Storicamente il calcio israeliano viene considerato non propriamente di prima fascia, a causa della lontananza geografica del suddetto paese e per i non positivi risultati ottenuti dalla propria rappresentativa nazionale: a tal proposito Israele può vantare un’unica partecipazione ad una fase finale di un Mondiale, quella del 1970, conclusasi al primo turno.
Il calcio italiano è sempre stato restio ad attingere da tale bacino e solo due giocatori israeliani hanno militato nel nostro campionato: Tal Banin approdato a Brescia nel 1997 ed Eran Zahavi approdato a Palermo nel 2011. Se si aggiunge una non conclusa trattiva tra Ronny Rosenthal e l’Udinese alla fine degli anni ’80, naufragata per presunte scritte antisemitiche, l’Italia si dimostra come al solito miope nell’interessarsi a panorami calcistici che ritiene storicamente non evoluti calcisticamente. Fortunatamente nel resto d’Europa l’attenzione ai giocatori promettenti è sempre molto alta ed in molti nella metà degli anni ’80 si accorgono di un purissimo talento militante nel Beitar Gerusalemme, destinato ben presto ad approdare nel vecchio continente. Di lui ce ne parla Giovanni Fasani. Nel 1987 Eli Ohana è uno dei giocatori più promettenti del panorama internazionale, distinguendosi per doti tecniche non comuni.
La sua carriera si sviluppa proprio nella squadra giallonera della capitale, dove evidenzia le tipiche doti del trequartista, impreziosite da un sinistro educato, che gli consente strepitose realizzazioni e raffinati assist. Il pubblico israeliano è ammirato dalla sua classe e sin da subito la sensazione è quella di avere sotto gli occhi un talento unico. E’ in possesso di un elegante dribbling, che gli consente di saltare più di un avversario con grande facilità , trovando spesso la via della rete.
A tal proposito è anche dotato di uno spiccato tempismo negli inserimenti, grazie ai quali va in gol sovente anche di testa, sfruttando un fisico longilineo e ben strutturato.Nonostante il suo bagaglio tecnico sia altamente superiore a quello medio della Liga Leumit, non esagera con la giocata personale e per “La Menorah” diventa un elemento cardine e principale riferimento per lo sviluppo del gioco. Dopo un campionato israeliano e due coppe nazionali le sirene dell’Europa si fanno troppo forti e nel 1987 approda al Mechelen alla corte del tecnico olandese Aad de Mos, intento a costruire un’ambiziosa quanto vincente squadra. Nel nuovo contesto modifica leggermente il suo approccio e si dimostra più centrocampista che uomo gol: i numeri al Beitar Gerusalemme parlano di 70 reti in 172 partite, mentre nel campionato belga si riducono a 10 in 51 apparizioni. L’impatto con il calcio europeo è da subito molto positivo, tanto che nella stagione 1987-’88 la squadra belga vince la Coppa delle Coppe. Il contributo di Ohana al successo è decisivo ed alla fine della competizione sono proprio le sue giocate a fare la differenza. Negli ottavi di finale una sua doppietta sul campo del St. Mirren determina lo 0-2 finale, dopo che la gara in Belgio era finita a reti bianche. Ancora più determinante è la rete che segna sul campo della Dinamo Minsk nei quarti di finale, regalando alla propria squadra il fondamentale 1-1 dopo la vittoria per 1-0 dell’andata.In semifinale l’avversario è la sorprendente Atalanta che viene eliminata con un doppia vittoria per 2-1: il primo gol nella partita di andata viene segnato proprio dal giocatore israeliano.
La squadra belga accede alla finale di Strasburgo dove ad attenderla c’è il temibile Ajax, fino a quel momento apparso come la squadra migliore della competizione. In campo il Mechelen gioca un’ottima gara ed è proprio un’azione di Ohana a decidere il match: dopo una serie di finte pennella un preciso cross per la testa di Piet den Boer che realizza il decisivo gol della vittoria.
Al termine del torneo gli elogi principali sono proprio per il talento israeliano, le cui doti vengono notate anche dalla stampa italiana: Il Guerin Sportivo lo premia con il “Bravo” 1988, come miglior giocatore under 23 partecipante alle competizioni europee .L’ottimo momento del Mechelen prosegue anche nella stagione successiva, aperta dal trionfo in Supercoppa Europea contro il PSV, nonostante Ohana non prenda parte alla doppia sfida causa infortunio. Ha modo comunque di dimostrarsi decisivo in campionato, contribuendo alla grande alla vittoria del titolo nazionale, dopo un attesa di 40 anni per i tifosi del Mechelen.
A livello europeo acquisisce ovviamente grande fama e più di una squadra si interessa al suo ingaggio, con la speranza che un approdo a lidi calcistici superiori lo possa completare definitivamente. Nel frattempo ha la grande opportunità di giocare le qualificazioni al prossimo Mondiale con la propria nazionale, giocando le gare nel girone oceanico, causa le pesanti ostilità tra Israele e le altre nazioni del continente arabo. Israele si guadagna la possibilità di sfidare la Colombia nello spareggio per accedere ad Italia ’90 dopo un duro confronto con Nuova Zelanda ed Australia: proprio contro la squadra australiana Ohana segna il gol che vale il pareggio ed il passaggio del turno.
La partita è preceduta da intense polemiche a seguito di presunte dichiarazioni antisemitiche del commissario tecnico australiano al quale Ohana risponde con personalità, indicando più volte la Stella di David sulla maglia.
Tale episodio certifica il suo attaccamento alla sua nazione ed un grande senso di appartenenza, da lui più volte esternato anche nelle esperienze europee.
La successiva doppia sfida con la Colombia sorride alla squadra sudamericana che vincendo la gara di andata per 1-0 e pareggiando al ritorno si guadagna l’accesso alla fase finale. Per Ohana è una profonda delusione e rappresenta l’ultima tangibile possibilità di giocare un Mondiale. Nella stagione 1989-’90 ha l’opportunità di giocare la Coppa Campioni, dove il Mechelen viene battuto dal Milan nei quarti di finale: per il talento israeliano c’è la soddisfazione di una bella doppietta nel 5-0 rifilato al Rosenborg nel primo turno. Nel corso della stagione arretra la sua posizione in campo e le qualità delle sue prestazioni tendono a calare, subendo quella che appare come una piccola involuzione.
Nel 1990 lascia il Belgio per tentare l’avventura nel campionato portoghese nelle file del Braga, cercando di trovare nuove motivazioni e di misurarsi con un tipo di calcio diverso dal precedente. Nonostante i ritmi più bassi fa fatica ad integrarsi al meglio e dopo una sola stagione decide di ritornare in patria proprio al Beitar Gerusalemme. Dal suo ritorno in patria trae immediato giovamento e per lui comincia una vera e propria seconda carriera, completamente spesa con la maglia giallonera. A quest’ultima concede ben otto stagioni terminando la carriera nel 1999 a 35 anni, dopo aver vinto tre campionati ed una Coppa Toto (l’ex Coppa di Lega). Precedentemente mette fine alla sua esperienza con la nazionale, chiudendo nel 1997 dopo 50 partite e 17 gol. Al termine della carriera continua la sua vita nel mondo del calcio, allenando vari club in patria prima di entrare nella federazione israeliana per allenare varie rappresentative nazionali. Il pubblico israeliano non può che tributargli un logico e sontuoso ringraziamento per quanto fatto in campo e per quanto ha rappresentato come simbolo sportivo per tutto lo stato.
Ohana è in assoluto uno dei migliori talenti espressi dal suddetto movimento calcistico e l’unico suo limite è quello di aver avuto un periodo limitato di massimo rendimento: proprio quando la sua stella sembra splendere al massimo arriva inesorabile un lieve offuscamento, che solo il rientro a Gerusalemme lenisce in parte. Tuttavia resta vivo il ricordo di un giocatore dalla classe purissima, sicuramente merce rara in un paese “insospettabile” dal punto di vista calcistico.