Sarà che Verona è la città degli innamorati e l’intero ambiente facilita i sintomi dell’infatuazione ma non siate bacchettoni ed ammettete candidamente che anche voi, come la famiglia Mazzi, vi sareste fatti sedurre da quel genio tecnico proveniente dall’odierna Serbia: Dragan Stojkovic! Pixie (soprannome ricevuto dagli amici d’infanzia che lo paragonavo al topolino con papillon azzurro di “Pixie, Dixie e Mr. Jinks) era uno di quelli che poteva tradire nell’aspetto con quelle cosce da mediano; poi bastava vederlo con il pallone fra i piedi e si capiva perfettamente che solo il 10 era la sua vera anima.
Trequartista? Marcherei piuttosto trequ-artista dando peso soprattutto al secondo termine dopo il trattino perché senza esagerare siamo davanti ad un’esteta del calcio. Il piccolo ratto (insieme al suo socio) creato dalla produzione Hanna-Barbera ne combina diverse e si distingue per l’astuzia; Dragan non è poi così diverso e quando in campo sembra svogliato e fuori forma state pur certi che ha in mente una delle sue. Il genio gli appartiene e decide lui tempi e modi del prossimo capolavoro. Il farfallino del topolino? Altro segno in comune con il calciatore che per eleganza mostrata nel rettangolo verde non era secondo a nessuno.
Gli anni ottanta sono quelli dell’affermazione, con quattro stagioni trascorse alla Stella Rossa e tutte concluse in doppia cifra…e un mare di assist al bacio. In campo offre battaglia a chiunque, nel suo paese invece si comincia a spianare il terreno per l’imminente guerra…quella vera. Stojkovic però fa il calciatore, le sue uniche armi sono i piedi regalati da qualche divinità e capaci di far innamorare gli appassionati di questo meraviglioso sport…altro che vittime e sangue innocente.
Con la Zvezda ha poco da rimpiangere perché vince e rivince nei confini nazionali ma allargando il tiro quante delusioni subite…la Coppa dei Campioni diventa un’ossessione. Un anno magari fuori con il Real dopo un successo iniziale all’andata e un altro sconfitti dalla sfortuna vestita di bianco…come la nebbia di Belgrado. La storia però è scritta esclusivamente dai vincitori e il concetto sarà passato copiosamente nella testa di Dragan quando, nell’estate del ’90, decise di passare al Marsiglia. Il club francese poteva rappresentare l’isola felice dove trionfare lì dove ancora il buon Pixie non aveva dominato; il presidente Tapie non ha problemi economici e decide di regalarsi un altro campione dopo i vari Papin, Cantona ecc. Come in un film tragicomico, il 29 maggio ’91 al San Nicola di Bari prende vita la beffa delle beffe; la finalissima di Champions vede contrapporsi proprio Stella Rossa e Olympique… Dragan fa in tempo ad entrare nei supplementari per veder nuovamente allontanarsi i sogni di gloria dopo i calci dal dischetto. Alzare la coppa con la squadra slava era un suo sogno…è partito l’anno sbagliato con un tempismo agghiacciante.
Nel 1990 si erano svolti i Mondiali delle “notti magiche” e Dragan si era fatto conoscere al mondo (quello più disattento) siglando una doppietta negli ottavi. Le Furie Rosse come vittima, lo scenario dell’omicidio lo stadio Marcantonio Bentegodi di Verona. Pixie prima porta in vantaggio i suoi raccogliendo al volo un pallone e depositandolo in rete dopo una finta da inchino…Dio mio cos’è stata quella finta! Il pareggio di Salinas aumenta solo l’agonia di un match deciso ai supplementari ancora da Stojkovic: punizione a giro che punisce Zubizarreta.
Pazienza se poi ai quarti un suo errore dal dischetto favorì l’eliminazione dell’ultima Jugoslavia…Verona gli aveva portato bene e quel giorno forse venne lanciata più di qualche occhiatina. Il ’90-’91 si era concluso con la sconfitta in Champions del Marsiglia ed erano tante le sirene, quasi tutte italiane, che volevano quel 10 in squadra: l’Hellas fu quella più passionale nei suoi confronti. La famiglia Mazzi, sia padre che figli e proprietaria del club, si era letteralmente innamorata di quello slavo fortemente talentuoso e al diavolo se il ginocchio cominciava già a fare i capricci nella stagione transalpina: 10 miliardi e Dragan veste di gialloblu. Batteria di extracomunitari così al completo con lo storico Prytz e Raducioiu, il Pippo Inzaghi rumeno. Unica nota negativa? Il mister Fascetti chiedeva come ultimo rinforzo straniero un “certo” Gabriel Omar che con il Boca stava facendo vedere grandi cose; il cognome, inutile dirlo, è Batistuta. Per l’argentino trattativa già chiusa per appena 2 miliardi (un risparmio di 8 se confrontato con Pixie) ma al cuor non si comanda ed arrivò il beniamino della società.
Camicia a righe bianche e blu indossata nella presentazione, con dei sandali utilizzati poi per fare i soliti quattro palleggi di benvenuto: in pochi immaginano che sarà un flop. Se con la Stella Rossa aveva preso un numero irrisorio di cartellini, ben diverso fu il trattamento ricevuto nello stivale; amichevole d’agosto con la Reggiana e subito espulsione per proteste con annessa squalifica di sei turni in Serie A (poi scontati a quattro) per aver strattonato il direttore di gara e aver pronunciato parole poco carine.
Esordio ritardato ma il problema maggiore è il suo ginocchio, con un muscolo della coscia più corto di 4 centimetri rispetto all’altro e poco propenso ai colpi di un tempo. Alla fine diciannove presenze disputate a toni bassi e condite da un unico gol (ad Ascoli) utile come il ghiacciolo al Polo Nord…Dragan appare un giocatore finito. Ci sarebbero due rigori nel corso del campionato, utili per rimpolpare leggermente lo score ma fallisce pure quelli (slogandosi la caviglia in uno di questi dopo un tentativo di ribattuta).
Il Verona torna nuovamente in B (…e pensare che sette anni prima si festeggiava il tricolore) e Dragan riprende la strada di Marsiglia dopo atti firmati in maniera poco limpida da parte degli scaligeri, intenti a risparmiare sulla spesa fatta dodici mesi prima. In Francia gli infortuni non smettono di perseguitarlo ma in quei pochi gettoni di presenza risulta alquanto prolifico sotto porta; il ’93 finalmente lo vede conquistare la Champions ma il suo apporto europeo, ironia della sorte, è praticamente nullo.
Vola in Giappone dove diventa per tutti il “Samurai di Nagoya”. Perché quella scelta? Ormai gli anni si facevano sentire ma soprattutto si era stancato di giocare per una squadra europea…quella stessa Europa che rimaneva immobile davanti al massacro bellico della sua terra. Il tempo di segnare nella nuova avventura e subito la maglia celebrativa con la scritta “Nato stop strikes”; prima non voleva elargire politica in campo ma poi ha imparato a doverla fare.
Sette anni da capitano della sua nazionale (dal 1994 al 2001) e ultima partita giocata non a caso proprio contro il Giappone…l’omaggio al mondo nipponico al quale ha mostrato pure come segnare dalla “panchina”. Il flop di Verona? Giocateci voi con una sola gamba ed il pensiero fisso per un fratello nemmeno ventenne (Zoran) finito in guerra a combattere sotto le bombe. Poca personalità? Chiedetelo a Dejan Savicevic che si è visto scippare la maglia numero 10, ripiegando sulla 9, proprio da Dragan: “Questa è roba mia!”. I complimenti di Pelé per la doppietta ai Mondiali del ‘90? Tranquilli, niente di clamoroso perché, come disse Eros Mazzi, “Dragan l’é el pì forte zugador dela storia del Verona. Vel’digo mi!”.
Luca Fazi