Giancarlo Antognoni. Per lui era stata organizzata una partita di quelle che toccano soltanto ai più grandi. Al Comunale di Firenze sarebbero scesi in campo Italia ’82 contro Resto del Mondo. Gli azzurri che avevano vinto il Mundial di Spagna, con Antonio che di quell’impresa era stato uno dei protagonisti decisivi, contro una selezione di tutti i fuoriclasse del mondo che allora e dopo li avevano affrontati.
Due squadre che, a darne la formazione oggi, mettono i brividi.
Italia ’82: Ivano Bordon, Claudio Gentile, Antonio Cabrini (Daniele Massaro `50), Gabriele Oriali, Fulvio Collovatti, Gaetano Scirea, Bruno Conti (Franco Causio `50), Marco Tardelli (Giampiero Marini `50), Paolo Rossi (Franco Selvaggio `50), Giancarlo Antognoni (capt.), Francesco Graziani (Alessandro Altobelli `50). Benchwarmer: Giovanni Galli. Allenatori: Dino Zoff e Guerini.
Resto del Mondo: Jean-Marie Pfaff, Hans-Peter Briegel (Glenn Hysen `68), Alberto Tarantini, Zbigniew Boniek, Rudi Krol, Jose Antonio Camacho, Madjer, Junior (Dunga `68), Jorge Valdano (Oleg Blokhin `50), Paul Breitner (Karl-Heinz Förster `46 ), Karl-Heinz Rummenigge. Allenatori: Sven Goran Eriksson e Vujadin Boskov.
A Firenze, per festeggiare il suo Unico 10 che appendeva le scarpette al chiodo, fu rimessa in scena la finale del Bernabeu e anche molto di più. Prima del calcio d’inizio, a centrocampo sfilarono i grandi viola del primo scudetto 1955-’56, seguiti dai grandi del secondo scudetto 1968-’69. Insieme a loro, il più grande, se è possible stabilire una classifica dei grandissimi: Edson Arantes do Nascimiento, detto Pelé. Avrebbero dovuto esserci anche Zico e Socrates, all’ultimo momento trattenuti da impegni.
Il calcio d’avvio lo dette Antognoni, ma non un commosso Giancarlo, bensì il piccolo Alessandro, il suo primogenito. Sugli spalti, 35.000 spettatori paganti, se non era il record per il Comunale ci mancava poco. 568 milioni di lire di allora, incasso devoluto ovviamente tra beneficenza e scuole calcio fiorentine. In campo, calcio spettacolo, con la vittoria dei campioni del mondo dell’82 per 4-2, gol di Madjer, Graziani (2), Rummenigge, Antognoni (su rigore), Causio. In curva la solita scenografia, quella volta a base di tagliandini bianchi e viola. Dappertutto, groppi in gola e diverse lacrimucce. Era un giorno dedicato alla nostalgia ed al rimpianto, per il tempo volato via troppo in fretta e perdipiù senza gratificare il campione ed i suoi tifosi con almeno una vittoria tinta di viola, un giorno di trionfo. Fu anche il giorno che aprì, con il senno di poi, uno sguardo sul futuro, non solo di Antognoni. In quel momento era difficile immaginare che poco più di un anno dopo Firenze sarebbe diventata un campo di battaglia, per la cessione alla Juventus di un altro numero dieci, quello che l’aveva ereditato da Antonio, Baggio. La proprietà di quel momento, per bocca del manager Righetti, gelò decisamente le aspettative annunciando di aver previsto per il futuro dirigente Antognoni un ruolo di raccordo con i club.
Troppo poco, per Antognoni e per I fiorentini che già lo immaginavano direttore sportivo a caccia di altri talenti che raccogliessero la sua eredità, come un giorno sarebbe effettivamente stato. In quel momento, tutto ciò era lontano, di là da venire. Antonio prese giustamente tempo, e se lo prese anche Firenze, presentendo I nuovi tempi duri in arrivo. Quel giorno, ci fu spazio soltanto per lacrime di nostalgia. Sarebbe stata l’ultima volta. In seguito, I fiorentini avrebbero pianto altre volte, ma solo per rabbia.